«L’Europa è morta. Viva l’Europa?», si chiede lo Spiegel, storico settimanale tedesco famoso anche in Italia per le sue pungenti copertine. Da quella del 1977 con pistola e spaghetti e il titolo Urlaubsland Italien che metteva in guardia i turisti tedeschi dal trascorrere le vacanze nel Belpaese, a quella di un paio di anni fa con Silvio Berlusconi seduto su uno scranno reale e la didascalia “Il Padrino”. Questa volta l’Italia non c’entra direttamente, ma lo Spiegel ci azzecca, registrando in sei parole, e soprattutto con il punto di domanda, la grande incertezza che regna sul Vecchio continente. Lo shock della Brexit è arrivato a Berlino forse ancora più forte che altrove, perché è proprio dalla Germania che ci si aspetta la coordinazione della controffensiva a quella che i pessimisti hanno definito l’inizio della fine dell’Unione Europea. Non è un caso che subito dopo il voto britannico Angela Merkel abbia convocato nella capitale tedesca i due maggiori partner, ossia il presidente francese francese Francois Holland e il premier italiano Matteo Renzi, oltre che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Per intuire cosa succederà a Bruxelles nei prossimi mesi occorre insomma capire quali saranno le intenzioni della Germania, il cui ruolo traino all’interno della Ue non è in discussione, fermo restando che sia Roma che soprattutto Parigi qualche voce in capitolo ce l’hanno.
Lo shock della Brexit è arrivato a Berlino forse ancora più forte che altrove, perché è proprio dalla Germania che ci si aspetta la coordinazione della controffensiva a quella che i pessimisti hanno definito l’inizio della fine dell’Unione Europea. Non è un caso che subito dopo il voto britannico Angela Merkel abbia convocato nella capitale tedesca i due maggiori partner: Francois Holland e Matteo Renzi, oltre che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk
Il problema è che anche a Berlino al momento non si sanno che pesci pigliare e il governo di coalizione tra i conservatori di Cdu/Csu e i socialdemocratici della Spd è tutt’altro che coeso nel valutare le strategie del dopo Brexit. Non solo un piano dettagliato condiviso non c’è, ma non c’è nemmeno armonia nelle linee di fondo. Frau Merkel prende quindi tempo, consapevole che i tempi sono quelli che sono, soprattutto i due anni, prolungabili, di trattative con la Gran Bretagna e con un occhio al 2017, quando sia in Germania che in Francia sono in calendario elezioni politiche che potrebbero cambiare radicalmente le carte interne. Da una parte la cancelliera non ha ancora sciolto il nodo su una sua prossima candidatura, anche perché i temi sul tavolo al momento sono più scottanti. Dall’altra parte Hollande rischia nel peggiore dei casi di essere rimpiazzato da Marine Le Pen e e allora anche nella Berlino conservatrice si potrebbero accorgere che il dialogo con la socialdemocrazia europea, anche nelle sue varianti più estemporanee, vedere alla voce Renzi, può essere forse più produttivo.
Al di là delle incognite di un futuro che in ogni caso è molto vicino, il peso dei prossimi mesi grava sulla cristianodemocratica Merkel che deve trovare prima di tutto un equilibrio con il leader bavarese della Csu Horst Seehofer, non proprio uno fulminato sulla via di Bruxelles, e con il vice-cancelliere e numero uno della Spd Sigmar Gabriel, che qualche idea per riformare l’Europa ce l’ha, peccato però che non coincida con quella della cancelliera. Gabriel e il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, hanno sfornato già un piano in dieci punti che si riassume nel concetto di “più Europa”, vale a dire che adesso è arrivata l’ora di cambiare marcia e particolare rilevanza è riservata alle questioni economiche con cambiamenti necessari ai patti di crescita e stabilità. A questo se ne affianca un altro, sempre socialdemocratico, che il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier e quello francese Jean Marc Ayrault hanno presentato in nome dell’asse franco-tedesco e secondo il quale si impone decisione e velocità nell’affrontare la crisi, per evitare che il processo di disgregazione si allarghi.
Se le questioni di tempistica e maggior integrazione solidale fanno anche il gioco di Renzi e di un’Italia non proprio primattrice, i piani socialdemocratici si scontrano con la flemma cristianodemocratica di una cancelliera che ha evitato sinora di premere sull’acceleratore per non mettere alle corde la Gran Bretagna, che rimane, dentro o fuori l’Unione, un importante partner politico ed economico
Se le questioni di tempistica e maggior integrazione solidale fanno anche il gioco di Renzi e di un’Italia non proprio primattrice, i piani socialdemocratici si scontrano con la flemma cristianodemocratica di una cancelliera che ha evitato sinora di premere sull’acceleratore per non mettere alle corde la Gran Bretagna, che rimane, dentro o fuori l’Unione, un importante partner politico ed economico. Nel suo discorso al Bundestag sulla Brexit Angela Merkel ha segnalato di voler andare con i piedi di piombo, aspettando dall’ancora premier James Cameron l’ufficiale dichiarazione di uscita dalle Ue secondo l’articolo numero 50 degli accordi di Lisbona. Ha anche sottolineato come non ci saranno corsie privilegiate nelle trattative, ribadendo in pratica quello il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha messo nero su bianco sul “suo” piano per il dopo Brexit, svelato qualche giorno fa dal quotidiano Die Welt. Per il mastino custode dell’economia tedesca l’obbiettivo è quello di fare di Londra un “partner associato”, alla fine di un percorso che si presenta ricco di ostacoli e sul quale non verrà fatto nessuno sconto. Dove e come finirà l’Europa nessuno esattamente lo sa e per ora Berlino temporeggia, tirandosi dietro tutta l’Unione, in attesa delle prossime mosse di Londra.