Il rapido e sconvolgente susseguirsi di attentati in Europa delle ultime due settimane, a partire dalla strage di Nizza, ha creato un’enorme confusione nei mass media e nelle opinioni pubbliche. Dalla confusione nasce l’incomprensione, e dall’incomprensione la paura (che è poi l’obiettivo finale dei terroristi). Proviamo allora a inquadrare gli ultimi avvenimenti in una cornice interpretativa ampia, che aiuti a distinguere un caso dall’altro e a dare a ciascuno il giusto peso.
L’attentato di Rouen non è un “salto di qualità” dell’Isis
Partiamo dall’ultimo attentato in Francia, a Rouen, dove un anziano parroco è stato barbaramente assassinato in chiesa da due diciannovenni francesi di origine maghrebina. Al momento sembra molto prematuro parlare di un’operazione pianificata dall’Isis: i due ragazzi hanno rivendicato la propria affiliazione, hanno filmato il proprio giuramento, uno dei due aveva anche provato a raggiungere la Siria nel 2015 (senza riuscirci e, anzi, per questo finendo ai domiciliari), ma sembrano più dei giovani disturbati ed esaltati che si sono radicalizzati in primo luogo via internet che non dei “soldati del Califfo”. Quanto alla scelta dell’obiettivo – un parroco in una chiesa – di nuovo non sembra ci siano gli elementi per attribuirla a un “salto di qualità” nella strategia jihadista: in primo luogo al momento pare che siano stati i due giovani terroristi a decidere chi e come colpire, in secondo luogo le indicazioni dell’Isis (e prima ancora di Al Qaeda) di colpire indiscriminatamente con qualunque mezzo sono risalenti nel tempo, rispettivamente 3-4 anni fa per lo Stato Islamico e addirittura 6-7 per Al Qaeda (la strategia dei “mille tagli” contro l’Occidente). Anche l’indicazione di colpire le chiese è datata almeno di un anno fa (e, al di fuori dei confini dell’Europa, i religiosi cristiani uccisi da jihadisti non son mancati anche negli anni precedenti, ad esempio in Nigeria). Dunque è importante non enfatizzare la propaganda dello Stato Islamico con una nostra informazione superficiale. In questo momento parlare di “salto di qualità” riferendosi ad attacchi jihadisti contro personale e strutture religiose rischia soltanto di incentivare altri terroristi (lupi solitari, cellule jihadiste o malati mentali, in questo senso conta poco) a emulare il massacro di Rouen nella speranza di suscitare il massimo scalpore.
Quello di Ansbach sembra essere l’unico caso di un combattente jihadista addestrato in Siria e infiltrato in Europa in mezzo ai profughi su indicazione diretta dello Stato Islamico allo scopo di compiere attentati
Gli attentati in Germania: un incubo chiamato Ansbach
Un profilo simile a quello dei due terroristi francesi di Rouen sembra essere quello di Mohammad Ryaz, il diciassettenne pakistano (ma che si era spacciato per afghano) che, armato di accetta e coltello, ha attaccato e ferito alcuni passeggeri di un treno in Germania prima di essere ucciso dalle forze dell’ordine. Li accomuna la giovane età, la radicalizzazione autonoma (di nuovo, un “lupo solitario”), l’affiliazione all’Isis tramite una dichiarazione diffusa via web, la tattica di “colpire con quel che si ha”.
Totalmente diversa invece la storia dell’attentato di Monaco, dove il terrorismo islamico non c’entra nulla (e il legame tra attentatore e Isis avrebbe dovuto suonare improbabile fin da subito, considerata la nazionalità tedesco-iraniana dell’attentatore – di nuovo un giovane, 18 anni, con gravi problemi mentali – e il fatto che l’Iran e gli sciiti sono il nemico principale dello Stato Islamico) ma che pure ha finito con l’alimentare il clima di ansia generale che respira oggi l’Europa.
