Migliaia di posti di lavoro, indicazioni geografiche e standard alimentari e sanitari a rischio. Ttip, Ceta e Tisa, rispettivamente l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, per la liberalizzazione dei servizi a livello internazionale e per un’altra area di libero scambio con il Canada. Tre sigle che per molte persone non significano nulla, ma che invece nei prossimi anni potrebbero avere conseguenze decisive per il modello economico europeo. È quanto spiega a Linkiesta la capogruppo dei Cinque Stelle al Parlamento europeo Tiziana Beghin. «Se il Ceta, il Tisa e il Ttip dovessero essere approvati l’Italia vedrà scomparire progressivamente le proprie Pmi», afferma Beghin. «Prima dell’accordo con gli Stati Uniti, che oggi è in stallo, dobbiamo evitare che venga approvato il Ceta, ovvero quello con il Canada, sul quale il governo italiano vorrebbe dare mandato di approvazione alla Commissione Ue togliendolo al Parlamento Ue».
Al prossimo vertice tra i capi di Stato, in programma la settimana prossima, Juncker chiederà ai 28 leader europei il rinnovo del mandato a negoziare il Ttip, l’accordo per l’area di libero scambio con gli Usa. Perché se lo ha già ottenuto nel 2013?
Perché il consenso sta lentamente scemando. Sono state alcune esternazioni da parte di Francia e Paesi Bassi che hanno annunciato di essere pronti a tirarsi indietro se la direzione dei negoziati dovesse continuare a essere questa. L’accelerazione del veto di certi Paesi è sicuramente dovuta anche alla fuga dei documenti sui negoziati del Ttip pubblicati da Greenpeace. Ora Greenpeace non ha detto niente di nuovo. Si tratta, infatti, degli stessi testi che ho letto e che sono a disposizione degli altri deputati dell’Europarlamento. La pubblicazione di Green Peace e ora la traduzione che come Cinque Stelle stiamo facendo renderà i documenti analizzabili e permetterà di valutare i dettagli. Si tratta comunque di testi che ci sono noti, e sui quali noi Cinque Stelle abbiamo sempre mostrato diniego. Ora siamo perfettamente consapevoli che quelli pubblicati da Green Peace non sono la versione definitiva di quanto sarà scritto nel Ttip, però è già sufficiente a confermare le nostre preoccupazioni che abbiamo già espresso, messo nero su bianco e inviato alla Commissione Ue. È però chiaro che se le posizioni tra Stati Uniti ed Unione europea restano così distanti o si è destinati a non trovare un accordo o da qualche parte si dovrà arrivare a un compromesso di qualche tipo.
«Il nuovo mandato a Juncker per discutere negoziare il Ttip? Necessario. Francia e Paesi Bassi hanno annunciato di essere pronti a tirarsi indietro se la direzione dei negoziati dovesse continuare a essere questa. L’accelerazione del veto di certi Paesi è sicuramente dovuta anche alla fuga dei documenti sui negoziati del Ttip pubblicati da GreenPeace»
Su quali punti c’è maggiore distanza tra Ue e Usa?
Sicuramente sul cosiddetto principio di precauzione. Gli Stati Uniti hanno una visione completamente diversa da noi, sono in generale molto più pervasivi dell’Europa per tutto ciò che riguarda la produzione. Il problema riguarda non soltanto il settore agroalimentare, cui si fa normalmente riferimento, ma tutti gli altri. Nella cosmetica, ad esempio, l’Europa ha registrato circa 1150 sostanze chimiche non utilizzabili contro poche decine vietate Oltreoceano. Le differenze sono abissali. Per non parlare poi della questione agroalimentare, appunto. Ogm, ormoni, etc. Dov’è il punto di incontro tra Ue e Usa se l’agricoltura statunitense è per l’85% basata sugli Ogm? Le posizioni tra i due blocchi restano molto distanti e c’è uno stallo non indifferente. E sicuramente molto sta giocando anche la grande attenzione, non tanto in Italia purtroppo, data a livello pubblico su questo accordo.Prima del Ttip, i cui negoziati oggi restano in stallo, c’è però il Ceta. Il trattato per l’area di libero scambio con il Canada è pronto e a voi eurodeputati spetterà di esprimervi con un voto finale. A che punto è il dibattito in aula?
Il Ceta sarà al voto del Parlamento Ue è vero, ma non così presto. Il problema più grande sul Ceta è il ruolo che alcuni Stati hanno deciso di avere, come l’Italia, che ha inviato in Commissione dei non-papers nei quali hanno dichiarato di essere pronti a riconoscere il Ceta come “accordo non misto”. Ora Calenda ha in questo una responsabilità gravissima.Cosa significa definire il Ceta come accordo non misto?
