“Terra di nessuno”. La definizione di Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera, non potrebbe essere più appropriata. Mentre un uragano ha fatto perdere quasi il 30% del valore di Borsa delle banche italiane in sole due sedute (con un rimbalzo finalmente arrivato martedì mattina), nessuno ha ancora chiaro quale sarà il percorso di messa in sicurezza del nostro sistema finanziario. Né quanto tempo sarà necessario. La via maestra, che avrebbe permesso di non vedere neanche profilarsi gli attacchi alle banche, la garanzia unica sui depositi bancari – terza gamba dell’Unione bancaria – è lontanissima dall’attuazione.
Per questo un Piano B molto più costoso è all’orizzonte. Peserebbe sui conti italiani, per una cifra che da alcune fonti interne è stata stimata in 40 miliardi di euro. E, per quanto tutti si affrettino a smentirlo, potrebbe in linea teorica portare all’intervento del Meccanismo europeo di stabilità (Esm o Mes). Quello che era noto più comunemente come Fondo salva Stati e che è stato una delle tre gambe della Troika, assieme a Bce e Fondo monetario internazionale. L’Italia potrebbe diventare il laboratorio di un nuovo approccio dello stesso Esm, che dovrebbe diventare una sorta di Fondo monetario europeo.
Il vertice a tre di Berlino di lunedì sera tra Merkel, Hollande e Renzi non ha ancora dato risposte, quanto meno che siano trapelate. Ha aperto scenari sicuramente positivi per l’evoluzione di dossier che fin qui erano stati bloccati: sicurezza, anche militare, immigrazione, lavoro giovanile, rapporti con Turchia e Nord Africa, digitalizzazione dell’industria, armonizzazione fiscale. “C’è un’accelerazione della storia”, ha scritto sul Corriere Danilo Taino, inviato da Berlino.
Tuttavia, su come l’Europa lascerà che le banche italiane siano messe al sicuro dalla speculazione non c’è affatto chiarezza. «Matteo Renzi ieri ne ha parlato con Angela Merkel a Berlino e la cancelliera tedesca non avrebbe espresso una posizione molto chiara in proposito», scrive Federico Fubini sullo stesso giornale. Bene. Anzi, molto male. Perché un altro segnale arrivato ieri da Berlino è la sconfessione della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel. Non solo una bocciatura della persona, ma più in generale della Commissione. La quale, nella visione merkeliana, dovrà lasciare sempre più spazio, nelle decisioni strategiche, agli Stati membri dell’Unione. Chi prenderà in mano, quindi, il pallino della questione banche? Le cronache parlano di una telefonata, ieri, dal ministero dell’Economia alla commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, che ha competenze sulle banche e qualche mese fa concesse una versione minimale, diffusa e sostanzialmente inutile della bad bank. Il motivo, allora, fu semplice: non era possibile allestire una bad bank di sistema con garanzia pubblica perché ciò avrebbe significato un aiuto di Stato.
Il vertice a tre di Berlino di lunedì sera tra Merkel, Hollande e Renzi non ha ancora dato risposte. Matteo Renzi ieri ha parlato di banche con Angela Merkel a Berlino e la cancelliera tedesca non avrebbe espresso una posizione molto chiara in proposito
Oggi, però, le cose sono cambiate. La Brexit potrebbe essere considerata come una circostanza eccezionale che permette, ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, di fare interventi pubblici altrimenti non concessi. Repubblica, con Roberto Petrini e Giovanni Pons, lancia l’ipotesi di un corridoio di sei mesi che sarebbe lasciato ai governi per intervenire. Non solo: sempre l’eccezionalità della Brexit potrebbe consentire anche una deroga alla normativa sul bail-in, che impone di far pagare azionisti e obbligazionisti prima di un aiuto pubblico. Tali interventi (sempre secondo Repubblica) sarebbero di tre tipi. Il primo: una garanzia di Cdp e di investitori privati su un nuovo round di aumenti di capitale. Il secondo: dei “Padoan bond”, da emettere sulla falsa riga dei Tremonti Bond, sottoscritti da alcune banche nel 2010; queste obbligazioni potrebbero essere in seguito convertite in capitale (come successe con Mps, dove lo Stato si avvia a divenire il primo azionista). In terzo intervento sarebbe la costituzione di un “fondo Atlante 2”, per l’acquisto massiccio di crediti deteriorati (Npl). L’attuale fondo Atlante (partecipato dalle principali banche italiane e da Cdp) ha poco di più un miliardo di euro da spendere e proprio questa esiguità di risorse pone le banche italiane in una posizione di debolezza: nessuno sembra credere che possa essere efficace. Lo stesso presidente di Atlante, Alessandro Penati, al Festival dell’Economia di Trento ipotizzò la creazione di un secondo fondo.
