Taccola«Lasciate scendere i salari e il Sud crescerà»

L’economista Andrea Ichino, autore di un’analisi con Tito Boeri ed Enrico Moretti, presentata al festival dell’Economia di Trento: «Spostiamo la contrattazione sui salari nelle aziende». Gli effetti? Un abbassamento dei salari al Sud che porterebbe «più sviluppo ed equità» sia al Nord che al Sud

Oggi in Italia c’è un’eguaglianza nominale dei salari tra Nord e Sud che non giova a nessuno: non al Nord, dove un insegnante ha un potere di acquisto inferiore rispetto a un collega al Sud, a causa dell’alto costo delle case. E non al Sud, dove salari troppo alti rispetto alla produttività determinano alti tassi di disoccupazione e lavoro nero. È partendo da questi due punti che si è sviluppata un’analisi che contiene (implicitamente) una proposta shock: lasciare che la contrattazione salariale si sposti sulle aziende, in modo che i salari al Sud si abbassino e questo produca da una parte un aumento dell’occupazione al Sud. Dall’altra una nuova ondata migratoria da Sud a Nord, che viene vista come auspicabile per i giovani e per il paese. A curare la ricerca sono stati tre studiosi di eccezione: Andrea Ichino, economista all’Istituto universitario europeo di Firenze; Enrico Moretti, economista di Berkley, University of California, autore del best seller “La nuova geografia del lavoro”; e Tito Boeri, presidente dell’Inps, economista della Bocconi, fondatore de lavoce.info e direttore scientifico del Festival dell’economia di Trento. La ricerca è stata presentata ufficialmente proprio durante il Festival dell’economia di Trento, il 3 giugno. Il modello preso a riferimento è la Germania, dove, qualche anno dopo l’unificazione, fu consentito alle aziende più flessibilità nella determinazione dei salari. Oggi la forbice si è allargata e questo, sostiene l’analisi, ha portato benefici per entrambe le aree tedesche. Abbiamo chiesto ad Andrea Ichino quali potrebbero essere gli effetti della proposta e quali siano le prime risposte arrivate a seguito delle anticipazioni.

Professor Ichino, qual è il problema da cui siete partiti?
Il problema è l’uniformità dei salari nominali sul territorio. Il fatto, cioè, che i salari nominali siano, per via dei contratti sindacali e delle consuetudini nazionali, fissati in modo uguale in qualsiasi parte d’Italia. La produttività del lavoro, però, non è uguale nelle varie aree del paese. Di conseguenza, il costo del lavoro per unità di prodotto è inferiore al Nord rispetto al Sud. A parità di prezzi dei beni commerciati non solo localmente, questa situazione fa sì che la domanda di lavoro sia più alta al Nord che al Sud. Per questo storicamente si è creato un flusso migratorio di lavoratori dal Sud verso il Nord, che ha generato un aumento della domanda di case al Nord. E il prezzo della casa è la componente più importante dell’indice dei prezzi di una famiglia.

Che effetti produce questa situazione?
Il risultato è che il processo migratorio dal Sud verso il nord si è fermato nel momento in cui spostarsi da Reggio Calabria a Milano per avere un salario maggiore non era più conveniente. È vero che a Milano ci sono più occasioni di lavoro, ma costa talmente tanto vivere che non conviene spostarsi. Il punto fondamentale del nostro contributo è che per ottenere il “bene fittizio” dell’uguaglianza nominale dei salari, il sistema italiano crea delle iniquità reali molto gravi e di cui nessuno ha il coraggio di parlare.

Perché iniquità?
Perché da un lato un lavoratore al Nord percepisce un salario nominale uguale a quello di un lavoratore al Sud, mentre in termini reali percepisce un salario molto inferiore. Dall’altro lato, al Sud ci sono lavoratori disoccupati che sono in condizioni molto più sfavorevoli dei loro colleghi occupati nella stessa regione. Molto sfavorevoli perché questi disoccupati non hanno accesso agli stessi benefici di chi è occupato al Sud e non si possono spostare al Nord perché non conviene a causa del costo della vita troppo alto.