Gli accordi non misti sono quelli a competenza esclusiva dell’Unione Europea. Negli accordi misti invece gli Stati membri valutano i capitoli e le materie che rispondono alle loro competenze nazionali. Definendo il Ceta un accordo non misto, Carlo Calenda ha di fatto tolto al Parlamento italiano il diritto di voto sul testo. Nella maggior parte dei casi gli accordi di libero scambio hanno sempre delle parti che competono e riguardano gli Stati membri. Quando si parla di investimenti, infatti, è chiaro che entra in gioco anche la competenza nazionale. Nel caso del Ceta c’è poi la clausola relativa agli arbitrati da istituire per risolvere potenziali conflitti tra Stati e aziende. E questo ha un chiaro impatto sugli Stati.Arbitrati tra multinazionali e Stati, apertura del mercato Ue a prodotti Ogm, il Ceta sembra il TTIP. La sua approvazione o bocciatura avrà un effetto sull’accordo con gli USA?
Sicuramente creerà un precedente. Il Ceta, in realtà, è molto più pericoloso del Ttip. È molto più un cavallo di Troia del Ttip. Questo perché il Canada è già parte di un accordo di libero scambio con Usa e Messico (il Nafta). Delle 46 mila aziende che con il Ttip potrebbero fare causa agli Stati Ue attraverso i contestati arbitrati per denunciare presunte limitazioni agli affari da parte di specifiche politiche pubbliche a livello nazionale, 41 mila hanno già oggi una sede in Canada. Ecco allora che potrebbero tranquillamente usare il Canada per fare testa di ponte e arrivare in Europa. E questo molto prima che si arrivi a concludere il negoziato con gli Usa.Delle 46 mila aziende che con il Ttip potrebbero fare causa agli Stati Ue attraverso i contestati arbitrati per denunciare presunte limitazioni agli affari da parte di specifiche politiche pubbliche a livello nazionale, 41 mila hanno già oggi una sede in Canada. Ecco allora che potrebbero tranquillamente usare il Canada per fare testa di ponte e arrivare in Europa
Qual è la posizione del Parlamento Ue sul Ceta?
È un dibattito che ancora nessuno ha ancora preso in considerazione, almeno secondo me. Noi dei Cinque Stelle solleveremo la questione. Non è vero che il Ceta sia innocuo. Ed è grave anche che Calenda si auguri che il Ttip sia come il Ceta. La tanto ventilata protezione delle indicazioni geografiche di cui il Ministro dello Sviluppo economico parla all’interno del Ceta è minima. Sono circa 200 quelle tutelate completamente. Un’altra delle cose pericolose per noi è poi la gestione della privatizzazione dei servizi.Su questo, però, oltre al Ceta al Parlamento vi state anche occupando in questi mesi dell’apposito Trattato per la Liberalizzazione dei Servizi. Il cosiddetto Tisa. Di che si tratta?
Noi dei Cinque Stelle abbiamo sostenuto la risoluzione sul Tisa approvata dal Parlamento Ue. Di sicuro non è la soluzione a tutti i mali, ma almeno fissa alcune linee rosse oltre le quali non si potrà andare. Tra queste c’è ad esempio la lista dei servizi che è possibile privatizzare e quelli che non lo sono, e poi c’è l’introduzione delle clausole che rendono reversibili le privatizzazioni autorizzate. E questa è una conquista del Movimento Cinque Stelle. Il nostro emendamento è stato approvato e le privatizzazioni anche se parte della lista di quelle possibili sono comunque reversibili. E questa è una linea rossa molto forte, che però nel Ceta non c’è. Il Ceta ci è arrivato bello finito e confezionato. Ecco anche perché si tratta di un testo molto pericoloso, perché ci troveremo a votare un accordo nel quale la privatizzazione dei servizi non è stata definita.Eppure i servizi rappresentano il 70% dell’economia europea. Tentativi di accordi internazionali sulla liberalizzazione dei servizi risalgono già al 2001 con i negoziati di Doha. Abbandonati, però, nel 2011. Dopo la crisi del 2008 ecco che si torna a parlare di un testo come il TISA. Perché?
Perché c’è qualcuno che ancora insiste sull’ultra liberismo, perché gli interessi di una ristretta élite finanziaria e di grandi aziende restano gli stessi. Perché ai governi abbiamo persone, insisto, come Carlo Calenda che non fanno mistero di essere a favore dell’ultra liberalizzazione. Per loro la soluzione di tutti i mali è il lasciar fare.Cosa comporterebbe per l’Italia l’approvazione in ordine di Ceta, Tisa e Ttip?
