Per l’Eurozona la nuova crisi arriverà dall’Italia

Secondo Zsolt Darvas, economista del think tank Bruegel, l’Italia è il prossimo paese a rischio. I nodi da sciogliere: indebitamento, e soprattutto la bassa produttività

«L’unione economica e monetaria somiglia oggi a una casa costruita nel corso dei decenni, ma solo parzialmente completata, di cui si sono dovuti stabilizzare in fretta e furia le pareti quando è scoppiata la tempesta». Parola non di euroscettico, ma dei cinque Presidenti delle principali istituzioni Ue, compreso Mario Draghi, che l’anno scorso hanno presentato una relazione congiunta in vista di una riforma complessiva dell’Eurozona. A tre settimane dal referendum sulla Brexit e nei giorni delle nuove rivolte sociali in Grecia, Francia e Belgio contro nuova austerità e le riforme del lavoro, quanto lo scenario di maggiore condivisione della sovranità tra i 19 Paesi della zona euro è realizzabile? Per l’economista Zsolt Darvas del think thank Bruegel:«Poco o nulla. Oggi l’Eurozona è più forte di quanto non fosse sei anni fa, ma questo non significa che i rischi siano scomparsi. L’Italia rappresenta oggi l’incognita più grande. Se le riforme messe in campo da Renzi non daranno i frutti sperati, tra pochi anni sarà proprio Roma a scatenare una nuova tempesta».

Voci di corridoio, però, a Bruxelles parlano di un piano di riforma per l’Eurozona preparato da Francia e Germania, e che potrebbe essere presentato subito dopo il referendum britannico…

Onestamente non credo alle voci. Parigi e Berlino hanno due visioni completamente diverse sulla gestione dell’Eurozona. Di base, infatti, la Germania incarna il punto di vista dei cosiddetti falchi in Europa, come i Paesi Bassi o la Finlandia. Il loro trait d’union è proprio la scarsa fiducia verso il Sud dell’Europa, considerato molto poco incline al rispetto delle regole. Vedo difficile che la Germania possa aprire a scenari che implichino anche solo lontanamente la condivisione della sovranità, che se comprende l’integrazione dei mercati finanziari e dei capitali e i meccanismi per la stabilizzazione di bilancio, di fatto implica anche scenari di mutualizzazione dei rischi. L’avanzata dei nazionalismi anti-euro nei due Paesi, poi, lascia pensare che i governi di Parigi e Berlino potrebbero in questa fase al contrario rallentare l’integrazione al fine di tenere sotto controllo l’insoddisfazione dei cittadini verso Bruxelles, accusata soprattutto in Francia di essere la mano che ha guidato la riforma del lavoro contro cui si sta scendendo in piazza in questi giorni. Non so quale sarà il risultato del referendum britannico, ma credo che in caso di vittoria della Brexit, almeno nel breve termine nessuno in Francia si sognerebbe di annunciare di essere pronto a fare maggiori concessioni di sovranità economica a Bruxelles. E lo stesso vale per altri Paesi.

Però il rapporto dei cinque Presidenti sull’integrazione dell’Eurozona è già stato presentato, non si rischia di lasciare il lavoro incompiuto, o peggio al caso?

Il piano presentato da Mario Draghi, Jean Claude Juncker, Martin Schulz, Donald Tusk e Jeroen Dijsselbloem è ambiguo di per sè. Non si capisce cosa vuole raggiungere e soprattutto come si intende procedere. C’è molto di annunciato e poco di dettagliato. Il prossimo anno la Commissione europea dovrebbe presentare il libro bianco sul completamento dell’Unione economica e monetaria e lì, in teoria, dovrebbero essere dettagliati i tempi e i passaggi di quanto annunciato in modo veloce nel rapporto dei cinque Presidenti.

L’Eurozona appare dall’esterno un processo ancora incompiuto. Come reagirebbe la zona euro davanti a una crisi come quella del 2009?

E’ vero l’Eurozona ha ancora molti problemi, ma è in forma nettamente migliore rispetto a sei anni fa. La crescita, anche se lentamente, sta tornando. La disoccupazione, anche se altrettanto lentamente, sta diminuendo. Tranne che in Grecia, purtroppo. Viste così le cose non vanno troppo male. Le difficoltà non sono così forti come qualche anno fa. E le ragioni del migliore stato di salute dell’Eurozona sono da ritrovarsi proprio nelle decisioni prese velocemente in momenti in cui la fine della moneta unica non era poi così uno scenario del tutto impossibile. L’Unione bancaria è uno degli elementi più importanti dell’attuale forza dell’Eurozona. Nel 2010 il sistema bancario europeo non era pronto all’onda d’urto che è arrivata. C’è poi il Meccanismo Europeo di Stabilità, che ha il grande potere di attenuare scosse inattese e poi c’è una Banca Centrale molto più attiva e reattiva che in passato e questo anche perché ha imparato dalla crisi passata.

