Alexander Shprygin: segnatevi questo nome. Le autorità francesi lo hanno espulso dal Paese organizzatore degli Europei di calcio assieme a una quarantina di tifosi violenti dopo i violenti scontri di Marsiglia, salvo vederselo rientrare con tanto di tweet che sa di sberleffo. Alexander Shprygin è arrivato in Francia con al collo il pass della federcalcio al collo e sotto al braccio un curriculum variegato: capo e organizzatore della Union of Russian Fans (che riunisce i tifosi della nazionale di calcio di Mosca), nazionalista convinto, neonazista quanto basta, amico personale di Vladimir Putin.
Già la prima riga del suo curriculum basterebbe. Perché organizzare il tifo russo significa intanto dargli una nuova identità, plasmarlo dopo la fine del vecchio impero sovietico. Mentre si riorganizzava il campionato di calcio, rinominandolo negli anni con il pomposo nome (poco sovietico) di Russian Premier League e facendone parco di divertimenti e interessi privati di oligarchi dell’energia legati allo Zar Vladimir, anche il tifo aveva bisogno di una nuova identità. Basata su convinzioni politiche e censo sociale e favorita dal clima di tolleranza verso la violenza che si è creato negli anni negli stadi russi.
Se per Putin il bacino elettorale della destra nazionalista è una fonte di voti di buona portata, ecco che Shprygin ne ha approfittato per creare una nuova classe di tifosi. Razzisti e violenti. Tutto comincia nel 2007, con la creazione della Union of Russian Fans (URF) e prosegue quest’anno, quando spiega di volere vedere “Solo facce slave nella nazionale russa” e sentenzia che “c’è qualcosa di sbagliato” nella foto di squadra della Dinamo Mosca postata sui social dal giocatore francese Mathieu Valbuena, perché conteneva troppi giocatori di colore. In mezzo, il reclutamento di forze in luoghi come palestre o in ambiti come quello paramilitare. Le loro tattiche di attacco viste all’opera al vecchio porto di Marsiglia alla vigilia del match contro l’Inghilterra sono stato preparati con tecniche di combattimento che prevedevano allenamenti durissimi, come dimostrano alcuni video girati in “training camp” specifici e che ritraggono ragazzi che combattono a petto nudo, nella neve. Uno dei ragazzi del video, un tifoso del Cksa Mosca, spiega: “Siamo uomini duri, veniamo da polizia ed esercito, mica teneri inglesi nelle loro Lacoste e scarpre da femmina”. Il tutto per prepararsi ad attacchi veloci, mirati e violenti.
Attacchi che sono stati giustificati dalle autorità russe, abituate a concedere ampi spazi di manovra a certi personaggi. “Quando gli europei vedono un uomo normale che si comporta come dovrebbe restano sorpresi, perché sono abituati a vedere gli uomini nei gay pride” ha spiegato in un tweet Vladimir Markin, portavoce del Comitato Investigativo Russo, paragonabile al ruolo che negli Usa svolge l’Fbi. Gay Pride ai quali gli appartenenti dell’URF si presentano, ma non con intenti amichevoli. E Putin, sui fatti di Marsiglia di Euro 2016, non ha voluto essere da meno: “Non so come i nostri 200 tifosi abbiano potuto avere la meglio su alcune migliaia di inglesi. Non lo capisco”.
Insomma, il tifo come specchio di certe istanze del governo russo, tra omofobia, voglia di machismo e razzismo. A cominciare da quello verso i ceceni: buona parte di quest’ultima storia ruota attorno allo Zenit San Pietroburgo, squadra tifata da Putin e controllata da Gazprom, azienda energetica il cui Ceo Alexei Miller è stato tra i vertici della federcalcio russa all’epoca dell’assegnazione del Mondiale 2018 proprio alla Russia. Nel settembre 2013, durante un match contro il Terek Grozny, squadra della capitale cecena, alcuni tifosi dello Zenit hanno pensato bene di dare alla fiamme una bandiera della Cecenia. Il tutto in risposta all’esposizione di un’altra bandiera, quella dell’Ichkerija, da parte di alcuni tifosi dell’Anzhi Makhachkala (club divenuto famoso in Italia per l’acquisto di Samuel Eto’o dall’Inter) allo stadio dello Zenit. Uno smacco intollerabile, per i filo-putiniani. Perché l’Ichkerija è un’entità statale non riconosciuta fondata dai separatisti ceceni e cui principali rappresentanti sono iscritti nelle liste delle organizzazioni terroristiche invise al Cremlino.
