Pizza ConnectionMafia e appalti: finita la festa, il “modello Expo” mostra tutte le sue crepe

Con la macchina dei controlli partita con un imperdonabile ritardo le inchieste mostrano le difficoltà del “modello Expo”. In tanti hanno finta di niente in favor di retorica e sfruttando l'impasse della procura meneghina

L’operazione “Giotto” che ieri ha portato all’arresto di undici persone (4 in carcere e 7 ai domiciliari) con l’accusa di associazione a delinquere per favorire Cosa Nostra, riciclaggio e altri reati tributari, rimette al centro dell’attenzione il sistema dei controlli e la preparazione di Expo 2015. Per quanto gli stessi pm di Milano abbiano sottolineato a più riprese che «non sono individuate responsabilità penali in capo e Ente Fiera o a Expo», è innegabile che nell’ingranaggio qualcosa non abbia funzionato. Tanto che la commissariata Nolostand è una controllata di Fiera Milano, che tramite la Fondazione (che controlla Fiera Milano) partecipa al capitale di Expo Spa detenendo il 27,66% del capitale.

Una storia che parte da lontano, quella del sistema dei controlli per l’esposizione universale. Ha incontrato ritardi e battute d’arresto importanti che hanno permesso il proliferare di una zona grigia tamponata appena dai protocolli messi in campo dalla prefettura di Francesco Paolo Tronca, poi passato dopo l’evento a fare il commissario a Roma per sostituire l’ex sindaco Marino. I numeri hanno parlato di 89 interdittive antimafia per 61 imprese che hanno lavorato per periodi più o meno lunghi sui cantieri dal 2011 alla fine dell’evento. L’altro dato che ha messo a nudo un sistema partito in ritardo riguarda i provvedimenti di cancellazione dalle White List, cioè le liste che avrebbero dovuto indicare le “aziende pulite” per l’affidamento dei lavori: a luglio 2015 era una sola, un mese dopo erano ben sette.

In questa cornice poco sorprende allora che il consorzio di cooperative che ha fatto accendere i fari della procura abbia realizzato, tra le altre cose, gli allestimenti per i padiglioni di tre Paesi stranieri quali Francia, Qatar e Guinea. Quando è stata ora di sottoscrivere i protocolli di legalità per i Paesi stranieri si è scelto che quella sottoscrizione fosse volontaria e le adesioni non arrivarono di certo in massa. A 11 mesi dall’esposizione vi fu la sottoscrizione immediata della Germania, altri 15 Paesi, aderirono tramite il consorzio Valori che firmò il protocollo.

L’ambasciata francese, la quale aveva volontariamente aderito al protocollo fa sapere a Linkiesta che «la gara d’appalto concernente la concezione, la realizzazione e la manutenzione del padiglione della Francia all’Esposizione universale di Milano è stata attribuita ad un consorzio di imprese dirette da CMC al termine di una gara d’appalto fatta nel rispetto delle regole dei mercati pubblici. Nessuna delle società chiamate in causa nel quadro delle indagini in corso fa parte di tale consorzio» e che «Il padiglione Francia non ha altri legami giuridici oltre a quello con il corsorzio e dunque nessun legame giuridico con i subappaltati di tale consorzio», quindi, specificano da Parigi «Spetta a CMC fornire precisazioni su società che sarebbero state chiamate in subappalto». Insomma, a vigilare sui subappalti secondo i francesci doveva essere CMC.

Dal canto suo la stessa CMC di Ravenna interpellata da Linkiesta fa sapere di aver fornito «al Commissariato Francese di riferimento per il Padiglione tutte le anagrafiche relative a: subappaltatori, fornitori, operai e mezzi utilizzati per la realizzazione delle opere». Il commissariato francese si è poi impegnato a caricare tutte le informazioni sulla piattaforma informatica predisposta da Expo insieme alla Prefettura di Milano, che ha poi dato il nulla osta rilasciando «i badge necessari per l’ingresso all’area del sito espositivo». Dunque tutti avevano titolo per stare sul cantiere, al più doveva essere la Prefettura a non concedere i badge.

Probabilmente la procura di Milano nel corso degli interrogatori e nel proseguire l’inchiesta avrà anche modo di chiarire questi aspetto. Scenari di questo genere erano stati tracciati dai rapporti del comitato antimafia del Comune di Milano presieduto da Nando dalla Chiesa. Una di quelle relazioni non è mai stata pubblicata perché finita come esposto direttamente alla procura.