Qual è la vostra proposta?
Più che fare una proposta, la nostra presentazione denuncia un problema. Non si capisce per quale motivo dobbiamo continuare a volere salari nominali uguali su tutto il territorio nazionale.

Quali immagina sarebbero gli effetti sull’occupazione e sul lavoro nero di una differenziazione dei salari su base regionale?
Se consentissimo che i salari si possano determinare localmente, non a livello di regione, ma a livello di ciascuna azienda e senza restrizioni su base nazionale, il risultato sarebbe un aumento dell’occupazione al Sud oltre ad una riduzione dell’occupazione sommersa nella stessa regione. Inoltre, otterremmo una maggiore uniformità dei salari reali nelle due regioni: ossia una uguaglianza reale e non solo nominale.

«Se consentissimo che i salari si possano determinare localmente, non a livello di regione, ma a livello di ciascuna azienda e senza restrizioni su base nazionale, il risultato sarebbe un aumento dell’occupazione al Sud oltre ad una riduzione dell’occupazione sommersa»

L’esperienza tedesca che indicazioni dà sull’efficacia dell’esistenza di salari differenziati?
L’esperienza tedesca è interessante perché al momento dell’unificazione, per una questione di orgoglio nazionale, le condizioni retributive furono eguagliate a livello nominale su tutto il territorio. Ma molto presto i tedeschi si accorsero che questa soluzione aveva difetti gravi e che avrebbe prodotto risultati simili a quelli osservati nel Sud e Nord d’Italia. Dalla metà degli anni Novanta, quindi, sono state introdotto le cosiddette clausole di apertura, in virtù delle quali le imprese e i sindacati locali hanno potuto deviare dal contratto nazionale se lo ritenevano opportuno. Ci sono aziende che l’hanno fatto e altre che non l’hanno fatto. In ogni caso l’effetto complessivo c’è stato. E si è esteso anche al settore pubblico. In Italia un insegnante di scuola elementare guadagna in termini reali il 32% in meno a Milano rispetto a Ragusa. Un analogo insegnante tedesco guadagna, sempre in termini reali, solo il 5% in più in Baviera (ovest) rispetto alla Sassonia (est).

Cosa è successo a livello economico?
Quando i tedeschi si sono accorti che l’uguaglianza nominale generava distorsioni analoghe a quelle italiane, hanno capito che era il caso di consentire ai salari nominali reali di differenziarsi su base locale. Oggi i dati raccontano una storia molto più normale: hai regioni con una produttività maggiore e salari reali maggiori e regioni con una produttività inferiore che hanno salari reali inferiori. E nel complesso, i tassi di non occupazione sono molto più uniformi. In Italia, invece la non occupazione al Sud è la contropartita degli alti prezzi della casa al Nord.


Quindi i prezzi delle case hanno seguito queste dinamiche salariali?
Eh sì. La letteratura economica a cui il nostro lavoro si ispira, suggerisce proprio che ci sia un collegamento tra mercato del lavoro e mercato delle abitazioni. Dove la domanda di lavoro è elevata, anche il prezzo della casa tende ad essere maggiore. Questo succede ad esempio nelle grandi metropoli come New York e Londra.

Cosa ci dice l’esperienza tedesca invece sui rischi e sui possibili correttivi?
C’è un punto importante da chiarire: noi non diciamo che il Sud debba essere necessariamente meno produttivo. Noi prendiamo atto delle attuali differenze di produttività e data questa situazione suggeriamo che sarebbe meglio consentire ai salari nominali di aggiustarsi liberamente in base alle condizioni locali. Detto questo, dobbiamo ovviamente fare tutto il possibile per rendere il Sud produttivo tanto quanto il Nord. Ma questo è un altro discorso. La nostra proposta non ha niente a che fare con le ragioni per cui il Sud è meno produttivo. Ci limitiamo ad osservare che, data la situazione attuale, l’uniformità dei salari nominali nelle diverse regioni provoca iniquità reali che oltretutto non riusciamo a controllare.

