Sono passati quasi 71 anni da quel 6 agosto del 1945 quando il bombardiere Enola Gay sganciò la prima bomba atomica della storia sulla città giapponese di Hiroshima. E mai prima d’ora un presidente in carica degli Stati Uniti ha fatto visita alla città. Il primo è Obama, già premio Nobel per la pace nel 2009, che in occasione del summit del G7 di Ise-Shima del 26 e 27 maggio ha confermato la presenza sul luogo in cui si è conclusa la Seconda Guerra Mondiale. Prima del suo arrivo, il presidente statunitense aveva già affermato che non si sarebbe scusato per l’attacco atomico. Una decisione confermata anche dopo l’incontro bilaterale del 26 marzo col primo ministro giapponese Shinzo Abe in cui i due hanno deciso di trasformare la visita a Hiroshima in una commemorazione per tutte le vittimi del conflitto che ha causato oltre tre milioni di morti nelle sole fila giapponesi.
Un evento storico, quindi, che tuttavia non chiude con un passato la cui eco si fa ancora sentire nella cultura del Sol Levante che dal dopoguerra in poi è stata permeata da quella statunitense. «In epoca contemporanea abbiamo assistito a un continuo ping pong culturale fra le due sponde del Pacifico – afferma Marco Pellitteri, ricercatore italiano all’università di Kobe – Storicamente il Giappone ha fatto la parte del ricevente, ma dagli anni Duemila in poi soprattutto per quanto riguarda la cultura pop e di massa c’è stato un forte assorbimento di contenuti giapponesi da parte dei giovani americani». E quando Pellitteri parla di contenuti pop, si riferisce ai manga e agli anime (i fumetti e i cartoni animati giapponesi) di cui ha fatto materia di studio in testi come Mazinga Nostalgia (Castelvecchi 1999) e Il Drago e la Saetta (Tunué 2008).
Come si prepara il Giappone a questo storico evento?
Sfortunatamente il dibattito politico in Giappone è quasi inesistente. Da parte della società giapponese non c’è un interesse diffuso rispetto ai temi della politica ma una sorta di understatement nei confronti di larghe fazioni conservatrici. Certo, soprattutto in questi ultimi anni, c’è un interesse per le tematiche internazionali che derivano dalle continue pressioni dei vicini del Giappone fra cui gli Stati Uniti con cui si intrattengono dei rapporti privilegiati dal secondo dopoguerra. Ma in generale, dalla Esposizione Universale di Osaka nel 1970, il Giappone si è seduto. A tutti i livelli.
Il dramma della guerra e dell’esplosione atomica è ben presente nelle produzioni pop. Basti pensare alle scene finali degli anime quando l’eroe rimane a fissare l’orizzonte mentre l’esplosione è ancora in atto in lontananza
Si tratta comunque della prima visita di un presidente americano in carica a Hiroshima. E Obama non è un presidente qualunque: premio Nobel per la pace, primo afroamericano alla scrivania dello studio ovale, vero e proprio fenomeno mediatico degli ultimi anni.
Obama è sicuramente una star per i giapponesi e la sua visita, soprattutto per gli under 40, è più un riconoscimento del Giappone di oggi, un media event che ha a che fare con la personalità del presidente, che una vera e propria riconciliazione. Certo, la visita ha un valore altamente simbolico, ma la distensione dei rapporti fra i due paesi si è già consumata nel corso dei decenni passati.
Sfogliando un manga o guardando un episodio di alcune serie animate, soprattutto quelle robotiche, però la portata del bombardamento atomico di Hiroshima sembra evidente.
Nelle mie ricerche ho sentito e incontrato molti registi e autori di anime giapponesi. Alcuni nati negli anni ’20 o ’30 e che hanno vissuto la guerra da spettatori indiretti. Alla mia domanda sull’utilizzo di certe immagini e certi dettagli legati alla distruzione, alla morte e simili mi hanno risposto che l’utilizzo delle esplosioni a forma di fungo atomico, per esempio, era finalizzato ad ottenere un effetto scenico evidente, riconoscibile e rindondante. Approfondendo il tema, però, si capiva che il dramma della guerra e dell’esplosione atomica era ben presente. Basti pensare alle scene finali degli anime quando l’eroe rimane a fissare l’orizzonte mentre l’esplosione è ancora in atto in lontananza.
