Il referendum sulla cosiddetta “Brexit”, rischia di avere ripercussioni che vanno oltre l’economia e i diritti, ma che impattano direttamente sulla sicurezza dei cittadini britannici. Non essendoci precedenti a cui attingere c’è molta incertezza sul punto, tanto che a diversi capi del Mi6 – i servizi segreti inglesi – corrispondono diverse opinioni. Per Sir Richard Dearlove, in carica dal 1999 al 2004, «la verità circa la Brexit, da un punto di vista della sicurezza interna, è che il costo per la Gran Bretagna sarebbe basso». John Sawers, che ha ricoperto la stessa carica dieci anni dopo Sir Dearlove, dichiara invece – unitamente a Lord Evans, ex capo del Mi5, i servizi di sicurezza – che «l’Ue è importante per la nostra sicurezza, riducendo la condivisione di dati rischieremmo di compromettere le capacità di proteggerci».
Le diverse opinioni danno maggior risalto a diversi elementi. Chi sostiene che la Brexit sarebbe sostanzialmente ininfluente fa notare il peso della Nato, nella sicurezza esterna, e l’appartenenza al “five eyes” (il cerchio stretto di Paesi anglofoni, capeggiati dagli Usa, che si scambiano intelligence) per quanto riguarda la sicurezza interna. Chi invece teme conseguenze sottolinea come l’uscita dalla Ue isolerebbe la Gran Bretagna sotto diversi punti di vista, dalla possibilità di influenzare le scelte geo-politiche (che hanno, lo si è visto palesemente negli ultimi anni, anche gravi ricadute sulla sicurezza dei Paesi europei) al rischio di restare ai margini nello scambio di informazioni (e favori).
«La Manica non garantisce più la sicurezza come un tempo, gli inglesi se ne devono fare una ragione. Con questo non voglio dire che un’eventuale uscita sarebbe una catastrofe per Londra, ma sicuramente una sfida alla propria sicurezza che temo non sia in grado di affrontare da sola»
«Isolarsi è un’illusione di falsa “fantasicurezza”», sostiene Germana Tappero Merlo, analista esperta di terrorismo e intelligence. «La Manica non garantisce più la sicurezza come un tempo, gli inglesi se ne devono fare una ragione. Con questo non voglio dire che un’eventuale uscita sarebbe una catastrofe per Londra, ma sicuramente una sfida alla propria sicurezza che temo non sia in grado di affrontare da sola. Dal rischio terrorismo a flussi migratori, la situazione è troppo ancora dipendente dalla grave instabilità in Medio Oriente e Nord Africa per pensare di risolverla da soli. Certamente la Ue non ha ancora dimostrato di saper agire in maniera univoca e condivisa per risolvere entrambi i problemi, ma sganciarsi dal resto dell’Europa con le conseguenze anche in termini di rischio recessione (con tutto quel che ne deriverebbe in termini di limiti di bilancio alla sicurezza) penso che sia una follia. I sostenitori dell’uscita immaginano banalmente di poter disporre meglio delle proprie frontiere e di controllare i flussi in entrata. Ma questo non avrebbe impatto sulla sicurezza: il terrorismo – oramai è evidente – non dipende dai flussi di migranti. Ha altre origini, tutte interne e di auto-radicalizzazione».
Più ottimista Claudio Neri, direttore dell’Istituto italiano di studi strategici, secondo cui «la situazione non dovrebbe cambiare in modo rilevante. Anche in caso di contrazione economica successiva a un’eventuale Brexit, a meno di non immaginare scenari apocalittici, la spesa del Regno Unito per la sicurezza e l’anti-terrorismo rimarrebbero invariate. Gli accordi in materia di anti-terrorismo e sicurezza, poi, rimarrebbero sostanzialmente in vigore: non è solo nell’interesse dell’Inghilterra ma anche del resto dell’Unione europea, per poter controllare chi entra e anche chi esce dall’Uk. Infine anche la cooperazione tra Londra e il resto dell’Ue non credo risulterebbe compromessa. Stiamo parlando dell’Inghilterra, uno Stato che partecipa a tutti i maggiori forum e organizzazioni internazionali occidentali, con un ruolo di peso. Se anche abbandonasse la Ue non converrebbe a nessuno – né credo ce ne sia la volontà – escluderla da una cooperazione in materia di sicurezza. Al massimo si dovrebbero trovare delle nuove forme».
«La cooperazione tra Londra e il resto dell’Ue non credo risulterebbe compromessa. Stiamo parlando dell’Inghilterra, uno Stato che partecipa a tutti i maggiori forum e organizzazioni internazionali occidentali, con un ruolo di peso. Se anche abbandonasse la Ue non converrebbe a nessuno. Né credo ce ne sia la volontà. Escluderla da una cooperazione in materia di sicurezza»
Chi teme le conseguenze di un’eventuale Brexit sottolinea però come la stretta alleanza di Londra con Washington non sia sufficiente a garantire la sicurezza dei cittadini britannici. Non solo c’è un Oceano a dividere i due Paesi (con le ricadute immaginabili sulla percezione del problema migratorio), ma c’è anche un progressivo regresso dell’America dal ruolo di unico leader mondiale, e una grave incertezza sul suo futuro politico. «La collaborazione con gli Usa è certamente importante», dice ancora Tappero Merlo. «Ma Washington non dà garanzie globali, e parcellizzare sforzi e interventi nella sicurezza è pura follia. Vi è anche per gli Usa l’incognita circa la direzione che prenderà in politica estera il prossimo presidente. La mia opinione è che la miglior risposta alle sfide alla sicurezza europea sia una Ue sempre più unita. Purtroppo non tutti i suoi membri – Londra forse si sta ricredendo solo ora che è così vicina alla “lama” del referendum – ne sono convinti, e qui c’è il maggior rischio per la sicurezza comune, anche e soprattutto italiana. Aggiungo un’ultima cosa. Qualsiasi risultato ci sarà in Uk c’è da sperare che tutto ciò sia servito come monito e stimolo per la Ue ad agire in modo più coordinato in tema di sicurezza: dal terrorismo islamico proveniente da Medio Oriente e Nord Africa, fino a quelle spinte eversive, nazionalistiche e violente (talvolta anche di stampo neo-nazista) che aleggiano in gran parte dei Paesi europei. Non solo jihadisti, quindi. C’è un malessere generalizzato, che mette in crisi la sicurezza in tutta la Ue. Temo, in casa nostra, più il nazionalismo esasperato che la jihad».