Perché non si riescono a controllare?
Perché nell’attuale situazione italiana l’uguaglianza nominale è totalmente fittizia. Mentre in termini reali le disuguagliaze si determinano in funzione di come gli attori economici e i mercati reagiscono alla uniformità nominale. E il sindacato non è in grado di controllare queste reazioni, ad esempio quelle che riguardano il mercato delle abitazioni.


«In Germania ci sono regioni con una produttività maggiore e salari reali maggiori e regioni con una produttività inferiore che hanno salari reali inferiori. E nel complesso, i tassi di non occupazione sono molto più uniformi. In Italia, invece la non occupazione al Sud è la contropartita degli alti prezzi della casa al Nord»

Quali sono le parti della sua proposta sulla differenziazioni dei salari che sono state capite meglio e quelle su cui ci sono state più incomprensioni o distorsioni?
Il problema, come tante volte succede in Italia, è che alcune analisi che vorrebbero essere non ideologiche, semplicemente fattuali – osservare i dati e trarne delle conclusioni – toccano dei nervi scoperti che immediatamente suscitano reazioni ideologiche, precostituite. Queste reazioni rendono impossibile un dialogo costruttivo e finalizzato a migliorare le cose. L’articolo 18 era uno di quei nervi scoperti. Un altro è quello delle cosiddette “gabbie salariali”. Noi non stiamo riproponendo le gabbie salariali, cioè salari istituzionalmente fissati in modo diverso tra regioni. Anzi, la nostra proposta è proprio radicalmente diversa. Un sistema in cui qualcuno decidesse d’ufficio di quanto devono essere differenti i salari nominali nelle varie regioni sarebbe ugualmente rigido e sbagliato quanto l’attuale sistema in cui il salario nominale è uguale dappertutto. È proprio la rigidità che è sbagliata. Il concetto su cui vorremmo invitare a riflettere è che i salari devono essere liberi di aggiustarsi in base alle condizioni locali.

Che reazioni vi aspettate, quindi?
Quando presenteremo questa ricerca, immediatamente ci sarà un’opposizione che dirà: “voi volete le gabbie salariali”. No, non è di questo che si sta parlando. Noi vogliamo che i salari possano aggiustarsi localmente. Però questo nervo scoperto renderà impossibile, come tante volte succede in questo paese, valutare serenamente le conseguenze della situazione e vedere se ci sono soluzioni migliori.

Dai sindacati avete avuto chiusura finora?
In realtà la ricerca è stata presentata una sola volta, per cui non è ancora entrata nel dibattito politico. Quando fu presentata in un’occasione precedente, la posizione del sindacato non era favorevole. È interessante notare che quello che sta succedendo in Francia è molto legato a questo tema. La riforma del lavoro francese prevede esattamente le stesse “clausole di apertura” tedesche e l’opposizione dei sindacati francesi è esattamente contro queste clausole.

Cosa succede nei settori non regolati dal contratto nazionale? In Sicilia è vero che un insegnante guadagna quanto uno al Nord, ma un barista può prendere 700 euro al mese.
Per trovare in Italia condizioni di uniformità delle retribuzioni reali, bisogna considerare quei pochi lavoratori il cui salario non è regolato da contratti nazionali. In particolare abbiamo analizzatto gli impiegati degli uffici legali e in questo caso le differenze nominali ci sono e sono tali da rendere più uniformi i salari reali.

«Il problema è che alcune analisi che vorrebbero essere non ideologiche, semplicemente fattuali toccano dei nervi scoperti che immediatamente suscitano reazioni ideologiche, precostituite. Queste reazioni rendono impossibile un dialogo costruttivo»

Ci dovrebbero essere delle compensazioni per le popolazioni del Sud che vedessero diminuire i salari? Per esempio dal punto di vista dell’abbassamento delle accise sui carburanti?
Nell’indice dei prezzi ci sta la benzina, che è uguale da Nord a Sud, e la casa, che costa meno al Sud. Il salario reale tiene conto del paniere dei beni che una famiglia consuma. In termini reali, tenendo conto del paniere dei beni, il potere di acquisto di un insegnante a Milano e a Ragusa deve essere uguale. Se ci piace l’uguaglianza, è quella l’uguaglianza da cercare. L’indice dei prezzi tiene conto di ciò che è uguale e di ciò che è diseguale tra due regioni. Non riesco a capire il problema.

