Da Pisapia a Verdini: ecco chi sono i veri sconfitti

L’ex sindaco arancione doveva rappresentare la continuità con la sua amministrazione. Ha raccolto il 3,8 per cento. Verdini ha provato a sostenere il Pd, con risultati disastrosi. Dal flop di Alfio Marchini alle percentuali minime del Popolo della Famiglia. Senza dimenticare i tanti vip bocciati

C’era chi puntava tutto sulla sua popolarità, come Giuliano Pisapia. E chi, come Denis Verdini, aveva provato a uscire dai corridoi del Palazzo per pesarsi alle urne. Mario Adinolfi sognava di guadagnarsi un ruolo raccogliendo l’eredità del ‘Family Day’. Alfio Marchini, invece, aveva scommesso tutto sul profilo civico, senza rinunciare al sostegno di Forza Italia. Alla fine dei conti, nessuno ha raggiunto l’obiettivo. E sono loro i primi veri sconfitti delle elezioni Comunali. Le promesse tanto attese, tradite alla prova del voto.

A Milano il grande sogno infranto si chiama Pisapia. Schierato insieme a Beppe Sala, l’ex sindaco arancione aveva il compito di garantire la continuità ideale con la sua amministrazione. Una presenza simbolica, dopo che aveva rinunciato a candidarsi per un secondo mandato. Un punto fermo per difendere il dna di sinistra nella coalizione diventata renziana. Gli unici a non essersene accorti, però, sono proprio i milanesi. Se il Pd è rimasto il primo partito in città con il 28,9 per cento, la lista ispirata all’esperienza di Pisapia (Sinistra per Milano) ha infatti raccolto appena il 3,8 per cento. Esattamente la metà della civica dell’ex commissario Expo. Un tonfo. La cosa curiosa è che neppure la candidatura alternativa di Basilio Rizzo, storica figura della sinistra radicale milanese e presidente del Consiglio comunale uscente, è stata in grado di raccogliere quell’eredità. La sua lista si è fermata alla stessa percentuale. Con buona pace dei diretti interessati, a Milano l’effetto Pisapia non c’è stato. E la possibilità di una vittoria del centrodestra ora potrebbe liquidare la stagione arancione senza nemmeno l’onore delle armi.

Pisapia, schierato con Beppe Sala, aveva il compito di garantire la continuità ideale con la sua amministrazione. Gli unici a non essersene accorti sono i milanesi. La lista ispirata dall’ex sindaco arancione (Sinistra per Milano) ha raccolto appena il 3,8 per cento

Più complesso il caso di Denis Verdini, il controverso interlocutore del Pd di Matteo Renzi. Stavolta la sconfitta si è concretizzata tra Cosenza e Napoli, le due città dove il leader di Ala ha provato a sostenere il centrosinistra, per una volta fuori dalle Aule parlamentari. Il flop alle urne dimostra l’insuccesso dell’operazione. A Napoli la candidata Valeria Valente non è riuscita neppure ad andare al ballottaggio. I verdiniani si sono fermati all’1,42 per cento, raccogliendo poco più di 5mila voti. A Cosenza, invece, Verdini ci era andato di persona. Un comizio talmente inedito da attirare l’interesse della stampa nazionale. Risultato: l’aspirante primo cittadino di centrosinistra è stato bocciato al primo turno. E la lista sostenuta da Ala si è fermata sotto il 2 per cento, senza ottenere neppure un seggio. Impietoso il giudizio del senatore democrat Miguel Gotor, che sul Corriere della Sera descrive così la scena: «Verdini è come Attila, dove passa lui muore il Pd». La sconfitta è talmente clamorosa che per una volta anche il Partito democratico si scopre unito. «L’alleanza con Verdini non funziona», ha chiarito ieri il premier Renzi. «L’abbiamo definitivamente archiviata».

