Il marziano a cinquestelle: «Volevo Virginia Raggi nella mia giunta, ma Grillo bloccò tutto»

Ignazio Marino a tutto campo: «Volevo cambiare Roma e non ci sono riuscito. Il mio errore più grande è stato fidarmi del Pd», «Giachetti non mi ha mai chiamato». «Marchini? È uno straordinario campione di polo». «La tessera del Pd? Non l’ho presa»

«Il mio errore più grande? Mi sono fidato troppo del Partito democratico. E così oggi rimpiango di non aver portato a termine il cambiamento di cui Roma aveva bisogno». Da qualche tempo Ignazio Marino gira l’Italia per presentare il suo ultimo libro. Nelle pagine di “Un marziano a Roma” (Feltrinelli, 2016) racconta la sua esperienza da sindaco della Capitale e la traumatica rottura con il Pd di Matteo Renzi. Una vicenda che continua a riscuotere curiosità e interesse. «La gente ricorda ancora quello che è successo in Campidoglio. Tutti gli incontri a cui partecipo sono sempre affollati, ben oltre le mie aspettative. Pensi che l’altro giorno a Prato sono venute così tante persone che abbiamo dovuto spostare la presentazione nella piazza centrale….».

E cosa le chiedono le persone che incontra?
Nel pubblico riscontro soprattutto una grande preoccupazione. Colpisce l’idea che le segreterie dei partiti possano limitare l’autonomia dei sindaci e il loro legame con gli elettori. Nel mio caso parliamo di un partito, il Pd, che per mandarmi via è arrivato a chiedere ai propri consiglieri comunali di dimettersi davanti a un notaio. La gente che incontro lo considera un precedente molto pericoloso, è evidente. E poi restano tutti sorpresi da un’altra vicenda.

Quale?
Ovunque riscuote grande attenzione il tema del debito storico di Roma. Parliamo di un debito che dopo i governi di Veltroni e Rutelli – il cui capo di gabinetto si chiamava Roberto Giachetti e oggi corre per il Campidoglio – ha raggiunto i 22 miliardi di euro. Cifra che con Alemanno è aumentata di quasi un altro miliardo. Prima della mia elezione, come è noto, è stata introdotta una legge dello Stato per sanare l’enorme debito accumulato nei decenni precedenti dal Comune di Roma. Ecco, in giro per l’Italia molte persone si sorprendono che una quota delle loro tasse serve proprio per coprire gli sprechi del Campidoglio.

Dalla sua esperienza da sindaco sono passati solo pochi mesi. Tra qualche giorno i romani torneranno al voto per eleggere il suo successore. Crede che il Partito democratico sconterà alle urne quel passaggio traumatico?
Non ero presente nella stanza del notaio in cui si sono formalizzate le dimissioni dei consiglieri comunali. Quindi non so cosa effettivamente sia accaduto. Dalle indiscrezioni riportate dai giornali, però, ho letto che ai consiglieri del Pd è stato detto: “Se non vi dimettete non sarete mai più ricandidati”. Così un piccolo gruppo dirigente ha modificato la decisione dei 700mila romani che mi avevano votato. Quel giorno si è creata, nei fatti, una coalizione tra il Partito democratico, il Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi e l’ingegner Marchini. Chiaramente gli elettori di centrosinistra non possono apprezzare quella scelta. Me ne rendo conto ogni giorno, parlando con la gente per strada.

Molti di quei consiglieri comunali sono stati effettivamente ricandidati. Sulla sua pagina Facebook lei li definisce “accoltellatori”.
Se è per questo anche nel libro uso lo stesso termine.

«Alfio Marchini è uno straordinario campione di polo a cui il Paese deve essere grato per i titoli che ha vinto. Parliamo di una disciplina sportiva molto competitiva… anche se forse non è il percorso di studi più adatto per imparare ad amministrare la capitale d’Italia»

Il degrado di Roma. Quando era sindaco non si parlava d’altro, improvvisamente la spazzatura nelle strade non fa più notizia.
La città ha vissuto un cambiamento strutturale che è passato inosservato. Dal 1963 al 2013, per mezzo secolo, la gestione dei rifiuti si è basata solo su un’enorme discarica. Dai rifiuti organici alla carta, dai materassi alle vecchie televisioni, tutto finiva a Malagrotta. Noi l’abbiamo chiusa. Nel 2015, dopo due anni del mio governo, la raccolta differenziata è arrivata a sfiorare il 50 per cento. Ormai siamo tra le migliori capitali europee. Eppure nei miei 28 mesi in Campidoglio non passava giorno senza che i grandi giornali non pubblicassero fotografie del degrado. Oggi che la situazione è di nuovo nettamente peggiorata, hanno smesso di parlarne. Forse i giornalisti si sono distratti, forse è malafede. Forse molti quotidiani locali sono di proprietà di imprenditori che si sono sentiti disturbati da un sindaco intellettualmente libero.

Qualcuno dei candidati in corsa per il Campidoglio l’ha contattata per suggerimenti o informazioni?
No, nessuno.

