“Esperanza”, la vera storia di un uomo contro una dittatura africana

La terribile storia di Roberto Berardi, imprigionato ingiustamente in Guinea Equatoriale per due anni e mezzo, diventa un libro edito da Slow News e scritto a quattro mani dallo stesso Berardi insieme al giornalista Andrea Spinelli Barrile. In anteprima su Linkiesta, il primo capitolo.

Oggi, alle ore 18, nell’Aula Magna del liceo G.B. Grassi di Latina verrà presentato per la prima volta il libro Esperanza, scritto a quattro mani da Roberto Berardi e dal giornalista di Slow News Andrea Spinelli Barrile. La presentazione, che si svolgerà sotto il patrocinio di Amnesty International. A presentare, insieme agli autori, ci sarà l’Ambasciatore Giulio Terzi, ex Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana.

In occasione della presentazione e con l’autorizzazione degli autori, pubblichiamo in anteprima il primo capitolo di Esperanza, la vera storia di un uomo contro una dittatura africana, edito da Slow News: la lettera che Roberto Berardi inviò al Presidente in carica dell’Unione Africana e al Segretario Generale dell’ONU, la vigilia di Natale del 2014, dalla cella di isolamento numero 13 della prigione di Bata, in Guinea Equatoriale.

24 dicembre 2014

Al Presidente in carica dell’Unione Africana, con estensione di questa lettera al Segretario Generale dell’ONU.

Vostra Eccellenza,
Signor Presidente, ho deciso, prima che sia troppo tardi, di non rendere il mio sacrificio vano per gli uomini africani: il mio nome è Roberto Berardi. Forse questo non vi dice nulla, credo sia normale, eppure sono uno degli ambasciatori sconosciuti dell’operato africano nel mondo… Senza nome né vantaggio alcuno. Sono un uomo bianco che ha avuto il privilegio e l’onore di aver creato una famiglia con la vostra gente; una scelta, ve lo assicuro, oculata e molto ben riuscita. Non preoccupatevi, oggi non scrivo per raccontarvi la mia storia, visto e considerato che questa ha già fatto il giro del mondo, ma per avvertirvi di una flagello che colpisce un piccolo angolo d'Africa che sarete obbligati, prima o poi, ad affrontare. Desidero che i presidenti della Costa d’Avorio, del Burkina Faso, del Benin, del Gabon, del Mali e soprattutto del Camerun assumano piena consapevolezza di tutto questo, in quanto sono i loro stessi cittadini ad essere maggiormente minacciati.

Molto probabilmente i vostri ambasciatori e i vostri consoli non vi informano in modo sufficientemente chiaro, efficace, di ciò che accade in Guinea Equatoriale nei confronti dei vostri fratelli e delle vostre sorelle… Qualcosa di DEPLOREVOLE. Qui, dove giungono persone da tutta l’Africa dell’ovest perché c’è tanto lavoro e l’economia galoppa da anni, è un vero Inferno sulla Terra per loro: picchiati, umiliati, torturati, derubati, incarcerati ed infine espulsi.

Non è il caso di nascondersi dietro le parole: sì, si tratta di immigrati, la maggior parte di loro è senza documenti… Ma non sono anche degli esseri umani? Sono certo, anzi non ho proprio alcun dubbio, che quello che vi starete chiedendo in questo momento è: perché questo bianco si impiccia così dei nostri affari?

Io vi rispondo, onorevoli presidenti, che questo problema verrà a galla un giorno grazie a centinaia di testimonianze drammatiche che faranno ribollire la rabbia sociale sopita nei vostri paesi. Quel giorno cosa risponderete ai genitori, ai parenti delle vittime: “Non ne sapevamo nulla”?

Vi accuseranno di negligenza, di non voler vedere, di non reagire, e tutto questo senza nemmeno conoscere i particolari della mia vicenda, della nostra vicenda. Non vi lasciate ingannare dai discorsi panafricani degli Obiang, il cui unico intento è insabbiare il problema e nascondere la verità utilizzando sempre gli stessi argomenti: “i bianchi ci vogliono destabilizzare”, “le ONG sono spie internazionali”, “è colpa dell’intransigenza occidentale”… No, non permettetegli di prendersi ancora gioco della vostra intelligenza. Voi, eletti in questi grandi Paesi e rappresentanti di milioni di persone, simbolo della speranza e del futuro di questo maestoso Continente abitato da popoli straordinari avvezzi alla sofferenza ma generosi, ospitali, altruisti e ricchi di valori familiari, un Continente dove i vecchi non vengono abbandonati e i bambini sono sempre considerati un dono di Dio, avete il dovere di fare qualcosa.

Tutte queste ammirevoli virtù, che noi occidentali abbiamo tristemente smarrito, voi avete il dovere di difenderle, proteggerle strenuamente per impedire il perpetrarsi di questi comportamenti criminali. Signor Presidente, la famiglia Obiang vi trae in inganno, tradisce la vostra fiducia: non sono altro che mafiosi, nel vero senso del termine.