Sicuramente la scomparsa progressiva e inesorabile delle nostre PMI. Il mercato italiano ed europeo non sta crescendo e non può crescere. Per definizione viviamo in un pianeta che ha dei limiti geografici. La crescita infinita non esiste. La nostra economia è vecchia ed è satura. Non siamo così lungimiranti da effettuare una programmazione economica, approvando politiche che possano traghettare il Paese verso un modello nuovo. Tolte alcune nicchie di mercato in cui siamo forti e lo saremo sempre, in realtà restiamo molto indietro. L’unica possibilità che rimane, dunque, è di dividere il mercato in fette. E quello che stanno cercando di fare al Governo è proprio questo. Si vuole garantire un mercato il più libero possibile dai vincoli, in cui gli attori presenti, che oggi hanno più forza potranno approfittare della debolezza delle Pmi. Nel caso dell’approvazione di tutti e tre questi accordi in Italia ci si troverà davanti a un mercato fatto di grandi aziende, che siano italiane o meno. Consideriamo che oggi le Pmi sono il 97% contro il 3% di grandi aziende. Con questi accordi stiamo portando avanti politiche che favoriscono il 3%. Ho dei seri dubbi che questo 3% di aziende sarà anche in grado di assorbire tutta la disoccupazione e la crisi sociale generata dalla scomparsa delle PMI.«Il Tisa (Trattato per la Liberalizzazione dei Servizi) di sicuro non è la soluzione a tutti i mali, ma almeno fissa alcune linee rosse oltre le quali non si potrà andare. Tra queste c’è ad esempio la lista dei servizi che è possibile privatizzare e quelli che non lo sono, e poi c’è l’introduzione delle clausole che rendono reversibili le privatizzazioni autorizzate»
Eppure viene ripetuto proprio che il Ttip sarà a favore delle Pmi.
Non è politically correct dire “A noi delle Pmi non interessa nulla”. La propaganda a favore del Ttip oggi promette proprio grandi occasioni di business per le Pmi europee. Ma basta fare una piccola analisi del mercato statunitense per capire che così non sarà. Il mercato statunitense dà priorità alle nicchie e alle eccellenze, è vero, ma in un Paese come il nostro dove anche le eccellenze sono molte, le Pmi non lavorano soltanto su queste. L’altro lato della medaglia è che il mercato statunitense è per definizione basato sui grandi numeri, su alta produzione e grandissima distribuzione. I distributori acquistano soltanto stock di grandi quantità che in Italia pochissime Pmi potrebbero garantire. E questo non perché ci sono barriere all’ingresso del mercato.Non c’è nessun beneficio da un accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti?
Europa e Stati Uniti sono due mercati saturi, e per altro non complementari. Benefici potrebbero esserci soltanto da un’integrazione di due economie per arrivare a un mutuo beneficio. In questo momento, però, non è cosi. E se analizziamo settore per settore, sono pochissimi quelli in cui ci sono più aziende europee che statunitensi. La verità è che quello che si vuole fare attraverso il Ttip è sostituire il modello economico. Dare maggior potere alle grandi aziende a discapito di quelle piccole. Per avere un’idea chiara basta guardare agli effetti del Nafta, l’accordo di libero scambio tra Usa-Canada e Messico. Nonostante sia stato venduto come miracoloso per tutti e tre i Paesi, gli effetti economici non sono stati positivi per nessuno. Gli Usa, dove si prevedeva un aumento dell’occupazione, hanno perso seicentomila posti di lavoro. Il Messico ha visto falciate le aziende agricole dei campesinos.Come fare fronte allora alla globalizzazione? Qual è la visione dei Cinque Stelle?
Per quanto mi riguarda sono a favore della globalizzazione, ma solo se sorretta da una spinta positiva. Eppure accordi multilaterali potrebbero avere un impatto positivo per il benessere delle nostre società. A patto, però, che si prenda come focus principale la divisione del benessere tra i cittadini. Va rifiutata l’idea di globalizzazione legata alla delocalizzazione e mero sfruttamento delle risorse al loro posto si dovrebbe dar spazio a un utilizzo intelligente e condiviso delle risorse. Senza prescindere dalla situazione attuale. E in questa ci troviamo davanti a un’integrazione europea di nome, ma non di fatto. L’Unione europea negozia per noi dei trattati di libero scambio senza tener conto degli interessi dei cittadini e neanche degli altri Stati, perché la trazione tedesca è oggi innegabile. C’è, poi, anche un’eccessiva attenzione ai servizi. E’ vero che il 70% dell’economia Ue è rappresentata dai servizi, ma esiste comunque ancora quel 30% di manifattura che va considerata. Il processo di transazione verso un modello economico nuovo non può avvenire in queste condizioni. Non mentre si discute del riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina. Ipotesi che non andrebbe nemmeno presa in considerazione, anche se questo significa attirare meno investimenti cinesi. Perché in questo modo si mettono a rischio un milione e mezzo di posti di lavoro. Dal 2008 a oggi nel settore dell’acciaio abbiamo perso 75 mila posti di lavoro e questo senza la concorrenza sleale cinese.