Biennale di Architettura, provare a volersi bene e non riuscirci

Il tema della 15sima Mostra Internazionale di Architettura a Venezia è "Reporting from the front". Ma lo sguardo ampio su metamorfosi globali e questioni locali non offre nessuna grande immagine, nessun grande simbolo, nessuna grande visione comune

Reporting From The Front è il titolo scelto da Alejandro Aravena, architetto cileno fresco di Pritzker Price chiamato a curare la 15° Mostra Internazionale di Architettura a Venezia. Il tema ambisce a rispondere con uno sguardo ampio su metamorfosi globali e questioni locali, spazi d’azione in cui gli architetti hanno il potere di influenzare e migliorare la qualità dell’ambiente edificato, e quindi della vita delle persone. Aravena cerca così di mettere a sistema il percorso madre della sua carriera: cosa significa o cosa occorre per essere in prima linea e cercare di conquistare nuovi territori mentre si lavora al limite, in circostanze difficili, o affrontando sfide impellenti.
Nonostante i padiglioni nazionali non avessero l’obbligo di riferirsi al tema generale, in molti l’hanno seguito: dal 28 Maggio al 27 Novembre, sono 61 i Padiglioni Nazionali in mostra quest’anno, la maggior parte ai Giardini della Biennale, una ventina all’Arsenale, mentre i rimanenti puntellano variamente la città. Tema sufficientemente politically correct per non andare fuori strada o urgenza disciplinare di segnare un punto di frontiera? Provate a farvi un’idea con questa micro selezione.

Making Heimat. Germany, Arrival Country. Padiglione Germania ai Giardini, curato da Oliver Elser, Deutsches Architekturmuseum (DAM), Something Fantastic.

Più di 48 tonnellate di mattoni rimossi dai muri perimetrali originali per quattro nuove grandi aperture, il Padiglione tedesco si trasforma in un unico grande open space, metafora della propensione all’accoglienza che caratterizza la Germania in Europa. Si raccontano le città tedesche dove gli immigrati arrivano e decidono di cominciare una nuova vita. L’ispirazione è venuta dal libro Arrival city di Doug Saunders ed è stata declinata nell’accezione architettonica portando a formulare le otto tesi di una tipica “Arrival city” tedesca: è una città nella città, economica, vicina al lavoro, informale, auto costruita, si sviluppa ai piani terra, è un network di immigrati e ha bisogno di scuole migliori.

Home Economics. Padiglione Inghilterra ai Giardini, curato da Jack Self, Shumi Bose, Finn Williams.

Cinque modelli futuristici di abitazioni declinati per altrettanti archi temporali (ore, giorni, mesi, anni, e decadi) sono costruiti in scala 1:1 all’interno del padiglione britannico per offrire uno sguardo di riflessione che vada oltre alle tipologie tradizionali di abitazione, ma anzi verso lo sviluppo di nuovi modelli economici per l’ambito residenziale. Presenti: un armadio trasparente ricolmo di vestiti e oggetti attraenti che incoraggi lo scambio, orbite gonfiabili dentro cui rannicchiarsi per utilizzare il wi-fi, un’unità-totem in mdf color ottanio dentro cui si annidano tutte le presunte funzionalità umane.

The Architectural Imagination. Padiglione Stati Uniti, curato da Monica Ponce de Leon, Cynthia Davidson.

Modelli di gesso coloratissimi, collages psichedelici, materiali in movimento, speculano sulla “motor city”, ma anche, data l’attenzione internazionale della Biennale, su tutte le città in trasformazione del mondo. L’immaginazione messa in campo qui è quella per ripensare le condizioni possibili della città postindustriale attraverso ventidue futuribili e futuristiche visioni possibili partendo da Detroit come lezione paradigmatica.

Incidental Space. Padiglione Svizzera ai Giardini, curato da Sandra Oehy, Christian Kerez.

Nessuna guerriglia psicologica, questa nuvola/caverna esperienziale è stata progettata per offrire agli avventori un “pure encounter with architecture”, sicuramente segnando uno dei più incredibili spettacoli di questa Biennale. Il progetto mette in luce un punto di incontro possibile tra innovative tecnologie di progettazione e tecniche tradizionali di costruzione dimostrando come, a volte, il gigantismo di forme casuali insegni più di qualsiasi dispositivo ad alto grado di sofisticatezza.

Unfinished. Padiglione Spagna ai Giardini, curato da Carlos Quintans e Iñaki Carnicero.

Premiato con il Leone d’Oro per il miglior padiglione di questa edizione, la Spagna offre un sondaggio sotto forma di collezione di progetti non-finiti dallo scoppio della crisi economica del 2008 a oggi, oltre ad una cinquantina di progetti recenti che dimostrano una varietà di soluzioni progettuali nate sotto forti vincoli economici. Disegni e fotografie sono ligiamente presentati su di una struttura di acciaio che richiama un edificio non finito.

Art of Nexus. Padiglione Giappone ai Giardini, curato da Yoshiyuki Yamana.

Anche il Giappone tra i favoriti della giuria: basato sulla relazione tra architettura e disoccupazione all’indomani del grande terremoto, si mostrano sotto forma di centinaia di modelli a varie scale: stanze e stanzette, pantofoline e pentole, giochi per bambini, divani e lampade, e insomma tutto quell’universo che noi usiamo per dire casa mettendo in luce come gli architetti giapponesi e le comunità stanno usando come terreno di scambio favorito la condivisione sociale.

Reporting from the Front. Padiglione centrale ai Giardini. Curata da Alejandro Aravena.

La mostra Reporting From the Front è suddivisa fra le sedi delle Corderie dell’Arsenale e del Padiglione Centrale dei Giardini, include 88 partecipanti da 37 Paesi. Di questi, 50 sono presenti per la prima volta e 33 (numero della vergogna per una Biennale che si propone d’Avanguardia) sono gli architetti sotto i 40 anni. In entrambi i casi, la sala di apertura è già una dichiarazione di intenti: le pareti e il soffitto sono rivestite con materiali (profili di alluminio e cartongesso) recuperati dall’allestimento della biennale d’arte dello scorso anno. La mostra non è impostata con suddivisioni tematiche, ma attraversa un flusso di coscienza con la presentazione di un madley di progetti scelti. “Vogliamo indagare in modo più esplicito se e dove vi sono fenomeni che mostrino una tendenza contraria di rinnovamento; si va alla ricerca di messaggi incoraggianti”, apre Aravena.

In definitiva l’immagine di questa Biennale forse non esiste, non esistono iconici riassunti che la ritraggano: non è l’installazione megalomane, non è il concetto brillante, e non è il ritratto in bianco e nero di nessuna archistar. Mette a nudo ancora una volta che lo stato dell’Architettura sul Fronte si muove con fatica ed incertezze, sfumando la frontiera delle contingenze degli habitat contemporanei con la ricchezza di complessità, interferenze e promiscuità che la rendono (ma non sempre) sensibile al dialogo. Forse, ancora una volta, abbiamo provato a volerci bene ma non ci siamo riusciti..

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