“Se vincesse la Brexit sarebbe un bene per l’Europa”. Parola di europeisti

Dal corrispondete di Liberation, Jean Quatremer, all'ex-presidente della Commissione eruopea Jacques Delors: gli alleati insospettabile del "leave" scrivono agli inglesi

Nigel Farage, Boris Jonhson e Michael Gove, ovvero i tre Moschettieri della Brexit hanno Oltremanica degli alleati insospettabili. Nessuno a Bruxelles osa dirlo apertamente, ma dell’ardore e della vivacità della battaglia per evitare la Grexit – l’uscita lo scorso anno della Grecia dall’Eurozona – in queste ore non se ne ha traccia. Tra due giorni i cittadini britannici si recheranno alle urne per decidere del loro futuro nell’Ue e c’è chi in qualche modo spera che la maggior parte voti per il «no». Ovvero che Londra esca dal progetto comunitario. E nulla ha cambiato la loro opinione, nemmeno l’uccisione a sangue freddo della deputata laburista Jo Cox. L’atto, brutale, che ha fermato per quattro giorni la campagna dei comitati “Leave” e “Remain” ha creato un’ondata di sdegno e condanna, ma almeno nella capitale delle istituzioni Ue non è stata seguita dal lancio di un accorato appello in favore dei valori comunitari.

Per una volta non si tratta dei partiti nazional-populisti, ma di quella corrente oggi in estinzione che va sotto il nome di europeisti convinti. Tra questi, c’è l’editorialista di Liberation a Bruxelles Jean Quatremer, forse il corrispondente più noto e odiato dall’establishment Ue, che sulle pagine del suo giornale ha scritto un pezzo dal titolo inequivocabile La Brexit, un sacrificio necessario per salvare l’Europa, ma anche l’ex Presidente della Commissione europea Jacques Delors.

Nessuno a Bruxelles osa dirlo apertamente, ma dell’ardore e della vivacità della battaglia per evitare la Grexit – l’uscita lo scorso anno della Grecia dall’Eurozona – in queste ore non se ne ha traccia. Tra due giorni i cittadini britannici si recheranno alle urne per decidere del loro futuro nell’Ue e c’è chi in qualche modo spera che la maggior parte voti per il «no»

Dal 1975, da quando cioè il Regno Unito attraverso un altro referendum convocato sulla permanenza nell’Ue ad appena tre anni dal suo ingresso ufficiale ha optato per il «sì» a Bruxelles, le relazioni tra Londra e il blocco comunitario non sono mai state idilliache. Non soltanto. Oltremanica l’Unione europea è sempre stata o ignorata o accusata di tutto quello che non funzionava in patria. Non stupisce quindi che fino al 2008, agli anni precedenti la crisi economica e finanziaria, l’etichetta euroscettico fosse a uso e consumo dei britannici, quasi a porsi come un sinonimo del carattere nazionale. In trent’anni di convivenza difficile il Regno Unito ha ottenuto una serie di deroghe all’implementazione di vari regolamenti validi invece per tutti gli altri Stati membri. Questo grazie alla cosiddetta clausola dell’opt-out. Ma non basta, grazie alla leader di ferro, Margaret Tatcher, Londra gode di un deciso sconto sul contributo annuale al bilancio comunitario. All’origine della diatriba tra Regno Unito e resto delle capitali Ue, la visione stessa del progetto comunitario. Per Londra una mera area di libero scambio, per i Paesi fondatori- tra cui l’Italia- le basi di un’unione politica, economica e monetaria.

È proprio nel nome di quest’ultima che dalle pagine di Liberation Quatremer ha scritto: «Cari amici britannici, non vi lasciate convincere dalle argomentazioni dei Remain, e il 23 giugno votate per i Leave». «Voglio essere onesto con voi continua il giornalista francese – Lasciare l’Unione europea non è davvero nel vostro interesse, ma io difendo i valori dell’Unione ed è nel suo di interesse che vi dico di lasciarla». Le parole del corrispondente del quotidiano francese sono soltanto in minima parte ironiche. Nel suo editoriale, che ha scatenato polemiche e vivaci contro risposte, Quatremer spiega chiaramente quali sono i motivi della sua dichiarazione di parte. In caso di vittoria del fronte dei Remain per Quatremer l’integrazione europea sarà ancora più rallentata. «David Cameron risulterà essere l’unico leader ad aver vinto un referendum sull’Ue tra le 28 capitali – scrive il giornalista – E verrà a Bruxelles a imporre le sue condizioni». Condizioni che come in molti a Bruxelles sanno hanno poco a che fare con maggiore Europa e molto più con maggiore mercato e meno controlli centrali. Per Jean Quatremer sarà soltanto grazie allo scossone della Brexit se l’Unione europea procederà verso nuovi scenari di integrazione, gli stessi peraltro auspicati anche dalla Germania.

«Cari amici britannici, non vi lasciate convincere dalle argomentazioni dei Remain, e il 23 giugno votate per i Leave. Voglio essere onesto con voi Lasciare l’Unione europea non è davvero nel vostro interesse, ma io difendo i valori dell’Unione ed è nel suo di interesse che vi dico di lasciarla»


Jean Quatremer

L’obiettivo di una maggiore integrazione economica, fiscale e politica era anche al centro delle dichiarazioni dell’ex Presidente della Commissione Jacques Delors, che quattro anni fa in un’intervista a un quotidiano tedesco chiedeva «ai britannici di fare un passo indietro e chiedere un’associazione puramente commerciale con l’Ue». Considerato uno degli uomini simbolo dello spirito comunitario Delors potrebbe oggi essere preso come testimonial dai comitati di Nigel Farage. Per Delors l’Ue necessita urgentemente di una riforma dei trattati nei quali si proceda progressivamente alla maggiore concessione della sovranità politica da parte degli Stati. «A Londra non interessano che gli affari ha chiarito Delors – È possibile restare amici, senza però essere legati».

Il Delors pensiero sembra essere stato anche dietro ai negoziati condotti tra Londra e Bruxelles l’autunno scorso e che hanno dato forma alla bozza di accordo di ridefinizione delle relazioni tra le due parti in caso di vittoria del fronte del “Remain”. Lo stesso Jean Claude Juncker in cuor suo spera di veder allentato il ruolo di Londra in modo che in futuro Londra non si metta di traverso. In queste ore di guerra all’ultimo punto percentuale, dove si dice tutto e il contrario di tutto, c’è chi tra i corridoi delle istituzioni tiene di nascosto le dita incrociate dietro la schiena e spera dalla prossima settimana di tornare ad avere il francese come lingua ufficiale di lavoro. Relegando l’inglese a un incidente di percorso.

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