Povera Italia: oltre 4 milioni di persone non raggiungono un tenore di vita accettabile

Un milione e mezzo di famiglie vivono una condizione di povertà assoluta. Le situazioni più critiche nelle aree rurali del Sud e nelle metropoli al Nord. E un terzo dei senza dimora può contare su un alto livello di istruzione. Alla Camera un incontro per parlare di disagio ed esclusione sociale

Un milione e mezzo di famiglie italiane vivono in una condizione di povertà assoluta. Nel 2014 erano 1.470.000. In totale si tratta di 4 milioni e 102mila persone, il 6,8 per cento della popolazione residente nel nostro Paese. A lanciare l’allarme è lo studio sulla povertà, il disagio e l’esclusione sociale realizzato dall’Iper, l’Istituto per le ricerche economiche e sociali dell’Ugl. Un rapporto presentato pochi giorni fa nella sala Aldo Moro della Camera dei deputati. Al centro del caso c’è un fenomeno dalle dimensioni “preoccupanti”, come conferma la ricerca. L’ulteriore dimostrazione che la crisi non guarda in faccia a nessuno. Stupisce un dato: ormai un terzo delle persone senza fissa dimora è in possesso di un alto livello di istruzione.

Ma cosa significa povertà assoluta? Citando l’Istat, la ricerca focalizza l’attenzione su uno specifico paniere di beni e servizi «considerati essenziali per le famiglie al fine di evitare gravi forme di esclusione sociale». Un insieme di fabbisogni che riguarda la corretta alimentazione, la possibilità di abitare in una casa consona alle proprie esigenze, ma anche la possibilità di vestirsi, istruirsi e mantenersi in buona salute. Sommando le diverse componenti, è possibile indicare la spesa minima mensile per garantire uno standard di vita minimamente accettabile. Le soglie ovviamente variano in base alla dimensione del nucleo familiare, al comune di residenza e alla zona geografica. Il rapporto fornisce qualche esempio. «Un adulto di età compresa tra i 18 e i 59, che vive in un’area metropolitana del Centro Italia, è considerato assolutamente povero se la sua spesa mensile è inferiore a 782,87 euro». Soglia che si alza a 796,77 euro per una coppia di persone adulte residenti in un piccolo comune del Sud Italia.

«Un adulto di età compresa tra i 18 e i 59, che vive in un’area metropolitana del Centro Italia, è considerato assolutamente povero se la sua spesa mensile è inferiore a 782,87 euro»

Lo studio dell’Iper descrive la distribuzione del fenomeno nel Paese. L’area più interessata è il Mezzogiorno: qui l’incidenza delle famgilie povere arriva all’8,6 per cento. Percentuale che sale al 10,1 per cento in Calabria e all’11,2 per cento in Basilicata. I dati si abbassano in Veneto (4 per cento) Toscana e Trentino Alto Adige (3,8 per cento). Ma è la Lombardia la regione italiana «con la più bassa incidenza di povertà assoluta, appena il 3 per cento». Il fenomeno dipende ovviamente dal luogo in cui le famiglie vivono, inteso come area geografica ma anche come tipologia di comune. Citando i dati dell’Istat, così, la ricerca mostra come le situazioni più critiche per quanto riguarda la povertà assoluta si riscontrano «nelle aree rurali del meridione e in quelle metropolitane delle regioni del Nord Italia».

«Sono numeri che fanno paura» ha spiegato la parlamentare Renata Polverini, responsabile Lavoro di Forza Italia e organizzatrice dell’incontro. «Ormai un terzo delle popolazione è a rischio. Un fenomeno in crescita. Rispetto al 2008 ci sono 4 milioni di poveri in più. Tante famiglie hanno perso lavoro, non hanno reddito. È chiaro che il Paese sta mutando le esigenze e proprio per questo ci si aspettano risposte più forti». Chi rischia di più? Le famiglie numerose, soprattutto. Lo studio evidenzia un legame tra l’ampiezza del nucleo familiare e le condizioni di disagio. «Se la povertà assoluta incide per meno del 5 per cento nel caso di famiglie costituite da una o due persone (…) Nel caso di famiglie con 5 componenti e più i livelli di povertà risultano di fatto superiori al 16 per cento». E altrettanto evidente è il rapporto tra titoli di studio e condizione occupazionale. Ecco perché la soluzione è il lavoro. «Accrescere i livelli occupazionali e favorire il livello di partecipazione attiva della popolazione al mercato del lavoro – si legge nella relazione – rappresentano senza dubbio le principali leve per arginare povertà, disagio ed esclusione sociale che in talune aree del Paese, complice una crisi economica senza precedenti, raggiungono dimensioni preoccupanti». Un’analisi condivisa da Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio: «Serve lavoro. Non è solo un fattore economico, ma è un elemento fondamentale per la dignità della persona».

Prendendo come riferimento chi ha utilizzato almeno una volta i servizi di mensa o accoglienza notturna messi a disposizione, si stima che nel 2014 in Italia 50.724 persone erano senza dimora

Diverso il discorso della povertà relativa. Stavolta la soglia di spesa minima si alza sensibilmente. «A titolo di esempio, si legge, una famiglia di due componenti che abbia avuto una spesa media mensile nel 2014 inferiore a 1.041,91 euro è da ritenersi povera». Secondo questi parametri, si scopre così che due anni fa le famiglie italiane in condizione di povertà relativa erano 2 milioni 654mila. Poco più del 10 per cento delle famiglie residenti. In totale 7 milioni 815mila persone. Ancora una volta l’incidenza maggiore è al Sud, dove interessa il 21,1 per cento delle famiglie.

Nell’ultima parte del rapporto, l’Iper tratta la situazione delle persone senza dimora. Vengono in aiuto i dati dell’Istat, che nel 2011 e nel 2014 ha effettuato un’apposita indagine «in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora e la Caritas». Prendendo come riferimento chi ha utilizzato almeno una volta i servizi di mensa o accoglienza notturna messi a disposizione, si stima che nel 2014 in Italia 50.724 persone non erano in grado di reperire e mantenere un’abitazione. È un fenomeno che colpisce maggiormente la fascia d’età compresa tra i 45 e i 54 anni (26 per cento), ma non risparmia i più giovani. Quello che stupisce è il livello di istruzione delle persone interessate dal fenomeno. Circa un terzo dei senza dimora – il 32,7 per cento – è in possesso di un diploma di scuola media superiore o titoli più alti.