ResilienzaGenitori, insegnate ai figli a fallire

Sono sempre più diffusi i cosiddetti “genitori spazzaneve”, quelli che cercano di sgomberare la strada dei figli dalle possibili difficoltà. L’università Bicocca di Milano ha creato un servizio di orientamento per affrontare anche gli insuccessi. Che poi sono pure utili

Davanti ai genitori invadenti che si intrufolano nelle aule universitarie durante le giornate di orientamento, è sbottato pure il rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone. «Una cosa è sostituirsi ai ragazzi, un’altra è dare consigli», ha detto. E le mamme e i papà italiani sono sempre più portati verso la prima delle due cose. Secondo i dati di Linkedin, solo il 48% delle famiglie italiane dà ai figli la possibilità di decidere liberamente il proprio futuro professionale. Gli altri, ficcano il naso ovunque, spesso scegliendo al posto dei ragazzi atenei e corsi di laurea. «Nell’illusorio tentativo di liberare loro la strada da eventuali fallimenti», spiega Elisabetta Camussi, psicologa e presidente della Rete servizi di orientamento dell’Università Bicocca di Milano. Il fallimento dei figli fa paura ai genitori. Che tentano sempre più di avere il controllo sul futuro dei ragazzi: si presentano agli Open Days degli atenei, si aggiornano sui corsi, contattano loro stessi i professori per conoscere l’organizzazione universitaria e gli sbocchi occupazionali. E questo accade non solo in Italia. Visto che dell’eccessiva invadenza di mamme e papà si parla anche in Francia e nel Regno Unito. Dove i genitori sono stati scoperti a scrivere le lettere motivazionali al posto dei pargoli.

Alla Bicocca per primi si sono accorti della presenza sempre più numerosa dei genitori al momento delle immatricolazioni. Tanto da istituire già nel 2012 un servizio di orientamento rivolto proprio a mamme e papà. «Sono preoccupati per il futuro dei propri figli», spiega Camussi, «per questo, a volte, cercano di prevenire qualunque fallimento nel loro percorso di vita». Influenzando così le scelte di studio e di vita: o li spingono verso lavori manuali (è la cosiddetta “retorica dell’idraulico” di quelli che non credono nell’istruzione), o verso percorsi universitari che – teoricamente – garantirebbero loro un “futuro sicuro”. Come ingegneria, medicina e giurisprudenza. «Senza sapere che in realtà la linearità nello sbocco professionale ormai non esiste più», spiega la psicologa. Perché il mercato del lavoro è cambiato, e i percorsi di vita sono più complessi di quello che i genitori hanno vissuto in passato.

Sono quelli che gli americani chiamano “genitori spazzaneve”, che cercano di sgomberare la strada dei figli portandoli a fare scelte che sembrano prive di intoppi e fallimenti. «Li spingono verso corsi di laurea cosiddetti “garantiti”», racconta Camussi, «fanno di tutto perché superino i test di ingresso in medicina, sono disposti a pagare costose ripetizioni purché i ragazzi entrino nel miglior presunto ateneo possibile in modo da avere una stelletta da attaccare al curriculum».

Una certa dose di fallimento nella vita è inevitabile. È impossibile vivere senza fallire in qualcosa, a meno che non viviate in modo così prudente da non vivere del tutto, ma, in questo caso, avrete fallito in partenza… La vita è difficile, è complicata, non può essere messa totalmente sotto controllo, ma è importante avere l’umiltà di sapere che sarete capaci di sopravvivere alle sue sfide


J.K. Rowling

Nel corso degli Open Day della Bicocca aperti a mamme e papà, la domanda più frequente è “Come posso supportare le scelte dei miei figli senza fare errori?”. «La prima cosa che diciamo è di dare consigli senza sostituirsi a loro», spiega Elisabetta Camussi. E nella scatola degli attrezzi che gli psicologi forniscono ai genitori c’è anche il discorso che J.K. Rowling, autrice della saga di Harry Potter, tenne nel 2008 ai neolaureati di Harvard sui “benefici del fallimento”. «Una certa dose di fallimento nella vita è inevitabile», dice la scrittrice. «È impossibile vivere senza fallire in qualcosa, a meno che non viviate in modo così prudente da non vivere del tutto, ma, in questo caso, avrete fallito in partenza… La vita è difficile, è complicata, non può essere messa totalmente sotto controllo, ma è importante avere l’umiltà di sapere che sarete capaci di sopravvivere alle sue sfide».

