Crisi dei migrantiArresti nelle chiese, tentati suicidi e politici che scappano: è caos alla frontiera di Ventimiglia

Ventimiglia un anno dopo: deportazioni di migranti con gli aerei di Poste Italiane, il sindaco del Pd si autosospende dal partito. Il Vescovo: «Portare una persona a 2000 km con la forza è una deportazione». Le accuse dei No Borders: «C'è chi prova a suicidarsi con i cavi elettrici»

Ventimiglia è un tappo. È stato un maggio drammatico quello che la cittadina ligure si è appena lasciata alle spalle sul fronte crisi dei migranti: deportazioni nell’hotspot di Trapani con la collaborazione della compagnia aerea di Poste Italiane, Mistral Air, respingimenti alla frontiera francese, fogli di via, sgomberi e, infine, l’episodio eclatante del 30 maggio, quando un centinaio di migranti e una dozzina di italiani e francesi hanno trovato rifugio in una parrocchia, con il beneplacito del Vescovo di Ventimiglia-Sanremo, Monsignor Antonio Suetta. E da lì sono stati prelevati.

Ventimiglia è un tappo che non salta non la pressione dei migranti intenzionati ad andare in Francia, sulla cui pelle si giocano partite politiche sempre più cruciali per il futuro dell’Europa, con l’interessamento di attori sempre più variegati, e con il recente indiscusso protagonismo della Chiesa cattolica.

La situazione emergenziale, che dalla scorsa estate e dallo sgombero del presidio alla spiaggia dei Balzi Rossi non si è mai del tutto sopita nonostante l’abbassamento dei riflettori mediatici, è tornata incandescente negli ultimi mesi, quando i migranti accalcatisi alla frontiera hanno ricominciato prepotentemente ad aumentare e, soprattutto, a richiedere con decisione l’apertura della frontiera.

Ventimiglia è un tappo per migranti. Nell’ultimo mese deportazioni negli hotspot del sud Italia con gli aerei di Poste Italiane, sgomberi, fogli di via. Il 30 maggio un fatto senza precedenti: prelevate persone anche dalla chiesa di San Nicola dove Vescovo e Parroco avevano offerto riparo

Il centro d’accoglienza di fianco alla stazione, gestito dalla Croce Rossa e in passato oggetto di duri attacchi da parte della Lega Nord, aveva cominciato ad essere disertato dai migranti da quando, dopo gli attacchi di Parigi e il clima che ne è scaturito, aveva iniziato a richiedere che le persone ospitate lasciassero le impronte digitali. Secondo gli accordi di Dublino III, ciò significava per loro dire addio ad ogni possibilità di richiedere asilo politico in Francia o in qualunque altro Paese del nord Europa. I migranti, di conseguenza, hanno ripreso a dormire, in numero sempre maggiore nella stazione stessa o in accampamenti di fortuna come quello imbastito a fine aprile alla foce del fiume Roja.

Un primo momento di svolta è avvenuto il 7 maggio, quando il ministro dell’Interno Alfano si è recato a Ventimiglia, annunciando l’imminente chiusura del centro d’accoglienza, e la sua intenzione di risolvere il problema a monte, cioè prima dell’arrivo dei profughi al confine: «O queste persone lo capiranno con le buone – ha dichiarato – o dovremmo farli scendere prima che arrivino a Ventimiglia”. La ricetta? Intensificare i controlli, con il raddoppiò del contingente di forze dell’ordine, passato da 60 a 120 agenti, e militari presenti sul territorio. I controlli lungo tutta la linea ferroviaria del ponente ligure. Costringere i senza documenti a rilasciare le impronte digitali in Italia, eventualmente impiegando un «moderato uso della forza», sempre secondo le parole del ministro.

Il 7 maggio la visita di Alfano che parla di «moderato uso della forza». Raddoppiati gli agenti di polizia, da 60 a 120. Il Vescovo Suetta: «Portare una persona a 2000 km di distanza con la forza è una deportazione». Le accuse dei No Borders: «C’è chi ha provato a suicidarsi con i cavi elettrici»

Nei giorni immediatamente successivi il campo alla foce del Roja è stato sgomberato dalle forze dell’ordine, e la città è stata setacciata in lungo e in largo, con controlli, identificazioni e, a partire dal 12 maggio, vere e propri trasferimenti di massa dei migranti, caricati su degli autobus fino a Genova e da lì su aerei della compagnia Mistral Air, di proprietà di Poste Italiane, diretti nei vari Cie e Hotspot presenti nel sud Italia. «Deportazioni», le hanno chiamate i “No borders”, il gruppo di attivisti italiani e francesi che da un anno sostiene il diritto al transito dei migranti. E “deportazioni” le ha chiamate anche il Vescovo Suetta, attirandosi le aspre critiche di Sonia Viale, leghista e vice Presidente di Regione Liguria: «Evocare le deportazioni usate dai regimi totalitari nazisti e comunisti mezzo secolo fa e accostarle all’operato delle forze dell’ordine che ogni giorno sono impegnate nel sempre più difficile compito di far rispettare le leggi europee e nazionali è un grave errore che rischia anche di generare pericolosi conflitti sociali»

Accuse a cui il vescovo, intervistato da Linkiesta, ha risposto in maniera perentoria: «Non ho evocato i regimi totalitari nazisti e comunisti. Dico solo che prendere una persona con la forza e trasportarlo a 2000 km di distanza la chiamo deportazione». E, rincarando la dose, ha messo in evidenza il rischio connesso alla suddivisione tra migranti economici e rifugiati politici: «Questa distinzione non mi piace in linea di principio, perché di norma le guerre vanno a prodursi quando ci sono problemi economici. E anche laddove non ci sono vere e proprie guerre, spesso ci sono dittature che tutelano anche gli interessi occidentali mantenendo la popolazione in estrema povertà. Ma anche volendo mantenere questa divisione, il rischio che i migranti ritenuti “economici” vengano spediti in paesi come la Turchia, che non ha centri d’accoglienza ma di vera e propria detenzione, rende il rischio di deportazioni ancora più grave. Per ora so che i migranti vengono spostati solo sul territorio italiano, ma non si sa mai ed è meglio adottare una cautela in più che una in meno».

