TurchiaLa resurrezione del Sultano: e ora Erdogan è più forte di prima

Il ruolo di polizia, imam e politica nella reazione contro i colonnelli. Il cui tentativo di colpo di Stato sarà usato dal Presidente turco per smantellare i residui della Turchia laica di Ataturk

Il golpe militare in Turchia è fallito. La democrazia – o meglio l’autocrazia – plasmata dal presidente Recep Tayyp Erdogan nel corso dell’ultimo decennio ha retto l’urto di quello che probabilmente è stato il canto del cigno della forza politica un tempo dominante nel Paese: l’esercito. Fin dalla nascita della Turchia moderna le forze armate sono state le custodi della Repubblica kemalista, laica e filo-occidentale. Una forma questa che alla popolazione non era consentito cambiare, neppure per via democratica. Ma i tempi sono cambiati. Anche per andare incontro alle richieste dell’Unione europea, che all’epoca trattava con maggior convinzione l’eventuale ingresso di Ankara, la Turchia tra gli anni ’90 e Duemila è diventata una democrazia via via più compiuta fino a diventare forse troppo democratica, con un presidente – Erdogan appunto – che negli ultimi anni ha sempre più usato il consenso della maggioranza della popolazione come una clava contro alcuni capisaldi liberali dello Stato, a cominciare dalla sua laicità e dalla divisione dei poteri.

Forte della propria popolarità Erdogan ha costruito nel tempo gli argini che hanno retto questa notte: una polizia fedele e fortemente militarizzata, una massa di sostenitori del suo partito (Akp) che si è attivata rapidamente e in modo determinato a un suo comando mandato via video col cellulare (e pare incitata anche dagli imam), servizi segreti leali, reparti anche delle forze armate (sembra la Marina in particolare ma non solo) che non lo hanno abbandonato. Così quando sembrava che il Sultano (questo il soprannome di Erdogan) fosse vicino alla caduta – con le Tv occupate, il Parlamento sotto attacco, i carri armati in strada e gli aerei che sorvolavano minacciosi i cieli di Ankara e Istanbul – in realtà la contro-reazione era già in atto. In poche ore i golpisti si sono trovati isolati, i soldati non hanno sparato sulla folla (sarebbe stato necessario un massacro per far rispettare il coprifuoco dichiarato) e i vari Paesi alleati della Turchia hanno – dopo le prime ore di silenzio neutrale – in principio lentamente e poi sempre più cominciato a schierarsi dalla parte del “governo legittimo”.

Erdogan esce infatti estremamente rafforzato dall’esito degli eventi convulsi delle ultime ore. Ha una narrazione, una propaganda, delle immagini fortissime e anche dei martiri da poter spendere presso il suo popolo e presso l’opinione pubblica mondiale. Ha già definito “un dono di dio” questo tentativo di golpe per epurare finalmente le forze armate dalle ultime “scorie”

Dopo stanotte il golpe militare non sarà più considerata, probabilmente, una carta vincente nel mazzo delle opzioni in Turchia. Anche se avessero catturato Erdogan (questo è ritenuto il più grave errore dei golpisti) i militari probabilmente non avrebbero comunque potuto portare a termine il colpo di stato: una fetta troppo grande della società turca gli si è schierata contro e, a differenza che nel passato, ha potuto contare sull’appoggio di pezzi fondamentali dell’apparato (polizia, magistratura, servizi, tutti portati da Erdogan sotto il proprio stretto controllo negli ultimi anni, anche forse in prospettiva di una notte come la scorsa). Dopo stanotte, probabilmente, la Repubblica Kemalista turca è morta definitivamente.

Erdogan esce infatti estremamente rafforzato dall’esito degli eventi convulsi delle ultime ore. Ha una narrazione, una propaganda, delle immagini fortissime e anche dei martiri da poter spendere presso il suo popolo e presso l’opinione pubblica mondiale. Ha già definito “un dono di dio” questo tentativo di golpe per epurare finalmente le forze armate dalle ultime “scorie” (alimentando i sospetti dei soliti complottisti di una mossa in stile Reichstag). Gli ultimi baluardi di quella che un tempo era l’ortodossia repubblicana turca sono quindi destinati a cadere. Il sogno autocratico e islamista del Sultano non dovrebbe più incontrare ostacoli. Poco importano i suoi fallimenti in politica estera, l’aver portato il terrorismo dell’Isis nel Paese, aver ricominciato una guerra col Pkk curdo, essere costantemente criticato per le sue smanie accentratrici. Dopo stanotte Erdogan è un eroe della democrazia, salvatore del (e salvato dal) suo popolo. E l’identikit del nemico sembra chiarissimo.

Il golpe dei generali (o, in questo caso, pare dei colonnelli) probabilmente non è stato, come pure si è pensato a un certo punto, ordinato dal politico e religioso arci-nemico di Erdogan, Fethullah Gulen. Non è stata nemmeno una reazione all’avvicinamento di Ankara a Mosca (con lo zampino deli Usa quindi), che non ha mai avuto un’entità tale da dover preoccupare la Nato. È stato probabilmente – pur con l’aggiunta di motivazioni personali che emergeranno nelle prossime ore – quello che è stato: un ultimo disperato tentativo, da parte di chi ideologicamente voleva difendere la natura stessa della Turchia laica creata da Ataturk, di fermare la deriva islamista (e, per ora solo a parole, anti-occidentale) impressa da Erdogan al Paese. Non a caso nel comunicato diffuso a inizio colpo di stato dai golpisti le parole chiave erano quelle: ripristino della laicità, dei diritti, del primato della legge (dopo, ma questo è stato omesso, la legge marziale e il coprifuoco). Non ce l’hanno fatta e forse non c’era modo che ce la facessero, i buoi erano scappati dalla stalla già troppo tempo fa. Il Sultano potrà ora risiedersi su un trono stabile come mai prima.

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