Il Portogallo è una squadra che quando ha il pallone tra i piedi sembra che non sappia che farsene. Il Portogallo ha vinto solo una volta una partita entro i 90 minuti. Il Portogallo è in finale di Euro 2016.
Capite bene che viene da chiedersi chi come dove come e perchè.
Si può leggere la questione in diversi modi. Certo una prima spiegazione sta nell’ormai tanto vituperato tabellone del torneo, che ha fatto sì che da una parte si ritrovassero la maggior parte delle big d’Europa, lasciate a scannarsi da sole come cani rabbiosi gettati in una vasca da combattimenti clandestini; mentre dall’altra c’erano sì il Portogallo, la Croazia e il Belgio (che ha rischiato di arrivare più avanti dell’Italia nonostante la sconfitta iniziale e il secondo posto nel girone), ma anche aspiranti “Leicester d’Europa” (ARGH) come l’Islanda, l’Ungheria e il Galles di Bale.
Poi c’è la fortuna, che si lega al tabellone ma non solo. Contro la Croazia, in una delle partite francamente più brutte degli ultimi anni, il Portogallo ha vinto a pochi minuti dai rigori dopo aver rischiato di prendere gol: palo degli avversari, ribaltamento di fronte e gol di Quaresma, uno che qualche anno fa è arrivato in Italia convinto di fare 3 gol a partita con una mossa chiamata “trivela”.
Alla fortuna si accompagna però anche una certa dose di talento, che non guasta mai. Su di tutti, oltre a quel numero 7 di cui parleremo, c’è il giovane Renato Sanches, per il quale il Bayern Monaco si è svenato (vabbè, loro possono) ma che forse così giovane non è, almeno a sentire Guy Roux. Sanches ha una storia curiosa alle spalle: la leggenda narra che il suo vecchio club, il Benfica, lo abbia pagato il corrispettivo di 25 palloni all’Aguias Musgueira, piccola squadra della capitale portoghese. Vero è che quando arriva nella squadra delle aquile, il suo valore è di circa 700 euro: è stato venduto a 30 milioni, che possono arrivare a 80 tra premi e bonus vari. Sanches viene descritto come il ritratto della freddezza, della calma. Tanto che il ct lusitano non ha esitato a convocare il 18enne: “Macché pressioni…”. E poi, il ragazzo è uno che da fuori ha il piede leggermente caldo. Suo è il gol del pareggio ai quarti contro la Polonia.
E poi c’è Cristiano. Cristiano l’antipatico, che non regala la maglia a un giocatore islandese. Cristiano lo spento, il mai decisivo in nazionale, che non segna nelle prime gare e viene dato per morto. Cristiano il fenomeno, che la mette di tacco contro l’Ungheria e trascina i suoi agli ottavi. Cristiano il rinato, che resta in aria per un numero indefinito di secondi e apre le marcature contro il Galles.
E mentre CR7 si gioca la sua seconda finale agli Europei, viene però da chiedersi se il risultato non sia anche legato alla mancanza di gioco, di idee, di avversari degni. La gara contro la Croazia come detto non è stata granché e nemmeno quella contro la Polonia, brava a difendersi ma con un Milik dalle polveri bagnate (per non parlare di Lewandowski: un solo gol proprio contro il Portogallo, poi il nulla). La semifinale ha visto un Galles che cerca di affidarsi a un commovente Bale che da solo non può nulla: gli manca lo squalificato Ramsey ad aprirgli la difesa avversaria nel mezzo e nulla più. Insomma, questo europeo ha permesso alla squadra con il giocatore ha tirato di più in porta (sì, sempre Cristiano: 122) ma senza una vera prima punta come mancanza ormai cronica di andare in finale. Tirate voi le conclusioni.