Cosa c’è di più sdemocratizzante di un patto segreto firmato da un governo eletto democraticamente? Forse un golpe. Eppure i patti segreti, veri o presunti, hanno accompagnato la storia e orientato l’opinione pubblica. Dal patto di Londra del 1915 al cosiddetto Lodo Moro, passando per le attività sotterranee nel corso della guerra fredda agli accordi tra Italia e Stati Uniti d’America per le basi militari, arrivando a trattati come Tisa e Ttip con l’allestimento delle famose “camere di consultazione” (anche se qui trovate tutte le posizioni dell’Ue) oppure al più politico e terreno “Patto del Nazareno”.
Ci siamo limitati agli ultimi cento anni, eppure di patti passati sopra la testa dei cittadini e dei parlamenti ce ne sono a decine e quando vengono a galla sono dolori. D’altronde già nell’800 la “diplomazia segreta” era regola tra le potenze europee e il Patto di Londra, firmato in segreto il 26 aprile del 1915 tra il governo italiano con gli Stati della Triplice Intesa ricadde semplicemente sotto quel cappello. Fu il patto con cui l’Italia voltò le spalle a Germania e Austria-Ungheria, scendendo poi in guerra al fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia.
Il patto rimase segreto fino al 1917 quando fu reso pubblico dai bolscevichi una volta preso il potere in Russia e dando pubblicità agli atti diplomatici dello Zar. Il governo italiano guidato da Antonio Salandra non ritenne di informare il Parlamento dando mandato al marchese Guglielmo Imperiali, ambasciatore a Londra, di firmare il trattato con le potenze di Regno unito, Francia e Russia. Il 14 febbraio del 1918 La Stampa pubblica il memorandum, alla fine non andato in porto, con cui l’Italia aderì al patto. «Ecco il testo del documento» scriveva il giornale torinese «letto ieri alla Camera e che noi già da parecchio tempo avevamo chiesto invano alla Censura di poter pubblicare». Insomma una richiesta di accesso agli atti negata ante-litteram.
Il segreto di Stato ha blindato accordi e decisioni. Lo scudo non sempre motivato della difesa della sicurezza nazionale è stato usato anche per mettere al riparo temi e concessioni sensibili. In questo senso spicca quello che in ambienti militari ricordano come “accordo ombrello”, tecnicamente il Bilateral Infrastrutture Agreement (Bia) stipulato dal governo Scelba il 20 ottobre 1954 con le cime dell’allora ministro Giuseppe Pella e dell’ambasciatore statunitense Clare Booth Luce.
L’accordo stabiliva le condizioni di utilizzo delle sei basi Usa sul territorio italiano, le quali hanno ospitato, e ospitano, tra i 13 e i 20 mila militari Usa. Il segreto sulle condizioni permane, ma cinquantasette anni dopo, nel 2011, Wikileaks pubblicando i cablogrammi delle ambasciate di Roma e Washington mostra come l’accordo sia ancora attivo e funzionante. Da qui emerge tutta la preoccupazione americana sulla declassificazione del Bia tentata nel 2008 dal governo Berlusconi: «Per noi sarebbe controproducente e potrebbe ridurre la libertà di azione delle forze basate in Italia».
A regolare la presenza delle basi è l’articolo 2 del trattato che viene riportato in uno dei cablogrammi e recita che «Il Governo degli Stati Uniti si impegna ad utilizzare le installazioni concordate nello spirito e all’interno della struttura di cooperazione con la NATO. Il Governo degli Stati Uniti si impegna ad utilizzare le installazioni concordate esclusivamente al fine di eseguire incarichi NATO e, in ogni caso, a non usarle per azioni di guerra a meno che non siano in osservanza a disposizioni NATO o concordate con il Governo Italiano». Dunque le basi di Vicenza, Aviano (Pordenone), Sigonella (Siracusa), Napoli, Gaeta (Latina) e Camp Darby (Livorno) non andrebbero usate per «azioni di guerra» salvo disposizioni NATO o altri accordi.