«Gli obiettivi principali sono le persone di colore e quelle provenienti dal Caucaso», svelava d’altra parte un report di Fare Network, un aggregato di ong contro le discriminazioni, sulla situazione preoccupante del razzismo in Russia. Due anni prima della bandiera cecena bruciata, nel marzo del 2011, un tifoso dello Zenit lanciò una banana a Roberto Carlos, all’epoca in forza proprio all’Anzhi. Sempre 2013 invece, durante una gara di Champions League, il giocatore del Manchester City Yaya Touré venne apostrofato da versi di scimmia dei tifosi del Cska Mosca tutte le volte che toccava palla. E l’ultimo report del Fare dimostra che le cose non sono migliorate. Anzi, c’è sempre lì in bellavista il nome di Alexander Shprygin, indicato come appartenente a frange nazionaliste di estrema destra. A dimostralo c’è una foto in cui si produce nel saluto nazista con Korrozia Metalla, leader di un gruppo musicale notoriamente vicino all’estrema destra, tanto da aver costretto lo stesso Governo a vietare alcune sue canzoni, poiché incitanti all’odio etnico. Per non parlare di un’altra foto, quella che lo immortala alle spalle dello stesso Putin.
https://twitter.com/avtoxton/status/742670268921974784
Inoltre, Shprygin lavora come assistente di Igor Lebedev, politico leader alla Duma (la Camera Bassa del parlamento russo) del partito Liberal Democratico russo. Una formazione nata nel 1989 per mano di Vladimir Zhirinovsky, che si proponeva come primo obiettivo politico il rinnovamento dell’Impero russo guidato da una visione autoritaria della Grande Russia. Ebbene, Igor Lebedev lunedì scorso non avuto problemi a sostenere che “Non vedo nulla di male nei tifosi che si scontrano. Ben fatto ragazzi!”.
E i complimenti gli sono arrivati anche da Vitaly Mutko, numero uno della federcalcio russa, nonché Ministro dell sport e numero uno dello Zenit di San Pietroburgo. Mutko è anche membro della Comitato Esecutivo della Fifa e si è speso in prima persona per il Mondiale russo del 2018. Di quella candidatura, poi ottenuta, è passato agli annali un suo celebre discorso di presentazione del dossier alla Fifa, in cui parla un inglese che si subito prestato a numerose parodie. Meno divertente il suo coinvolgimento nello scandalo doping, da ministro dello sport, nell’accusa di doping di Stato che ha visto l’altetica russa esclusa dai Giochi di Rio: Mutko avrenne contribuito a nascondere le prove del doping.
La connivenza di politici e istituzioni si vede anche e soprattutto in casa. Lo spiega bene James Appel, in un articolo su Foreign Policy in cui descrive lo sfascio al quale sta andando incontro il pallone russo, tra oligarchi che ormai non investono nelle infrastrutture come gli stadi, lasciati quindi in mano alle frange più violente del tifo: con la trasformazione del campionato in Russian Premier League, i club hanno potuto generare più ricavi televisivi, basando su quelli la gran parte dei propri bilanci. Così ovviamente si scoraggiano famiglie e tifosi “normali” che vogliono andare a vedere la partita. La soluzione può essere quella quindi di stadi nuovi, che arriveranno per i Mondiali del 2018 e che potrebbero avere lo stesso effetto ottenuto in grandi campionati come la Premier League, con impianti a misura di tifoso non violento per struttura e prezzi. E con gli hooligans lasciati a pestarsi fuori dalle città o all’estero, come accaduto in Francia con gli stessi inglesi o con i russi, scesi a Marsiglia con un unico obiettivo: dimostrare di essere i migliori e spodestare così i “maestri” inglesi dal trono di più violenti.
Quello francese è sembrato solo un assaggio, con tanto di video e foto caricate sul web che immortalano trofei di caccia come bandiere insanguinate dei “nemici”. Il prossimo anno tocca proprio alla Russia con la Confederations Cup aprire il cammino verso la Coppa del mondo del 2018. Chissà cosa escogiteranno Shprygin e i suoi, per dimostrare a tutti di essere diventati i migliori. Anche se possiamo immaginarlo.