Tuttavia, non sono sole le deportazioni i comportamenti delle forze dell’ordine a finire sul banco degli imputati. I “No borders” da settimane parlano di vera e propria “caccia all’uomo” e denunciano la violenza attuata nei confronti di africani e mediorientali presenti a Ventimiglia: «Sappiamo che alcuni hanno provato a resistere all’identificazione.

Qualcuno, nei giorni scorsi, ha messo a rischio la propria vita, provando a darsi la scossa con un filo elettrico e poi bevendo l’inchiostro presente nell’ufficio del commissariato. Sappiamo anche che una persona di nazionalità eritrea fermata sul confine è stata picchiata dalla polizia di frontiera italiana, aveva i segni delle percosse, ha provato ad impiccarsi con un filo elettrico». Il Vescovo Suetta attacca invece i metodi della polizia francese: «L’anno scorso la Gendarmerie aveva posizionato davanti alla frontiera un container metallico, che usava come sala d’attesa per le perquisizioni; ma un container metallico sotto il caldo d’agosto non è un container, è un forno».

Accuse gravissime: «Percosse su un eritreo che resisteva all’identificazione. Un altro ha provato a bere l’inchiostro in commissariato». Monsignor Antonio Suetta: «L’anno scorso la Gendarmerie aveva allestito un container metallico per le perquisizioni. Ad agosto era come un forno»

Negli ultimi giorni la situazione è degenerata ulteriormente. I migranti, che con il sostegno degli attivisti avevano spostato il campo più nell’interno, nei pressi di un ponte sul Roja, hanno ricevuto venerdì scorso una nuova notifica di sgombero, con un ultimatum di 48 ore per “motivazioni igienico-sanitarie”. L’ordinanza è stata firmata direttamente dal sindaco Enrico Ioculano, che però subito dopo, insieme ai consiglieri del Partito democratico, si è auto-sospeso dal partito per protesta “contro la mancata posizione a livello politico da parte degli organi centrali e regionali del Pd e del governo, per risolvere la questione migranti a Ventimiglia”. Lo sgombero, tuttavia, è fallito: lunedì mattina alle 5.40 sono arrivati nella cittadina 180 agenti, a bordo di 16 camionette e in tenuta antisommossa, ma il campo era deserto. I migranti, infatti, si sono spostati la sera prima sulla spiaggia, dove al termine di un’assemblea hanno mosso verso la chiesa di San Nicola, in pieno centro. Lì, su indirizzo del vescovo, il parroco ha ospitato il centinaio di persone presenti, compresi alcuni italiani e francesi. Per tutto il resto della giornata le forze dell’ordine hanno perlustrato la città, riuscendo comunque a fermare decine di migranti, che sono stati spediti a Genova a bordo di autobus.

Il sindaco del Pd, Enrico Ioculano, ha firmato l’ordinanza di sgombero e dopo poche ore si è autosospeso dal partito assieme ai consiglieri comunali: «Gli organi del pd e il Governo non hanno una posizione su Ventimiglia»

Verso sera l’ultimo atto: la polizia si è presentata alle porte della parrocchia e ha prelevato, sotto minaccia di un intervento forzoso, i 13 cittadini europei lì presenti, che sono stati trattenuti la notte in commissariato e a cui è stato immediatamente notificato un foglio di via da Ventimiglia e da altri cinque comuni del ponente ligure. Un evento che non ha precedenti: l’eccezionalità di una prova di forza all’interno di una proprietà della Chiesa è stato un evento che ha destato grande sconcerto.

Solo ieri i migranti sono usciti dalla chiesa e hanno deciso di marciare verso il confine. Fermati dalla polizia, dopo ore di tensione la situazione si è risolta con una mediazione della Caritas, che verso sera, in accordo con la prefettura, ha dato ospitalità temporanea ai più di 200 migranti rimasti in città dentro e fuori da un’altra chiesa, quella di Sant’Antonio.

La quiete dopo la tempesta grazie alla mediazione della Caritas che ha dato ospitalità temporanea a 200 migranti. Ma loro non si fermano: «Lo gridiamo da un anno: We are not going back»

L’obiettivo dichiarato del Vescovo Suetta è quello di dare vita a un nuovo centro d’accoglienza per transitanti, senza obbligo di identificazione e gestito da volontari e da mediatori culturali, con l’obbiettivo di convincere i profughi ad accettare un percorso d’accoglienza in territorio italiano.

Questi ultimi, però, non si arrendono: «Ringraziamo la Caritas per l’assistenza – afferma uno di loro – ma noi vogliamo dare di là, in Francia”. A distanza di quasi un anno dalla clamorosa protesta di Ponte San Ludovico, che per alcuni giorni aveva portato Ventimiglia sulle prime pagine di giornali nazionali e internazionali, la parola d’ordine dei migranti in transito è rimasta la stessa: «We are not going back».

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club