Per la successione è ancora presto. Nessuna fretta, nessuna accelerazione. Eppure è evidente che il malore di Silvio Berlusconi è destinato a riaprire l’annoso argomento, che da anni ciclicamente riaffiora. Chi raccoglierà il testimone politico dell’ex Cavaliere? A prescindere dalla volontà del leader, è il bollettino medico che impone la futura transizione. «Berlusconi ha rischiato di morire» ha spiegato ieri il medico di fiducia Alberto Zangrillo, annunciando la necessità di un intervento chirurgico per un malfunzionamento della valvola aortica cardiaca. Tra qualche giorno il fondatore di Forza Italia si sottoporrà a un’operazione a cuore aperto. Poi alcune settimane di riabilitazione. «Tra un mese potrà tornare a fare ciò che vuole – ha insistito il dottore – ma io gli sconsiglio da tempo di fare il leader».
Dopo l’atteso recupero, Berlusconi è pronto a designare il suo erede? Finora le investiture del capo non sono mai state di buon auspicio. Non per i prescelti, almeno. Qualcuno è finito fuori dal partito, qualcun altro ha lasciato la politica. Ne sanno qualcosa, in ordine di sconfessione, Gianfranco Fini, Angelino Alfano e Raffaele Fitto. Tutti delfini mancati. E così oggi restano i dubbi anche sulla forma della transizione. Forza Italia potrà contare su un segretario politico, più probabilmente un coordinatore. Oppure chissà, magari la gestione ordinaria del partito sarà gestita in maniera collegiale da un gruppo dirigente. Una sorta di direttorio, mutuato dalla recente esperienza del Movimento Cinque Stelle. I diretti interessati giustamente lasciano correre. Non è ancora il tempo. Sarà Silvio Berlusconi, al momento, a decidere. E così le incognite aumentano. Lo scenario porta a uomo di partito oppure a un imprenditore? Forse un uomo lontano dal Palazzo, come ha sempre vagheggiato il leader.
Numeri alla mano, l’assalto al centrodestra di Matteo Salvini sembra fallito. Non sarà lui a guidare la coalizione, almeno per ora. La strada dell’intesa con la Lega, semmai, rende attuale il nome di Giovanni Toti
Inevitabilmente si parte dall’ultima prova, le elezioni amministrative. Numeri alla mano, l’assalto al centrodestra di Matteo Salvini sembra fallito. Non sarà lui a guidare la coalizione, almeno per ora. La strada dell’intesa con la Lega, semmai, rende attuale il nome di Giovanni Toti. Governatore della Liguria, consigliere politico del Cavaliere, storico sostenitore dell’asse con il Carroccio. Non sfugge che proprio Toti è stato l’ultimo dirigente cresciuto sotto l’ala del capo, da tutti indicato come suo più probabile erede politico. Ma il voto nelle grandi città ha fatto emergere altre personalità. Femminili, soprattutto. A Milano Maria Stella Gelmini ha conquistato quasi 12mila preferenze. Superando di 4mila voti lo stesso Salvini. A Napoli la candidata più votata è stata Mara Carfagna, anche lei capolista di Forza Italia, che ha ottenuto 5500 preferenze. Due ex ministre dei governi Berlusconi, due dirigenti riconosciute tra le più influenti nella squadra forzista.
Una linea troppo accondiscendente verso il governo Renzi rischia di scontentare una parte di Forza Italia. Un appiattimento sulle posizioni lepeniste di Salvini anche. Dopotutto, quando sarà il momento, la prima incognita resta proprio la tenuta del partito
Ma non solo politica. I retroscena giornalistici puntano su Stefano Parisi, già manager e imprenditore di successo. La vera sorpresa delle amministrative è stato lui. Candidato sindaco a Milano, è riuscito a colmare il gap con il renziano Beppe Sala. Dietro Parisi si è saldato l’intero centrodestra. Al ballottaggio, tra una decina di giorni, potrebbe essere questa la chiave del successo. Più difficile pensare ad Alfio Marchini. L’altro imprenditore scelto da Berlusconi per provare a conquistare Roma. È stato anche il candidato con cui l’ex Cavaliere si è speso di più. Accompagnato fino al comizio di chiusura della campagna elettorale. Per settimane le indiscrezioni hanno indicato Marchini come possibile erede politico del vecchio leader. Ma la sconfitta alle amministrative – nella corsa al Campidoglio è arrivato quarto – oggi rende difficile l’ipotesi.
A lungo si è favoleggiato di una successione dinastica. Si sono scritte intere pagine sull’ascesa politica di Marina Berlusconi, figlia del capo. Senza dimenticare il ruolo dei dirigenti forzisti. Un ipotetico organismo collegiale non potrebbe prescindere dai principali protagonisti del partito. A partire dai capigruppo di Camera e Senato, Renato Brunetta e Paolo Romani. E chissà che la condivisione non sia la soluzione per evitare il rischio di spaccature. Una linea troppo accondiscendente verso il governo Renzi può scontentare una parte di Forza Italia. Un appiattimento sulle posizioni lepeniste di Salvini anche. Dopotutto, quando sarà il momento, la prima incognita resta proprio la tenuta del partito.