POTENZA – Passata la buriana delle giornate di arresti e interrogatori l’attenzione sull’inchiesta petroli in Basilicata è scesa. Interrogatori che non si sono però fermati, così come non si sono fermate le indagini del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Potenza. In questi giorni i pm Francesco Basentini e Laura Triassi hanno approfondito il filone “siciliano” dell’inchiesta, quello cioè riguardante il porto di Augusta, ma è ancora il versante potentino che potrebbe evolversi nei prossimi giorni.
A confermarlo sono Sergio Pascali, comandante dei carabinieri per la tutela dell’ambiente e Luigi Vaglio, comandante del Noe di Potenza, davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. La procura di Potenza sta infatti lavorando sull’ipotesi di disastro amientale, reato che al momento non è ancora stato contestato dalla procura ma su cui sono in corso ulteriori approfondimenti. “Vi è un’indagine epidemiologica in atto – dice Pascali – relativa a una serie di valutazioni per eventi che nel corso del tempo hanno colpito soggetti che sono intervenuti all’interno del COVA di Viggiano riportando conseguenze sanitarie”.
I pm, spiega Pascali, stanno procedendo a una comparazione di quanto lamentato da soggetti che son intervenuti all’interno del centro oli con ciò che poi è stato accertato e diagnosticato negli ospedali. “Soltanto all’esito di questa perizia si potrà valutare con maggior concretezza, con maggiori dati di fatto effetti lesivi per la comunità lucana”.
Le indagini in questo senso sono dunque ancora in corso e solo alla ricezione della perizia i pubblici ministeri decideranno se procedere anche per il disastro ambientale nei confronti degli attuali dirigenti Eni indagati. dirigenti che, dice Pascali davanti alla commissione, si sono prestati a un “pactum sceleris” per non aver segnalato a Regione Basilicata, provincia e comuni gli sforamenti delle emissioni come previsto dall’autorizzazione di impatto ambientale. Segnalazioni che “Venivano riferite in maniera frammentaria, assolutamente non rispondente al vero, cercando di omettere il mal funzionamento di tutta l’impalcatura impiantistica, perché al malfunzionamento naturalmente dovevano seguire degli interventi mirati con il blocco dell’attività estrattiva, e quindi con il blocco di tutto l’impianto, con ripercussioni sui profitti dell’azienda e sulla gestione dei livelli occupazionali”.
I diregenti indagati “si sono prestati a un “pactum sceleris” per non aver segnalato a Regione Basilicata, provincia e comuni gli sforamenti delle emissioni come previsto dall’autorizzazione di impatto ambientale”
In non più di un anno, sottolinea Pascali, vi sono state “ben 208” segnalazioni di sformaenti sulle apparecchiature a disposizione degli organi di controllo. Segnalazioni che dovevano essere trasmesse a Regione Basilicata, Arpab e comune. Le trasmissioni però o non avvenivano o avvenivano in ritardo rispetto alle otto ore imposte dall’autorizzazione ambientale come termine. “Il pactum sceleris, in buona sostanza – chiosa Pascali rispondendo alle domande della commissione – si concretizza proprio in questa linea univoca da parte dei dirigenti di ritardare le comunicazioni agli organi proposti, e così di temporeggiare sino a omettere interventi necessari”.
Le indagini dunque proseguono. Il 5 maggio la procura ha convocato il commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Augusta Alberto Cozzo, indagato nel filone “siciliano” dell’inchiesta. Il commissario si è avvalso della facoltà di non rispondere affidandosi a una memoria depositata dal suo legale Dario Pastore ai pm potentini.
Intanto la commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti l’11 maggio ha convocato a Roma il radicale Maurizio Bolognetti, che tra i primi sollevò il caso Basilicata davanti alla stessa commissione nella passata legislatura. Un’audizione da cui, spiega Bolognetti a Linkiesta, “mi aspetto un confronto con domande precise a cui sono pronto a rispondere carte e dati alla mano”.