Sfide e difficoltà che molti genitori, a dire la verità, vorrebbero evitare per i propri figli. «È l’idea onnipotente e illusoria di poter cancellare il fallimento dalla vita», dice Camussi. «Un’idea illusoria, perché il controllo sulla realtà è molto basso in questa fase storica. Ma è anche un atteggiamento dannoso, perché così si negano ai ragazzi esperienze di vita utili». E questo, dice la psicologa, è sì un’emergenza degli ultimi anni, legata al clima di incertezza economica e occupazionale legato alla crisi. Ma è anche una caratteristica culturale italiana, connessa alla poca abitudine alla progettualità. «Noi italiani abbiamo un atteggiamento fatalista verso il futuro, che ci porta a considerare solo le buone possibilità», dice Camussi, «senza dedicare tempo a una vera progettualità che consideri tutte le possibilità in campo». Inclusi gli insuccessi.

Quello che alla Bicocca fanno per i genitori e per gli studenti, sia al momento dell’immatricolazione sia durante il percorso di studio, è preparare alla “normalità” del fallimento come una delle possibilità della vita privata e professionale. «Per il 50% può andar bene, e per l’altro 50% può andar male: è così», dice Camussi. «Noi cerchiamo di potenziare le capacità e le risorse interne degli studenti in modo da rendere i giovani in grado di attraversare i fallimenti, vedendoli non solo come un’esperienza distruttiva, ma accettandoli come una delle strade attraverso le quali l’evoluzione dei singoli passa». Il punto è essere mentalmente predisposti alla possibilità di un insuccesso, preparandosi a riprogettare la propria vita anche in un’altra direzione. «A volte le cose possono non funzionare. È una possibilità che esiste». E i genitori hanno un ruolo centrale nell’apprendimento di questo atteggiamento. Dalle ricerche della Bicocca è emerso che la capacità di progettare il futuro da parte dei genitori influenza positivamente anche i figli, favorendo l’accettazione della complessità della realtà e la capacità di imparare a governarla.

Per il 50% può andar bene, e per l’altro 50% può andar male: è così. Bisogna vedere i fallimenti non solo come un’esperienza distruttiva, ma accettarli come una delle strade attraverso le quali l’evoluzione dei singoli passa


Elisabetta Camussi

Prendiamo i fantomatici test per l’accesso ai corsi di laurea in medicina a cui tanti genitori aspirano (spesso più dei figli stessi). Nel 2015, su 53mila che hanno sostenuto il test, solo 25mila sono entrati in graduatoria. A guardare i dati, è evidente che ci sia un’alta probabilità che non si riesca a superare il test. «Avere progettualità significa impegnarmi sì per riuscirci, ma avere anche un piano solido in caso di esito negativo per mettere comunque in atto le mie competenze. E invece l’atteggiamento diffuso è “ci penserò solo se non mi prendono”», dice Camussi. «Questo non aiuta a ragionare sull’entità del fallimento. Non superare un test è un evento possibile, non si può negare. Non è una catastrofe. Bisognare dare un peso ai singoli fallimenti, abituandosi alla possibilità di dover riprogettare il proprio percorso».

Nei servizi di orientamento dell’Università Bicocca, si lavora su quattro capacità per imparare ad affrontare e a gestire il fallimento: resilienza, pensiero sul futuro, ottimismo non irrealistico e coraggio. Con colloqui individuali e di gruppo. E attraverso questo lavoro, si apprendono anche quelli che J.K. Rowling definiva “i benefici del fallimento”. «Dai fallimenti si può imparare molto», dice Elisabetta Camussi. «Nei momenti di difficoltà si scopre che si hanno capacità e potenzialità sulle quali non si sapeva di poter contare, e si scopre anche cosa si sa fare meglio». Non a caso, dice Camussi, «i figli dei genitori stranieri, che hanno alle spalle percorsi di immigrazione costellati di difficoltà, hanno un’alta resilienza e una maggiore capacità progettuale rispetto agli studenti figli di genitori italiani». Le difficoltà «non hanno come unico sbocco quello di renderci impotenti». Evitare i fallimenti è un’illusione. Bisogna solo imparare a farlo.

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