Paura e delirio in Vaticano: così Francesco sta rottamando i cardinali

Bergoglio, con una strategia sottilmente perfida, sta svuotando dall’interno il potere dei “ministri” vaticani. E affida le decisioni a organismi e a persone diverse sfruttando accorpamenti, tagli e nuove nomine

C’è stato un tempo non lontano in cui un capo dicastero vaticano era davvero una potenza: quando parlava le agenzie di stampa correvano a raccoglierne le parole, accortamente centellinate, per poi rilanciarle rapidamente nell’orbe mediatico. Non di rado qual cardinale o quel vescovo, rappresentavano sui media italiani e a volte internazionali, la voce del Vaticano, si parlasse di unioni civili o cellule staminali, di rapporti ecumenici, ospedali, codici etici, migranti o segreti di Fatima. A volte era un po’ come se si fosse espresso il papa, a volte era “la Chiesa” che tuonava.

Divisi per materia, i pontifici consigli – ministeri di rango minore – e le congregazioni – i ministeri chiave – dettavano la linea vaticana sulle questioni più disparate. Ma quel tempo è finito, anche perché lo stesso Francesco ha spiegato che il Pontefice non deve dire per forza la sua su ogni questione e problema; basta tornare alle parole lapidarie pronunciate messe nero su bianco dal Pontefice, a pochi mesi dalla sua elezione, nell’Esortazione Evangeli gaudium: «Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione». Da quando la “salutare decentralizzazione” – intesa come maggiore autonomia dei vescovi e delle chiese locali su una varietà sempre più ampia di questioni – è entrata nel vivo, nei palazzi romani d’Oltretevere è cominciata una sorta di lenta decadenza. Il porporato di Curia è come smarrito, non sa più bene cosa fare, che pesci prendere nel profluvio di interviste papali, omelie di Santa Marta, motu prorpio sempre di Francesco. Per il resto la scena è rubata da altri protagonisti, ma andiamo con ordine.

«Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione»


Evangeli gaudium

La strategia di Francesco è stata a suo modo sottilmente perfida: ben sapendo di non potersi mettere contro un apparato antico e massiccio, capace di digerire qualsiasi rivoluzione, il Papa ha deciso di svuotarlo con la tecnica della goccia cinese, un giorno alla volta, un pezzo dopo l’altro. Su questa strada naturalmente ha incontrato consensi e dissensi, cardinali e monsignori che lo appoggiano e altri che non lo vedono di buon occhio, ma questa è la sorte di ogni riforma istituzionale che si rispetti.

Di fatto, però, le parole una volta ben pesate del cardinale Antonio Maria Vegliò sui migranti (che pure suscitavano le urla leghiste), i moniti del prefetto della dottrina della fede, cardinale Gerhard Muller, sulle coppie gay (capaci di scuotere i dibatti parlamentari), o della Pontificia accademia per la vita sull’ultima scoperta di laboratorio in materia di cellule staminali embrionali, non destano più la stessa attenzione. A volte il riflesso condizionato funziona ancora, ma sempre di meno. C’è poi chi ha continuato a coltivare il proprio orto, come il cardinale Gianfranco Ravasi, uomo-ponte – fino a qualche anno fa – fra il mondo della cultura altra e la Chiesa. Inventore del “cortile dei gentili”, cioè di uno spazio in cui laicità e fede potevano colloquiare cercando punti d’incontro, la sua iniziativa sembra essere diventata di colpo un po’ desueta, antica, quasi nostalgica mentre un centinaio di giuristi, magistrati leader di organizzazioni sociali irrompe in Vaticano per dibattere col papa su temi come la tratta degli esseri umani, il narcotraffico, il lavoro forzato, la prostituzione, valore riabilitativo della pena, e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di ambiti diversi, certo, e tuttavia il contrasto fa una certa impressione,

Per non parlare dell’arcivescovo Zygmunt Zimowski, capo del pontificio consiglio degli operatori sanitari, una specie di ministero della sanità. Il dicastero nacque nel 1985 grazie al cardinale Fiorenzo Angelini, scomparso nel 2014, soprannominato “sua sanità”e considerato potentissimo negli ambienti sanitari e farmaceutici italiani, faceva parte della cerchia più stretta di amici di Giulio Andreotti. I numerosi scandali finanziari legati alle strutture ospedaliere cattoliche, hanno indotto intanto il Papa e il Segretario di Stato Pietro Parolin a dare vita a una speciale commissione vaticana che dovrà verificare lo stato di salute di tutte le strutture sanitarie rette dalla Chiesa nel mondo, a cominciare da quelle italiane. Quel che è certo è che il dicastero di Zimowski è destinato a scomparire e la sua fine chiuderà un’altra pagina della storia italiana del dopoguerra. Chi si difende meglio sembra essere per ora monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, che di fatto coordina – in parte – le iniziative e i pellegrinaggi del Giubileo straordinario della misericordia.

La strategia di Francesco è stata a suo modo sottilmente perfida: ben sapendo di non potersi mettere contro un apparato antico e massiccio, capace di digerire qualsiasi rivoluzione, il Papa ha deciso di svuotarlo con la tecnica della goccia cinese, un giorno alla volta, un pezzo dopo l’altro. Su questa strada naturalmente ha incontrato consensi e dissensi

Si procede nel frattempo a vari accorpamenti che però devono essere gestiti con precisione chirurgica dal papa e dai suoi collaboratori, perché tagliare la burocrazia e gli enti doppioni significa ridurre il personale, e questa pure è la grande paura che percorre i sacri palazzi. Di fatto Francesco ha creato una sorta di consiglio di ministri – il C9 – all’interno del quale hanno trovato posto i cardinali che, con Bergoglio, devono progettare la nuova Curia romana. Così un po’ alla volta, sono sorti la Segreteria per l’economia (presieduto dal cardinale Georg Pell, australiano), il Consiglio per l’Economia (cardinale Reinhard Marx, tedesco), il Pontificio consiglio per la tutela dell’infanzia (cardinale Sean Patrick O’Malley, americano, qui si affronta lo scandalo pedofilia), la Segreteria per la comunicazione (il cui ruolo è quello di armonizzare e modernizzare i vari media vaticani; è guidata da monsignor Dario Edoardo Viganò).

Ancora, è appena nato un altro nuovo dicastero: «per i laici, la famiglia e la vita», che cancella due pontifici consigli (vita e famiglia, diretti rispettivamente dal cardinale Stanislaw Rylko e da monsignor Vincenzo Paglia) e riduce a un organo secondario la Pontificia accademia per la vita guidata tuttora da monsignor Ignacio Carrasco de Paula, dell’Opus Dei. Alle porte, infine, è la creazione di un altro super ministero, particolarmente importante nella visione di Francesco, e lo si capisce già dal nome : “Carità, Giustizia e Pace” (accorperà le attuali competenze di Giustizia e Pace, Cor Unum, Operatori Sanitari, Migranti e Itineranti). Per comprendere il senso dell’operazione si tenga presente, per esempio, che un organismo come Cor Unum, il cui compito è quello di coordinare varie iniziative ecclesiali di carità del mondo, è surclassato per esempio da un peso massimo della della solidarietà cattolica come “Caritas Internationalis”, oggi non a caso posta sotto la guida di un bergogliano doc il cardinale arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle, già dato fra i prossimi papabili.

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