La Brexit potrebbe essere considerata come una circostanza eccezionale che permette, ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, di fare interventi pubblici di salvataggi. Ci potrebbe essere un corridoio di sei mesi che sarebbe lasciato ai governi per intervenire. Non solo: sempre l’eccezionalità della Brexit potrebbe consentire anche una deroga alla normativa sul bail-in
Tutte queste misure, con una spesa di decine di miliardi di euro destinate a far saltare (a meno di artifici contabili per l’utilizzo della Cdp) il tetto del rapporto deficit/Pil al 3%, potrebbero essere attuate senza l’intervento del Meccanismo europeo di stabiità? La domanda non può che sorgere anche per la coincidenza della cifra (40 miliardi) con quella che a suo tempo chiese la Spagna per mettere al riparo le proprie banche attraverso una bad bank e che attivò l’intervento della Troika.
È prematuro immaginare cosa comporterebbe l’arrivo del Meccanismo Europeo di Stabilità. Se agisse da solo (senza Bce e Fmi, i capitali li ha) e avesse un approccio più morbido rispetto a quello seguito dalla Troika in Grecia e Portogallo, le conseguenze sociali potrebbero essere limitate. L’Italia diverrebbe quindi un banco di prova del nuovo Fondo Salva Stati, che le autorità comunitarie hanno intenzione di traformare in una sorta di Fondo monetario europeo. D’altra parte, come ricordò uno studio del Centro Bruegel di Bruxelles, quando la Troika è intervenuta per mettere ordine nelle crisi finanziarie, ossia in Irlanda, Spagna e Cipro, i risultati sono stati molto più apprezzabili di quando è intervenuta sul fronte fiscale, come in Portogallo e Grecia. L’Italia, dopo la crisi del 2011, perse l’occasione di attivare una bad bank (anche per l’opposizione dell’Abi, l’associazione delle banche italiane), occasione che non ritornò perché successivamente furono vietati gli aiuti di Stato. Un errore che sarebbe il caso di non ripetere. Lunedì l’Abi ha fatto nuovamente sapere di non vedere di buon occhio un intervento pubblico.
Nelle decisioni sul ruolo dell’Esm le valutazioni dovranno essere politiche, perché le conseguenze dell’arrivo dell’Esm potrebbe avere serie ripercussioni politiche. Toccherà a Matteo Renzi spiegare ad Angela Merkel che un intervento draconiano dell’Esm potrebbe portare dritto alla bocciatura del referendum istituzionale, a un sistema parlamentare instabile con l’Italicum alla Camera e il “Consultellum” al Senato come legge elettorale. A quel punto, la strada sarebbe ancora più incognita: governo tecnico “di scopo” per una nuova legge elettorale, oppure nuove elezioni con probabile vittoria dei Cinque Stelle. E, quindi, un referendum sull’euro i cui esiti potrebbero essere ben più devastanti per l’Unione europea della Brexit.
Cosa potrebbe succedere, quindi? Un punto da cui partire sono le otto raccomandazioni date dalla Commissione europea all’Italia in occasione della presentazione del Documento di economia e finanza. A pressioni più digeribili, come l’aumento degli sforzi per velocizzare la giustizia civile, se ne aggiungerebbero di più indigesti: accelerare sulle privatizzazioni e incidere di più sui tagli alla spesa.
È prematuro immaginare cosa comporterebbe l’arrivo del Fondo Salva Stati. Se agisse da solo (senza Bce e Fmi, i capitali li ha) e avesse un approccio più morbido rispetto a quello seguito dalla Troika in Grecia e Portogallo, le conseguenze sociali potrebbero essere limitate. L’Italia diverrebbe quindi un banco di prova del nuovo Fondo Salva Stati, che le autorità comunitarie hanno intenzione di traformare in una sorta di Fondo monetario europeo
Tutto questo scenario, obiettivamente fosco, si sarebbe potuto evitare se si fossero fatti dei passi avanti sulla terza gamba dell’Unione bancaria (le altre due sono la vigilanza unica e il bail-in). O, per essere più chiari, se la presidenza di turno olandese e la Germania non si fossero messe di traverso. E se l‘Italia avesse quantomeno provato ad avviare una riflessione di costi/benefici sulle condizioni avanzate da Berlino: ossia, che fosse messo un tetto alla quota di titoli di Stato che le banche italiane possono detenere; o, in alternativa, che ai titoli di Stato detenuti dalle banche fossero attribuiti dei gradi di rischio. Nel primo caso ci sarebbe stato un problema di allocazione dei titoli da parte dello Stato; nel secondo le banche avrebbero dovuto aumentare ulteriormente le garanzie patrimoniali a copertura degli impieghi. Come ha ricordato su Linkiesta Antonio Tognoli, già nel passaggio da Basilea II a Basilea III questa copertura è raddoppiata (dal 6 al 13% circa), con effetti gravissimi sulla capacità da parte delle banche di erogare credito. Incapaci di arrivare a una sintesi, gli Stati membri si sono rifugiati nella richiesta di approfondimenti tecnici per valutare meglio l’impatto delle misure. Un documento riservato, pubblicato e commentato dal Financial Times, mostra quanto limacciosa sia la situazione, con l’evidente volontà della presidenza olandese di fare melina. Poi è arrivata la Brexit. Ora non c’è davvero tempo da perdere.