L’operazione “Giotto” che ieri ha portato all’arresto di undici persone (4 in carcere e 7 ai domiciliare) con l’accusa di associazione a delinquere per favorire cosa nostra, riciclaggio e altri reati tributari, rimette al centro dell’attenzione il sistema dei controlli e la preparazione di Expo 2015

La partecipata Nolostand è stata commissariata e questo per Fiera Milano è un bel grattacapo, anche perché gli arrestati in tre anni hanno ottenuto attraverso la società appalti per venti milioni di euro. Non sono noccioline. Dall’ente, ha detto il pm Paolo Storari «codici etici, protocolli di legalità e modelli organizzativi sono stati vissuti come qualcosa di cosmetico, come carta messa lì tanto per metterla». Peraltro, dal decreto di commissariamento emergono particolari e personaggi che le inchieste della direzione distrettuale antimafia di Milano conoscono fin troppo bene. Ma andiamo con ordine.

La prima anomalia è che Giuseppe Nastasi non dovrebbe trovarsi lì: la società è amministrata non da lui ma da Calogero Nastasi, il padre. Per il codice etico di Fiera Milano i contatti con i collaboratori esterni intervengano «direttamente con la persona fisica o giuridica che presta il servizio e con nessuna altra parte ». Giuseppe Nastasi e Liborio Pace non rivestono però alcun incarico ufficiale all’interno del consorzio. Dunque già in quel frangente la macchina avrebbe dovuto vedere semaforo rosso. Invece, scrivono gli inquirenti, dal 2013 all’ottobre 2015 su un totale di fatture emesse nei per 20.295.587 euro, i pagamenti effettuati da Nolostand (a Dominus) risultano essere 18.061.928 euro.

Nel documento si legge come due dei principali indagati, Giuseppe Nastasi e Liborio Pace, a marzo 2015, siano parecchio preoccupati sul cambio di vertice previsto in Fiera Milano, con cui avevano in ballo il rinnovo dei contratti. In quel periodo infatti viene nominato il nuovo ad Corrado Arturo Peraboni, il quale viene prontamente contattato dai due. Per essere ricevuti interrompono addirittura le vacanze e si recano a Milano per discutere del prolungamento del contratto di collaborazione del Consorzio Dominus all’interno del polo fieristico. Peraboni al Corriere della Sera spiega «li ho incontrati una sola volta e solo perché il commercialista Pietro Pilello, ex consigliere di Fondazione, mi aveva chiesto di bere un caffè. A mia insaputa ha portato anche questi due signori che non avevo mai visto e non ho incrociato mai più. Escludo – conclude Peraboni – di aver parlato di rinnovo di contratti, non mi interesso dei fornitori delle controllate»

E qui fa capolino, come intermediario, Pietro Pilello (non indagato, ndr), un commercialista che le carte della direzione distrettuale antimafia di Milano conoscono fin troppo bene. Calabrese con un passato di incarichi in società pubbliche, da Metropolitana Milanese a Finlombarda, passando per la presidenza del Collegio dei revisori dei conti della Provincia di Milano, Pilello è uomo dalle mille relazioni. Con il bagaglio di incarichi e conoscenze è entrato tra le carte dell’operazione Infinito nel 2010 con cui, si desume dalle intercettazioni, è in contatto con quelli che allora erano gli indagati e poi condannati. In particolare con Pino Neri, organizzatore del famoso summit nel centro Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano in cui riunì i rappresentanti della ‘ndrangheta lombarda, e con Cosimo Barranca, cui chiederà anche una presenza in occasione di una cena elettorale.

«Codici etici, protocolli di legalità e modelli organizzativi sono stati vissuti come qualcosa di cosmetico, come carta messa lì tanto per metterla»


Paolo Storari, pm di Milano

Insomma Pilello da da non indagato farebbe comunque parte di quello che magistrati e sociologi chiamano “capitale sociale” dell’organizzazione criminale. Anche questa volta è lui che avrebbe fatto da intermediario tra gli indagati e il nuovo ad di Fiera Milano per l’incontro. «C’è da capire con Pilello che rapporto hanno» si chiede Nastasi intercettato. Il 29 luglio Nastasi esce dall’incontro con i vertici di Fiera.

