Digitale, l’evoluzione è meglio della trasformazione

La trasformazione mette al centro il cambiamento ma non lascia traccia di ciò che si era prima. L’evoluzione è al contrario il più tipico processo naturale. Rappresenta il progresso, il potenziamento, il miglioramento di un essere vivente nel suo crescere verso uno stadio successivo

La trasformazione digitale è una buzzword tra le più usate in questo periodo. Ricercando “trasformazione digitale” su Google si ottengono circa 470.000 risultati, che comunque costituiscono un’inezia rispetto ai quasi 23 milioni di “digital transformation”.

Secondo il mio punto di vista questi concetti nel tempo stanno profondamente svuotandosi di contenuto.

Mi spiego meglio: sento parlare di “trasformazione” quando vorrei si parlasse di “evoluzione”.

La trasformazione mette al centro il cambiamento (e ciò è positivo) ma non lascia traccia di ciò che si era prima, come in bruco che si trasforma in farfalla senza lasciare traccia alcuna del bruco nel nuovo essere.

L’evoluzione è al contrario il più tipico processo naturale. Rappresenta il progresso, il potenziamento, il miglioramento di un essere vivente nel suo crescere verso uno stadio successivo di maturazione delle capacità.

Ecco perché mi piace parlare di evoluzione digitale e trovo davvero improprio insistere sulla trasformazione.

L’evoluzione mette al centro l’essere umano, con i suoi comportamenti, le sue azioni. Aiuta a non incorrere nell’errore di considerare la trasformazione digitale come qualcosa di connesso ai processi, ai prodotti, ai servizi

L’evoluzione mette al centro l’essere umano, con i suoi comportamenti, le sue azioni. Aiuta a non incorrere nell’errore di considerare la trasformazione digitale come qualcosa di connesso ai processi, ai prodotti, ai servizi.

L’estensione delle capacità dell’uomo attraverso il potenziamento digitale dei propri sensi, della propria forza, della propria capacità di acquisire e disporre della conoscenza e di tutte le correlate modalità di interazione determina la vera evoluzione digitale che stiamo vivendo.

Ciò costituisce la base per la realizzazione di una discontinuità nel progresso dell’umanità. E forse il primo passo verso la soddisfazione di quel bisogno di rendere immortale la nostra conoscenza e i nostri ricordi. Accondiscendendo all’istinto di conservazione della specie come non mai.

Ma cosa è cambiato davvero? È cambiato il modo in cui vediamo, il modo in cui ascoltiamo, il modo in cui tocchiamo.

Un tempo, davanti ad uno splendido tramonto, avremmo lasciato vagare gli occhi in mezzo alla luce. Godendo di ogni momento, assaporando l’unicità dell’attimo che si stava vivendo. Pronti a raccontare all’amico, al partner, al figlio l’emozione vissuta. Ma soffrendo, ad esempio, dell’incapacità di rendere il colore; quell’indaco che ci aveva tanto estasiato.

Oggi, davanti al medesimo tramonto, estraiamo automaticamente la nostra estensione digitale e lo fissiamo nella memoria digitale. Talvolta facciamo in modo di ritrarre noi stessi nel momento che stiamo vivendo, per ribadire di averlo vissuto. E per poterlo condividere compiutamente, compreso quell’indaco malefico che, finalmente, possiamo mostrare nel suo esatto pantone.

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