Hiroshima rappresenta sicuramente una cesura storica per il Giappone. La fine dell’impero, una costituzione democratica e pacifista di stampo occidentale e l’inizio di un percorso che negli anni ’80 lo ha portato fra le élite internazionali. Che ruolo occupa il passato nelle produzioni a fumetti?
C’è sicuramente una ripresa della tradizione, non solo quella dell’epoca Edo ma anche di quelle precedenti. Tuttavia si assiste a un’opera di ricostruzione del passato. Per esempio, i samurai erano dei vigliacchi al soldo del signorotto di turno, erano persone spietate, non eroi senza macchia. Lo stesso vale per l’origine dei fumetti: come in altre parti del mondo, anche in Giappone sono nati sulla carta stampata a fine ‘800 e non con le stampe di epoca medievale. Eppure è forte la tendenza a dare vita a prodotti fantasiosi che innestano sulla società e la cultura giapponesi tratti che le sono estranei. Per esempio, una serie animata come Detective Conan che in italia ha avuto molto successo, si basa su una realtà che in Giappone non c’è. Stiamo parlando di un Paese in cui se perdi il portafoglio per strada, lo ritrovi al commissariato più vicino con tutto il suo contenuto all’interno. Soldi inclusi.
Qual è la caratteristica delle produzioni più attuali?
Ora si assiste a una sorta di femminilizzazione dei prodotti culturali che corrisponde all’emersione di una fetta di popolazione maschile che viene definita “erbivora”. Sono maschi, giovani, che magari non hanno mai avuto un rapporto con una ragazza e consumano prodotti come Doraemon o Creamy. In queste serie non c’è nessun contenuto impegnato come invece possiamo trovare in titoli come L’Uomo Tigre.
Titoli come Zipang dimostrano l’ambivalenza della sensibilità giapponese sulla visione del proprio passato: da un lato, l’aspetto guerrafondaio dell’impero, dall’altro quello pacifista odierno che, nonostante le forti pressioni politiche internazionali per un cambio della costituzione e soprattutto degli articoli sulle Forze di Autodifesa, è reticente alle modifiche
Perché?
Questo è dovuto a una frammentazione delle narrazioni. Si fa sempre meno riferimento a degli universali che possono essere riconosciuti in ogni cultura, per rispondere a una domanda di elementi pop come i tratti moe e kawaii tipici della cultura di massa.
Eppure in titoli meno noti in Italia ma diffusissimi in Giappone come Zipang si racconta di un cacciatorpediniere contemporaneo che si ritrova proiettato indietro nel tempo durante la battaglia delle isole Midway del 1942. Insomma, il passato sembra sempre tornare.
Titoli come Zipang dimostrano l’ambivalenza della sensibilità giapponese sulla visione del proprio passato: da un lato, l’aspetto guerrafondaio dell’impero, dall’altro quello pacifista odierno che, nonostante le forti pressioni politiche internazionali per un cambio della Costituzione e soprattutto degli articoli sulle Forze di Autodifesa, è reticente alle modifiche memore dell’escalation militarista del passato. Nei manga e negli anime questo è ben rappresentato dalla caratterizzazione del “cattivo” che spesso utilizza armi radioattive. È contro questa minaccia che combattono i “buoni” senza macchiarsi di una guerra sporca.
E quanto pesa ancora l’influenza americana nella cultura giapponese?
Sicuramente l’influenza culturale statunitense è molto forte. Ma mi sento di dire che rimane in superficie mentre, soprattutto nel campo dei fumetti, quella europea è più profonda. In Europa infatti è molto forte l’attenzione per gli aspetti emozionali dei prodotti, una caratteristica più vicina all’attitudine giapponese di vivere con maggiore consapevolezza una dimensione di interiorità che poi trova espressione in prodotti culturali come i manga e gli anime.