Tuttavia l’approdo del nuovo amministratore delegato in Fiera porta cambiamenti in Nolostand con cui Giuseppe Nastasi manteneva rapporti diretti con lo stesso amministratore delegato Marco Serioli. Il rinnovo dei contratti si blocca e marzo 2016 il direttore tecnico di Nolostand, Enrico Mantica, si legge nel decreto di commissariamento «ha ricevuto una lettera anonima di discredito che riguarda Giuseppe Nastasi (…) emerge che nella lettera Nastasi è definito “mafioso”».

Lettera cestinata e fatta passare come minaccia. «Stia sereno» dicono da Nolostand a Nastasi. Siamo a marzo 2016 e con un lavorìo continuo sui vertici di Nolostand Nastasi riuscirà a metà maggio ad avere conferma del contratto per il biennio 2016-2018.

La fortuna in qualche modo è con il sindaco di Milano: la richiesta dei pm è stato depositata il 10 febbraio del 2016 e poi integrata per tre volte: una volta a marzo e due volte a maggio, l’ultima il giorno 24, a pochi giorni dalle elezioni. In quel periodo però la procura non ha un capo ed è in subbuglio, e per eseguire quella richiesta ci vorrà un mese e mezzo.

C’è poi il filone sugli appalti Expo, e anche qui Nastasi e Pace lavorano a stretto contatto con il direttore tecnico di Nolostand. A pochi mesi dall’evento, quando la parte alta della clessidra si sta svuotando, c’è da chiudere gli ultimi lavori, ma c’è il rischio concreto che Raffaele Cantone rompa le uova nel paniere a qualcuno. A febbraio 2015 arrivano complicazioni per gli appalti sul centro congressi e sul Media Center: Cantone esprime riserve sull’assegnazione degli appalti a Fiera Milano (con un suo parere si evita che tutti gli appalti per gli allestimenti finiscano a Fiera Milano con un pacchetto da 50 milioni di euro), inoltre ai primi di marzo i Vigili del fuoco contestano al progetto la mancanza dei requisiti di sicurezza. Lo stesso Pace rivela un dettaglio interessante: «Hanno fatto la gara su un progetto bocciato dai vigili del fuoco».

Vigili del fuoco o no, il 2 marzo 2015 l’avviso di aggiudicazione non mente: lotto 1 e 2 della gara sono andati a Nolostand, Fiera Milano Congressi S.p.a. e Siram, responsabile del procedimento è l’ex direttore generale di Expo Christian Malangone. Lo stesso condannato a novembre a 4 mesi per la vicenda che ha coinvolto anche Roberto Maroni sui viaggi pagati alle due collaboratrici del presidente di Regione Lombardia a spese di Expo. Un elenco lungo quello dei manager transitati per Expo e per il tribunale. Da Antonio Rognoni ad Antonio Acerbo, fino al direttore generale vendite e marketing dell’esposizione per Pietro Galli (già segnalato dall’Anac per una condanna per bancarotta rimediata ben prima dell’inizio di Expo).

Giuseppe Sala da Londra parla da sindaco e sembra dimenticarsi il suo ruolo di amministratore delegato di Expo. «La battaglia per legalità – dice – non deve fermarsi mai. Stiamo lavorando per proteggere Milano dalle infiltrazioni malavitose». Sarà, eppure a Expo in corso un altro commissariamento, rigorosamente agostano per non disturbare troppo il manovratore, arrivò sempre per mafia, protagonista la Set Up Live di Torino e gli allestimenti al Padiglione Zero. Nell’ambito dell’indagine odierna il neo-sindaco di Milano è stato in qualche modo fortunato: la richiesta dei pm è stata depositata il 10 febbraio del 2016 e poi integrata per tre volte: una volta a marzo e due volte a maggio, l’ultima il giorno 24, a pochi giorni dalle elezioni. In quel periodo però la procura meneghina non ha un capo ed è in subbuglio, e per eseguire quella richiesta ci vorrà un mese e mezzo. O la “sensibilità istituzionale” per cui Renzi aveva fatto tanti complimenti alla stessa procura durante lo svolgimento dell’esposizione, dato che a giugno 2015, a Expo appena iniziata, sono iniziati i sequestri nei confronti degli indagati riconducibile alla Dominus.

(Ultimo aggiornamento 13 luglio 2016)

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