Oltre quattro milioni di giocatori amatoriali, un milione di tesserati, sessantamila squadre e ventimila campi sparsi in tutta Italia. Siamo un Paese nel pallone, letteralmente. Il calcio è storia, passione, business. È lo sport di gran lunga più diffuso, ma anche una delle eccellenze del Made in Italy. Siamo un popolo di santi, poeti, navigatori, ma soprattutto calciatori. Su e giù per lo Stivale ci sono 13.491 società e 61.435 squadre (ma cinque anni fa erano 10mila in più). Il risultato? Un italiano su 56 risulta tesserato per una delle 13.389 società di calcio dilettantistico e giovanile. A presentare le cifre del settore è ReportCalcio 2016. Un vero e proprio censimento pallonaro realizzato dalla Federcalcio insieme a Pricewaterhouse Coopers e l’agenzia Arel – diretta dall’ex premier Enrico Letta – e illustrato nella sala della Regina di Montecitorio.
Gli italiani pensano sempre al calcio. E ogni momento è buono per una bella partita. Lo scorso anno, così, sono state disputate 609.790 gare ufficiali (3.791 quelle professionistiche). In pratica 1.670 partite al giorno. Il pallone è argomento di analisi, discussione, confronto. Dal bar all’ufficio. Siamo un paese di commissari tecnici, si dice spesso scherzando. Gli allenatori tesserati, invece, sono “solo” 22.921. Insieme a 235mila dirigenti e 1.099.455 calciatori, ingrossano le fila della Figc.
È la federazione sportiva di gran lunga più diffusa nel Paese. Il 25,4 per cento degli atleti tesserati per le 45 federazioni italiane viene proprio dalla Federcalcio. In pratica uno sportivo su quattro è un calciatore. La pallavolo, secondo sport in classifica, conta 367.943 tesserati. Sono tanti, ma non è un record. Francia, Germania e Inghilterra hanno più calciatori tesserati di noi. La Germania, primo paese europeo della classifica, può contare su un esercito di quasi 4milioni di giocatori.
La Federcalcio tessera 1.099.455 calciatori. La Germania, primo paese europeo della classifica, può contare su un esercito di quasi 4milioni di giocatori
Del resto il numero dei calciatori professionisti è in calo. Nella stagione 2014-15, quella presa in considerazione dal censimento, erano 12.211. Ma quattro anni prima arrivavano a 14.477. Persino i giocatori che svolgono attività dilettantistica sono scesi da 466.371 a 388.954. Ci salvano i più piccoli. Considerando i calciatori impegnati nell’attività di settore giovanile e scolastico, nel periodo considerato si è registrato un aumento da circa 670mila a 698.290. Il futuro del pallone sono i ragazzini. C’è un dato particolarmente sorprendente: i calciatori maschi tesserati tra i 5 e i 16 anni rappresentano il 20,3 per cento della popolazione italiana di quell’età. In pratica un bambino su cinque.
E poi ci sono gli arbitri. Spesso bistrattati, rappresentano anche loro un’eccellenza italiana. I tesserati AIA sono 34.765, in Europa solo la Germania fa meglio di noi. Eppure i fischietti d’Italia sono considerati i migliori. Il nostro Paese può contare su 36 arbitri internazionali in attività – primato assoluto – che la scorsa stagione sono stati designati in 364 competizioni in giro per il continente.
Il calcio ci piace, lo guardiamo soprattutto in tv. E il mito resta la maglia azzurra. È stato calcolato che nel 2015 solo i diritti televisivi relativi alle partite delle nazionali di calcio – sono quindici squadre – hanno raggiunto i 35 milioni di euro. In media, ogni volta che gioca la nazionale maggiore, si raggiungono 3,2 milioni di euro di ricavi per i diritti tv. Del resto chi è che non guarda le partite dell’Italia? Incollati davanti al televisore gli italiani hanno seguito le gare degli azzurri con un’audience media di 6,6 milioni di telespettatori e uno share del 26,8 per cento.
Stadi antiquati e deserti. In serie A la media è di 21.586 spettatori a partita. In Inghilterra sono 36.179, in Germania addirittura 43.568
Tutti sul divano, pochi allo stadio. Ecco il vero problema del calcio italiano: gli impianti sportivi. Nella stagione 2014-15, come ammette la stessa Federcalcio «la situazione continua a rimanere fortemente critica». Solo in Serie A gli stadi vengono riempiti poco oltre il 50 per cento della capienza (55 per cento). In serie B si arriva al 41 per cento. In Lega Pro al 24 per cento. Di fatto restano deserti tre posti su quattro. Il deserto. In serie A la media è di 21.586 spettatori a partita. La grande differenza con le altre realtà europee è proprio qui. In Inghilterra si registrano 36.179 spettatori per gara. In Germania addirittura 43.568. Un dato su tutti: la scorsa stagione il numero complessivo dei posti rimasti invenduti nei nostri stadi di serie A, tra campionato e coppe, era di 8,4 milioni. In Bundesliga solo 1,3 milioni. E 1,4 milioni nella premier league inglese.
Del resto i nostri stadi sono tutto tranne che confortevoli. Il documento parla di “notoria arretratezza”. In serie A l’età media degli impianti è di 64 anni. Il 44 per cento dei 16 stadi della massima serie è stato inaugurato prima del 1949. Percentuale che sale al 59 per cento dei 22 impianti di serie B, dove l’età media è di 68 anni. Comfort? Poco. E se piove ci si bagna: gli impianti del massimo campionato garantiscono un posto coperto solo al 77 per cento dei posti a sedere. In serie B e Lega Pro non si arriva nemmeno al 35 per cento. Un problema per lo spettacolo, per i tifosi, ma anche per le società. Se gli impianti fossero riempiti all’80 per cento delle loro possibilità – spiega lo studio – i club della serie A potrebbero ottenere almeno 100 milioni di euro in più. Almeno 178 milioni di euro aggiunti se gli stadi fossero pieni come negli anni Ottanta.
A dispetto di tanta passione, infatti, la situazione economica dei grandi club è sempre più preoccupante. Mentre i costi crescono, i conti delle squadre professionistiche continuano a peggiorare. «La perdita netta aggregata di 430 milioni di euro registrata nella stagione 2010-2011 – si legge nel documento – ha raggiunto i 536 milioni di euro nell’ultima stagione da noi analizzata». Oggi «le risorse degli azionisti si stanno dunque prosciugando, l’indebitamento è stabile (3.386 milioni di euro nel periodo 2014-15) e l’intervento di nuovi investitori è pertanto improrogabile».