Nemmeno Giachetti?
Nemmeno lui, che peraltro non conosco personalmente.

Eppure siete compagni di partito. Ha rinnovato la tessera del Pd?
Ho preso la tessera nel 2015. Per il 2016 sto ancora riflettendo.

Se Roberto Giachetti diventerà sindaco avrà un vantaggio che a lei è mancato. Un buon rapporto con il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Il sindaco eletto dal popolo non deve e non può governare sulla base di un rapporto di fedeltà e amicizia con il presidente del Consiglio. Quel tipo di rapporto si studia a scuola, nel libri di storia, quando si parla di vassalli, valvassori e valvassini. Da sindaco non ho mai sentito la necessità di identificarmi con una di queste categorie. Spero che il prossimo sindaco non anteponga la fedeltà verso il capo alla lealtà nei confronti dei cittadini.

Qualche giorno fa Giachetti ha presentato la sua possibile giunta. Tre assessori, in particolare, erano già nella sua squadra. Non potrà averne un giudizio negativo.
Nei confronti delle singole persone non mi permetto alcun giudizio. Quello che contano sono i programmi e le idee. Ma in questa campagna elettorale al confronto sui contenuti si preferisce altro. I candidati discutono sugli effetti delle droghe leggere sul coma e su come celebrare le unioni civili. Ci si chiede anche se il miglior urbanista della città sia stato davvero Benito Mussolini…

«Giachetti è amico di Renzi? Il sindaco eletto dal popolo non deve e non può governare sulla base di un rapporto di fedeltà e amicizia con il presidente del Consiglio. Quel tipo di rapporto si studia a scuola, nel libri di storia, quando si parla di vassalli, valvassori e valvassini»

La candidata Cinque Stelle Virginia Raggi la convince?
È una persona molto severa. L’ho conosciuta in consiglio comunale quando era all’opposizione, ma non ho gli elementi per poterla giudicare come amministratrice. Di lei mi resta un ricordo. Appena eletto sindaco, mi venne a trovare insieme agli altri tre consiglieri grillini. Mi portarono il loro programma, che per l’80 per cento era sovrapponibile al mio. Allora gli proposi di entrare nel governo della città. Loro dissero di sì. Poi chiesero un parere alla rete, che confermò la loro decisione. Alla fine, però, Beppe Grillo bloccò tutto. Questo mi lascia ancora perplesso sulla loro reale volontà di governo.

Insomma, Ignazio Marino poteva portare i Cinque Stelle in Campidoglio. Un pioniere.
Loro sanno bene come è andata. Ma la mia scelta non nasceva da simpatie o antipatie. Al centro c’era solo la condivisione di un programma.

Come si immagina Giorgia Meloni sindaco di Roma?
È una candidata temibile e competitiva. Ha un forte radicamento nelle periferie e un’aggressività dialettica che la può aiutare.

E Alfio Marchini?
Uno straordinario campione di polo a cui il Paese deve essere grato per i titoli che ha vinto. Parliamo di una disciplina sportiva molto competitiva… anche se forse non è il percorso di studi più adatto per imparare ad amministrare la capitale d’Italia. Sono personalmente dispiaciuto che abbia buttato tanti soldi per tutti quei manifesti in cui si dichiarava “libero dai partiti”. Salvo scegliere pochi giorni dopo Silvio Berlusconi come padrino politico. Evidentemente la sua coerenza cambia a seconda delle circostanze.

«Il mio futuro? Adesso ho bisogno di una pausa di riflessione. Ma continuerò a portare la mia testimonianza sui temi che la politica sembra aver dimenticato»

Qual è stato il suo più grande errore da sindaco?
Affidarmi completamente al Partito democratico, durante la campagna elettorale del 2013, per la selezione dei consiglieri comunali. Io ero troppo concentrato sul programma. Da chirurgo prestato alla politica avrei potuto distinguere chi aveva passione per il cambiamento e chi era mosso da altri interessi. Non dimentichiamo che alcuni esponenti del Partito democratico, insieme a colleghi della destra, sono stati arrestati nell’inchiesta di Mafia Capitale. Oggi spero che tutti possano dimostrare le propria innocenza. Ma quello è un errore che ho pagato personalmente. E l’ha pagato anche la città di Roma.

E un rimpianto?
Non aver avuto la possibilità di portare a termine il mio lavoro di reale cambiamento. Ma una cosa è certa: dopo la nostra esperienza in Campidoglio non si potrà tornare indietro. Il consociativismo di un tempo ormai appartiene al passato.

Quali sono i suoi programmi per il futuro? Ignazio Marino torna a fare politica o ricomincia la sua attività di medico?
Adesso ho bisogno di una pausa di riflessione. Ma continuerò a portare la mia testimonianza sui temi che la politica sembra aver dimenticato. I diritti della persona, il diritto di tutti a una scuola e una sanità pubblica. Ma anche il rispetto della nostra Carta Costituzionale, che qualcuno sta cercando di modificare in maniera pasticciata…

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