Dovete sapere che qui in Guinea Equatoriale questo regime trama per terrorizzare gli stranieri, soprattutto neri: sperano così di poter salvaguardare la loro identità tribale e in particolare le loro smisurate ma effimere ricchezze attraverso la violenza. In realtà queste sono pratiche razziste e xenofobe che appartengono ad altri tempi: quelli del colonialismo.

Qui ogni giorno i vostri concittadini vengono uccisi, pestati, torturati, depredati dei loro beni, imprigionati senza validi motivi, senza alcuna possibilità di difendersi. Molte donne vengono stuprate, altre sono costrette a darsi alla schiavitù sessuale. Che dire delle forze di polizia, della gendarmeria, dei militari, per non parlare della terrificante “Fuerza Especial”, che può agire del tutto impunita? Tuttavia questo non rappresenta in alcun modo il popolo della Guinea Equatoriale, quanto piuttosto una piccola cerchia di accoliti costretti a comportarsi in tale maniera per guadagnarsi la fiducia del “Jefe”, del capo, rimediare un po’ di denaro o anche solo non farsi schedare come un ribelle dal sistema.

Io sono stanco, non ne posso più di vedere e sentire questi drammi senza poter reagire: per questo ho deciso di parlarvene. State tranquilli, non sono in cerca di un qualche ritorno ipocrita da parte vostra, anche perché è probabile che io non esca vivo da questo Inferno.

Ma voi non dovete accettarlo. Quando è troppo è troppo! Evitiamo ogni ipocrisia verso noi stessi, scegliamo di essere critici: questa famiglia, gli Obiang, regna sul Paese facendo affidamento solo sulla forza, sulla brutalità, sull’assenza d’informazione. La loro arroganza, insieme alla grande ricchezza petrolifera, ha accentuato un delirio di onnipotenza rendendolo quasi demoniaco.

Non lavatevene le mani proteggendoli: loro non vi amano, anzi vi disprezzano. Ne guadagnerete enormemente in termini di Giustizia, è vero, ma soprattutto avrete l’occasione di mostrare a tutti la vostra immagine migliore, l’immagine che vi spetta di diritto: un’immagine positiva di un’Africa che è cambiata, di uomini e donne che si battono per riformare il loro ambiente. Sarà una battaglia dura della quale tutto il mondo dovrà congratularsi con voi. Siate inflessibili verso questi malfattori che continuano senza sosta a vanificare i vostri giusti sforzi.

Date l’esempio una buona volta. NO, BASTA COSÍ!

Conosco bene i loro metodi: pensano che il denaro possa far tacere chiunque, comprare tutto. NO, non questa volta! Non lo accettate. Solo così vi conquisterete il rispetto del mondo, con la dignità della politica e con le buone azioni della stessa. Se non credete alle mie parole fate indagini accurate, lanciate appelli per trovare testimoni all’interno delle stesse vostre comunità, vedrete che non ho mentito. Io vi ringrazio signor Presidente, non padroneggio la vostra lingua in tutta la sua complessità e dunque perdonatemi.

Spero solo che un giorno qualcuno possa dire ai miei figli, dei quali sono enormemente fiero, “vostro padre ha fatto qualcosa per l’Africa”. Ecco, quel giorno verrò ripagato di tutto. Grazie ancora.

ROBERTO BERARDI
CELLA D’ISOLAMENTO N°13
PRIGIONE DI BATA GUINEA EQUATORIALE

Due anni e mezzo trascorsi in una cella angusta di un carcere africano in Guinea Equatoriale, picchiato, derubato, ingiustamente accusato e condannato per un reato mai commesso: come può un uomo bianco sopravvivere all’inferno del più repressivo regime d’Africa? La storia di Roberto Berardi, il prigioniero personale di Teodorin Nguema, vicepresidente e figlio del dittatore del paese africano, è anche la storia della battaglia di un uomo e della sua famiglia per la verità. Una storia di speranza come strada alternativa alla sofferenza: dalla verità, dalla disperazione di chi non ha alternative Roberto ha tratto la forza per continuare a lottare, ogni giorno, contro gli orrori dell’inferno carcerario, contro false accuse, le ingiustizie e contro la solitudine. Lasciato solo dal suo Paese Roberto ha trovato nell’amore e nella dignità la forza per combattere la sua battaglia più dura. Quella per la sopravvivenza.

Roberto Berardi è stato in grado di comunicare con il mondo esterno attraverso un telefono cellulare che è stato saltuariamente in suo possesso nel mese di dicembre […] risiede in una cella di isolamento di circa tre metri per tre nella quale la temperatura può salire oltre i 40 gradi. La porta della cella si apre solo una volta al giorno, quando portano un secchio d’acqua e del cibo, insufficiente. La cella è infestata da scarafaggi e mosche cavalline e manca delle più basilari condizioni igieniche. Berardi ha riferito al suo avvocato che dal suo arresto ha perso del peso e che soffre di malaria e dissenteria. Ha anche detto di essere stato più volte sottoposto a torture e maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie, tra cui percosse e frustate. […] Il segretario generale dell’Organizzazione Mondiale contro la Tortura esorta le autorità competenti ad assicurare che al signor Roberto Berardi venga immediatamente concesso il pieno accesso al suo avvocato, al rappresentante consolare, all’ambasciata e sopratutto a cure mediche adeguate”.

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