Nell’elenco delle grandi aspettative sgonfiate dalle urne c’è il Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi. È il movimento nato dal Family Day, che pure di quell’esperienza non è riuscito a raccogliere l’eredità in termini di consensi. I dati sono evidenti, nella loro esiguità. A Roma Adinolfi, già deputato del Partito democratico, si è candidato in Campidoglio senza stringere alleanze: lo hanno votato in 7.791, permettendogli di raggiungere lo 0,6 per cento. Eppure si puntava molto sulla Capitale. «Proprio nella città che ha subito l’umiliazione dei Gay Pride, del Celebration Day, del Gay Village….», scrivono i responsabili del Popolo della Famiglia su Facebook. Al netto di tanti retroscena, la sconfitta è nei numeri. A Bologna il candidato sindaco del movimento arriva all’1,19 per cento. A Torino e Napoli si scende, rispettivamente, allo 0,5 e allo 0,36 per cento. Certo, la sfida era difficile. Il movimento esiste solo da qualche settimana. Ma forse le prospettive non sono entusiasmanti come ci si attendeva. Soprattutto, sembra che le grandi polemiche sulle unioni civili abbiano finito per danneggiare proprio chi se ne era intestato la paternità.

Tra le delusioni di questa tornata elettorale c’è anche Alfio Marchini. Nel 2013, da solo alla guida della sua lista civica, aveva quasi raggiunto il 10% dei consensi. Stavolta, con il sostegno di Forza Italia, ha sfiorato l’11%. In pratica non è cambiato nulla.

Tra le delusioni più grandi di questa tornata elettorale un posto di rilievo lo occupa Alfio Marchini. Imprenditore romano, erede di una nota famiglia di costruttori, deciso a scalare il Campidoglio per la seconda volta in tre anni. Nel 2013, da solo alla guida della sua lista civica, aveva quasi raggiunto il 10 per cento dei consensi. Stavolta, con il sostegno di Forza Italia, di Ncd e della Destra di Storace, ha sfiorato l’11 per cento. In pratica non è cambiato nulla. Lontano dal ballottaggio, alla fine l’ingegnere si è classificato quarto. Superato dalla grillina Virginia Raggi e dal Pd Roberto Giachetti. Quasi doppiato anche da Giorgia Meloni, l’altra candidata di centrodestra. Il sogno di un sindaco imprenditore a Roma è svanito presto. E dire che Marchini ci aveva creduto davvero: per un mese ha combattuto una campagna elettorale da protagonista, senza risparmiarsi né badare a spese. Per rivoluzionare la città aveva presentato un dettagliato programma composto da oltre cento progetti, elaborato in mesi di lavoro. A urne chiuse restano le recriminazioni. Su tutte la scelta di sacrificare il profilo civico sull’altare delle alleanze con i protagonisti della politica: dopo aver tappezzato la città con lo slogan “libero dai partiti”, Marchini ha accettato il sostegno di Berlusconi, snaturando la sua proposta. «Forse i nostri elettori non hanno compreso fino in fondo il nostro profilo civico», ha commentato sorpreso domenica notte, davanti alle prime proiezioni. Probabilmente è così.

L’elenco delle promesse mancate potrebbe continuare a lungo. Per esempio ci sono molti ‘figli di’ in lista per un posto da consigliere comunale nelle grandi città in cui si è votato, ma che non hanno agguantato il trofeo, nonostante abbiano guadagnato molta attenzione mediatica grazie al loro cognome. A Roma Maria Fida Moro, figlia dello statista Dc ucciso dalle Br, ha conquistato 428 preferenze nella lista Democratici e Popolari per Giachetti. Giuseppe Cossiga, figlio dell’ex presidente della Repubblica già parlamentare e sottosegretario, ha ricevuto 142 voti con la lista Federazione Popolare per la Libertà. Poche preferenze anche per Piera Levi Montalcini, nipote della premio Nobel candidata con il Pd, che si è fermata però a 1.075. Il candidato vip, in queste elezioni, non ha sfondato. È andata male a Giobbe Covatta a Roma come a Simona Tagli a Milano. Nella città dell’Expo sono passati inosservati anche i due candidati, arruolati rispettivamente da Forza Italia e Lega, dopo essere stati protagonisti di casi di cronaca. Francesco Sicignano, il pensionato che sparò a un ladro nella sua casa di Vaprio d’Adda, ha raccolto 54 voti. Rodolfo Corazzo, il gioielliere che uccise a sua volta un rapinatore in casa, ne ha conquistate 119. Entrambi sono fuori dal Consiglio comunale.