A livello macroeconomico, non si rischierebbe di creare degli effetti di deflazione, in contrasto con gli obiettivi della Bce?
Perché deflazione?

Perché se si abbassano i salari, si abbassano anche i prezzi dei beni e servizi.
Francamente non vedo dove sia il problema. Se la riduzione dei salari nominali consentisse un maggior livello di occupazione al Sud, la domanda di beni di consumo al Sud aumenterebbe. Quindi non riesco a vedere perché dovrebbe determinarsi questo effetto deflattivo.

Una differenziazione dei salari da Nord a Sud che effetti avrebbe sulla emigrazione interna delle popolazioni del Sud?
In questo momento la mobilità interna praticamente non c’è e se c’è è dal Nord verso il Sud. Tipicamente cosa succede? Che il lavoratore del Sud che ha trovato lavoro al Nord, dopo vuole tornare al Sud perché al Sud vive molto meglio con lo stesso salario nominale. È frequente il caso dell’insegnante o dell’impiegato di banca che ragiona in questo modo, perché sa che con lo stesso salario nominale vive molto meglio al Sud. Il disoccupato del Sud non si sposta attualmente verso il Nord, invece, per gli alti costi della casa. Questo è esattamente il punto: se abolissimo l’uniformità dei salari nominali, si ricreerebbe una mobilità all’interno del paese che sarebbe assolutamente auspicabile, non deprecabile, perché vorrebbe dire che i lavoratori si sposterebbero dove le condizioni produttive sono più favorevoli. È quello che succede negli Stati Uniti: quando nella Silicon Valley si creano condizioni di maggiore produttività, la gente si sposta in quell’area perché lì ci sono più occasioni di lavoro e salari maggiori. E questo processo continua fino a quando non si torna ad una situazione di equilibrio. Non siamo più in un mondo in cui l’immigrato dal Sud al Nord parte con la valigia di cartone. Siamo in un mondo in cui la mobilità, soprattutto dei giovani, è un bene. Fa bene ai giovani, fa bene al paese, porta risorse produttive dove la produttività è maggiore.


«Se abolissimo l’uniformità dei salari nominali, si ricreerebbe una mobilità all’interno del paese che sarebbe assolutamente auspicabile, non deprecabile»

A livello pratico, si tratterebbe di agire con un disegno di legge? Sono allo studio dei disegni di legge su questo aspetto?
No, non credo ci sia qualche forza politica che stia pensando a questo, ma non lo so con precisione. Non so se sia una questione di disegno di legge. Basterebbe che la contrattazione nazionale prevedesse queste clausole. Non sono un giurista del lavoro, ma non mi sembra che sia una questione sulla quale debba necessariamente debba decidere il Parlamento. Può essere semplicemente decisa dai sindacati e dagli imprenditori. Ovviamente questo vale per il settore privato. Per il settore pubblico è necessario che lo Stato decida di pagare i suoi dipendenti in modo nominalmente diverso a seconda delle condizioni locali.

Gli effetti complessivi quindi secondo la vostra analisi sarebbero una maggiore equità e un maggiore sviluppo sia al Nord che al Sud?
Maggiore equità e maggiore sviluppo, confermo. La maggiore equità deriva dal fatto che invece di avere una equità nominale avremmo un’equità reale in termini di potere di acquisto. E maggiore sviluppo perché in questo modo metteremmo in moto flussi migratori che porterebbero i lavoratori a spostarsi nelle zone con più posti di lavoro e condizioni di maggiore produttività. Uno potrebbe dire: “Questo è il depauperamento del Sud”.

E che si risponderebbe?
Innanzitutto che non è detto, perché la riduzione dei salari nominali indurrebbe le imprese a produrre al Sud e a installarsi al Sud. E poi perché il problema del sottosviluppo del Sud va affrontato con altre soluzioni. Nulla della nostra analisi implica che il sud debba essere necessariamente la regione meno produttiva.

Pensa che questo governo sia aperto culturalmente a questa proposta, visto il precedente del Jobs Act?
È possibile che sia disponibile, penso di sì.

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