Parlando di banche, l’Italia è sotto osservazione da parecchi mesi proprio per lo stato delle sue banche, che inquieta alcuni Paesi e altri dirigenti Ue..

Il problema dell’Italia è legato ai conti pubblici. Roma ha dato prova di saper gestire molto bene la situazione delle proprie banche, ma la vera minaccia italiana è la bassissima produttività. Il Paese è in crisi di produttività da almeno venticinque anni ed è anche per questa ragione che il debito è così alto. Il Governo italiano sta procedendo all’approvazione di molte riforme strutturali e in molti in Europa e nell’Eurozona si augurano che funzionino. I risultati al momento sono difficili da prevedere. L’elevato debito italiano è un fattore molto preoccupante e potrebbe un giorno, magari non troppo lontano, essere il detonatore di un’altra profonda crisi dell’Eurozona. Al momento tutto dipende dalla ripresa della produttività. E’ però certo che nel caso italiano il mix di calo della demografia e bassa inflazione è altrettanto pericoloso. In caso di una crisi scatenata dall’Italia, poi, c’è anche da considerare che il Paese sarebbe troppo grande per essere salvato dall’intervento del Meccanismo Europeo di Stabilità.

In caso di crisi, per l’Italia prevede scenari simili a quelli verificatisi in Grecia per l’Italia in caso di crisi?

Il caso italiano non somiglia così tanto a quello greco, ma se vogliamo più al Portogallo. A cambiare sono le dimensioni dei due Paesi ed è per questo che la situazione italiana preoccupa perché al momento non esistono strumenti in caso di attutire uno shock apportato da una crisi del genere. La Grecia è un caso a parte. Il Paese va considerato responsabile per lo stato disastroso dei suoi conti pubblici prima del 2010, ma dopo il quadro è stato reso disastroso dalle politiche adottate dall’ex Troika. Negli anni della cura da cavallo introdotta dai creditori internazionali il Paese ha perso altri 10 punti di PIL e la disoccupazione è schizzata in alto. Va anche detto che è stato, però, l’unico dei Paesi sotto programma di salvataggio a restare in uno stato di difficoltà. Portogallo, Spagna e Irlanda non soltanto sono usciti dai programmi di salvataggio, ma hanno ripreso un certo dinamismo economico. Resto dell’idea che la Grecia deve rimanere parte dell’Eurozona, e non ho mai condiviso neanche per un istante l’idea ventilata da alcuni Ministri, come il tedesco Schauble, di concedere pause di riflessione. I costi di queste pause sono altissimi, anche per gli altri Paesi dell’Eurozona, e le conseguenze non sono mai state debitamente valutate. E’ vero Atene resta fuori dai parametri dell’Eurozona, ma in parte è anche colpa dell’Eurogruppo. Cosa che si è iniziata a capire e infatti si sta lavorando a un miglioramento della condizione generale. I creditori iniziano a riconoscere di aver peggiorato in parte le condizioni del Paese e stanno agendo per rimettere mano alla situazione. L’Eurogruppo, però, ha ancora troppe deficienze interne, nel modo di operare, di intervenire, di prendere le decisioni.

In che senso?

E’ sotto agli occhi di tutti. Ogni riunione diventa uno scontro, i tempi si dilatano, le decisioni arrivano dopo negoziati stressanti e annunciate nel cuore della notte. E’ chiaro che un organismo del genere dovrebbe essere più efficiente, ma al momento non è così. Rispecchia in piccolo quanto accade nei lunghissimi summit Ue tra tutti gli Stati membri.

La proposta italiana e tedesca di creare un Super ministro delle finanze per l’Eurozona potrebbe sistemare le cose?

Potrebbe, ma tutto dipende dal ruolo che avrà. Quello che serve è una figura in grado di armonizzare le politiche economiche e fiscali tra le 19 capitali dell’area euro. Una figura cui venga riconosciuta una certa autorità. Al momento, però, ho l’impressione che si stia semplicemente cambiando nome a quella che è oggi la Presidenza dell’Eurogruppo. Temo che alla fine del Super Ministro rimarrà soltanto una carica formale, con pochi o zero poteri. E le lunghe riunioni notturne sul destino di Atene, dell’euro e degli aggiustamenti di bilancio, continueranno a essere la norma.

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