Lo stesso ambasciatore Spogli nell’invio del suo messaggio cifrato a Washington è chiaro: «Gli Stati Uniti hanno tradizionalmente interpretato in modo molto estensivo queste disposizioni nel senso di utilizzare le forze degli S.U. anche per operazioni non NATO (come in IRAK o nelle missioni umanitarie in Africa) sulla base di un tacito consenso del Governo Italiano. Le autorità politiche e militari italiane – conclude Spogli – hanno generalmente accettato questa interpretazione dando il loro assenso in modo informale. Tuttavia è presumibile che se queste disposizioni fossero rese pubbliche i partiti politici che si oppongono alla presenza militare degli Stati Uniti in Italia ed agli impegni oltremare degli S.U. farebbero pressioni sul Governo Italiano affinché si attenesse ad una più restrittiva interpretazione degli accordi».
Segreti veri insomma, soprattutto per quel che riguarda l’atteggiamento sia dei governi italiani sia di quelli statunitensi. D’altronde si specifica sempre in uno dei cablogrammi a firma dell’ambasciatore Melvin Sembler all’indomani dell’invasione dell’Iraq che «Pur riconoscendo che l’Italia può sembrare frustrante e bizantina… è un posto eccellente per condurre i nostri affari politico-militari».
Di segreti veri e presunti, si diceva l’Italia ne è piena. Tornando ancora agli anni di piombo si ricordi il cosiddetto “lodo Moro”, rievocato da Cossiga in una intervista nel 2008. Un accordo che avrebbe permesso, per dirla con lo stesso picconatore «agli amici della “resistenza palestinese”» di fare in Italia «quel che voleva purché non contro il nostro Paese». Secondo l’ex presidente della Repubblica gli stessi palestinesi «si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo» nella strage di Bologna e Francesca Mambro e Giusva Fioravanti altro non erano che oggetto di «sentenze politiche». Un documento inviato dal Libano dal colonnello Stefano Giovannone, capo centro Sismi a Beirut il 17 febbraio 1978 che lancia l’allarme su una «operazione terroristica di notevole portata programmata asseritamente da terroristi europei» di cui gli aveva parlato Goerge Habbash, leader del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina è stato desecretato a ottobre dello scorso anno. Poche settimane dopo arriva il rapimento del politico della Dc allora presidente del Consiglio. Si cristallizzerebbe dunque un elemento fondamentale: lo stesso Lodo Moro, cioè Habbash che assicura Giovannone che l’FPLP non prenderà parte ad attentati in Italia. «A mie reiterate insistenze per avere maggiori dettagli – scriveva Giovannone -, Habbash mi ha assicurato che l’Fplp opererà in attuazione confermati impegni miranti escludere nostro Paese da piani terroristici. Attuazione confermati impegni». Niente bombe dei palestinesi in Italia, dunque.
Accordi e segreti come quelli che negli anni ’50 portarono alla scarcerazione dei criminali di guerra tedeschi imprigionati in Italia. Accordi figli degli incontri tra l’emissario del cancelliere tedesco Adenauer, Heinrich Höfler, e il segretario generale del ministero degli esteri Vittorio Zoppi. Racconta la vicenda Filippo Focardi nel suo libro “Criminali di guerra in libertà”. Tra provvedimenti di grazia e scarcerazioni nelle prigioni italiani restarono solo Herbert Kappler e Walter Reder. Un’accondiscendenza di Roma verso Bonn dovuta al tentativo di ricostruzione della politica nel quadro della guerra fredda.
Certo è che un tempo passare sopra la testa di elettori e parlamenti, come nel caso del Patto di Londra, forse era più semplice. Oggi in tempi di leak ed hacker, anche di Stato, la segretezza potrebbe non vivere l’età dell’oro. A non passare è il tempo dell’accordo sotto banco in politica, di quello che una volta si chiamava “inciucio”, dei cambi di casacca e del trasformismo. Tutto nel rispetto dell’articolo 67 della Costituzione, s’intende, che lì la “colpa” non è sua, ma delle derive delle leggi elettorali.