Strano destino quello della parola “agile” di questi tempi. Se la leggi all’inglese, ha a che fare con una metodologia di project management in voga all’estero. Se l’accento è italiano, richiama alla mente qualcosa che, in azienda, vi diranno spesso: «Devi avere la mente agile, essere capace di passare da un progetto all’altro, mettere in campo competenze diverse».
E, se eravate a Milano il 18 febbraio, ci avrete fatto di certo caso: quel giorno è stato dedicato al Lavoro Agile (non solo lì, ma anche a Torino, Napoli ecc…). Con aziende che hanno autorizzato i loro dipendenti a lavorare da casa, postazioni gratuite di coworking, tribune di piscine “trasformate” in uffici (è il caso della milanese Cozzi). Bastano proposta di legge e giornata dedicata? Ni, bisogna cambiare l’approccio al lavoro Pensateci bene: 3 accezioni diverse con un unico comune denominatore, il lavoro.
Servono azioni davvero “disruptive” che cambino nel profondo la mentalità dei due attori principali coinvolti: le aziende e i lavoratori.
Ma basta una giornata a cambiarlo? A mettere in discussione badge e orari? Non proprio. Non fraintendetemi: della Giornata del Lavoro Agile sono una gran sostenitrice, ma una sola giornata non è sufficiente. Né lo è un disegno di legge che vuole equiparare – per opportunità, stipendi e carriera – il lavoratore in ufficio e quello da casa. E a poco servono le lodevoli iniziative di aziende che concedono “dall’alto” modalità di smartworking. Servono azioni davvero “disruptive” che cambino nel profondo la mentalità dei due attori principali coinvolti: le aziende e i lavoratori.
Le aziende devono partire dalle esigenze di questi ultimi e da ciò che conta di più per qualsiasi impresa, quale sia il suo business: raggiungere i risultati previsti nel tempo ipotizzato. Esigenze e obiettivi, che con le 8 ore, in un mondo iperconnesso, c’entrano poco e che devono tener conto del benessere del lavoratore sì, ma anche del suo essere davvero efficiente ed efficace.