Paghi troppe tasse? La colpa è (anche) della Corte di Cassazione

Troppi ricorsi, giudici impreparati nonostante l’esperienza, decisioni contraddittorie e troppo spesso motivate da “ragioni di cassa”: se si vuole che il fisco cambi bisogna per forza passare da una riforma della Suprema Corte. Che c’è già e prende polvere in Parlamento

Non solo commissioni tributarie: tra le cose che non funzionano nella giustizia tributaria italiana c’è anche la Corte di Cassazione. Strano, penserà qualcuno: com’è possibile che un giudice togato, pure di esperienza, combini gli stessi guai dei membri improvvisati delle commissioni tribuntarie provinciali e regionali?

Anche nel caso della Suprema Corte il problema riguarda principalmente l’enorme numero di ricorsi iscritti ogni anno in materia tributaria – se ne contano almeno 10.000 – oltre a una preparazione non specialistica dei magistrati. Chi si occupa ogni giorno della materia, del resto, sa bene che nella stessa giornata, su uno stesso argomento, possono avere luogo prounciamenti della Cassazione totalmenti opposti l’uno con l’altro, in barba alla certezza del diritto.

Non solo: sempre più spesso in Cassazione le decisioni sembra siano dettate da esigenze di cassa, più che da quelle di diritto. Ad esempio, le decisioni sugli atti formati dai dirigenti dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale o la recente sentenza delle sezioni unite in tema di contraddittorio preventivo.

Nella stessa direzione, peraltro, possono essere lette anche le politiche – pro fisco – fondate su eccessi di formalismo con cui si dichiarano inammissibili i ricorsi del contribuente. Del resto, non è un caso che le vittorie del contribuente in Cassazione rappresentano una percentuale bassissima, pari a circa il 20%.

Non è un caso che le vittorie del contribuente in Cassazione rappresentano una percentuale bassissima, pari a circa il 20%

Che fare, quindi? Innanzitutto, bisogna ridurre il carico dei ricorsi che arrivano in Cassazione. Cosa che si può fare con una seria riforma dei primi due gradi di giudizio. Allo stesso modo, appare sempre più indispensabile l’istituzione di una vera e propria sezione specializzata della Suprema Corte, adottando per esempio la soluzione contenuta nel ddl n. 988 del 1 agosto 2013 che ancora oggi prende polvere in Parlamento.

Un ddl in cui si propone che la Sezione Specializzata Tributaria sia composta da trentacinque giudici, ripartiti in cinque sottosezioni, in ragione della materia: imposte sui redditi, imposta sul valore aggiunto, altri tributi, riscossione, rimborsi. Si prevede inoltre un collegio composto dai presidenti di tali cinque sottosezioni per la decisione delle questioni di massima di particolare importanza, così da privilegiare la formazione di una nomofilachia in grado di eliminare all’origine i contrasti (a volte anche inconsapevoli) di decisioni.

Si tratta di una riforma relativamente semplice. Che, tuttavia, avrebbe enormi benefici nel migliorare e sveltire l’incedere della giustizia tributaria: perché darebbe delle linee di indirizzo chiare. Scoraggiando entrambe le parti (e non solo il contribuente) nel proporre impugnazioni in contrasto con esse.

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