Altrettanto slegata dal terrorismo islamico pare poi la vicenda, sempre accaduta in Germania, del profugo siriano che ha ucciso la compagna (una cittadina polacca) e ferito altre due persone con un machete. Al momento la pista che viene ritenuta più probabile dagli inquirenti è quella del delitto passionale. Anche in questo caso si era tuttavia inizialmente temuta una matrice jihadista.
Diverso il caso del terrorista siriano Moahmmed Deleel, che si è fatto esplodere nelle vicinanze di un concerto ad Ansbach, dove fortunatamente non è riuscito a entrare in quanto, sembra, sprovvisto di biglietto. Per fortuna non ci sono state vittime (forse l’ordigno è esploso accidentalmente prima del previsto) ma questo sembrerebbe – in base alle notizie diffuse dall’Isis stesso, pertanto da prendere con cautela – l’unico caso di un combattente jihadista addestrato in Siria e infiltrato in Europa in mezzo ai profughi su indicazione diretta dello Stato Islamico allo scopo di compiere attentati. Per la pericolosità in termini di danno potenziale (questo terrorista aveva esperienza militare, era in grado di costruire bombe e solo un caso fortuito ha impedito una strage) l’episodio è inquietante e con un crescente controllo delle polizie nazionali nei confronti dei possibili terroristi domestici (moltissimi attentatori di nazionalità europea che hanno colpito negli ultimi mesi erano noti alle forze dell’ordine) bisognerà vigilare che il Califfato, sotto attacca nei suoi territori, non provi a sfruttare maggiormente le rotte dei profughi per infiltrare jihadisti in Europa. Finora non era accaduto, l’Isis aveva considerato preferibile mandare legalmente terroristi di passaporto europeo (come quelli della strage di Parigi di novembre 2015) su voli aerei che non cittadini mediorientali clandestini sui barconi (abbattendo così rischi e costi).
Per combattere lo Stato Islamico è fondamentale sterilizzare la propaganda, che trae grande forze e autorevolezza, oltre che proventi, dalla resistenza del Califfato in Siria e Iraq.
La strage di Nizza: matti o soldati?
Questa “ondata” di attacchi jihadisti è seguita al terribile massacro di Nizza. C’è ancora molta confusione sul profilo dell’attentatore (il franco-tunisino Bouhlel parrebbe un lupo solitario, radicalizzatosi rapidamente) e sulla possibile presenza di una rete di basisti che avrebbero agevolato la pianificazione e l’esecuzione della strage. Se una simile eventualità venisse smentita saremmo di fronte all’ennesimo caso di una persona con disturbi psichici che si estremizza direttamente in Europa, dichiara la propria affiliazione allo Stato Islamico (che gliela riconosce, spesso postuma) e compie un attentato senza ricevere ordini, addestramento o supporto da parte del Califfato. Diverso il discorso se venisse confermata l’esistenza di una rete logistica in Europa collegata allo Stato Islamico in Siria e Iraq, magari in grado di armare e sfruttare il debole o il malato mentale di turno.
Concludendo, lo Stato Islamico è una realtà territoriale in Iraq e Siria, per sconfiggerla servono soldati, carri armati, aviazione, artiglieria. Le cellule jihadiste in Europa ed eventuali basisti sono una realtà organizzata terroristica: per combatterla serve un servizio di anti-terrorismo efficace (soprattutto adeguatamente provvisto di collaboratori, infiltrati, informatori, spie etc.). I lupi solitari – e in particolare quelli con gravi problemi mentali – sono schegge impazzite, la prevenzione è molto complicata ma (salvo casi come quello di Nizza, dove comunque le lacune della sicurezza francese sono state impressionanti) il danno potenziale è molto minore. Per combatterli serve una più attenta prevenzione non solo su obiettivi specifici ma ad ampio raggio, e soprattutto sarebbe fondamentale sterilizzare la propaganda dell’Isis (che comunque trae grande forze e autorevolezza, oltre che proventi, dalla resistenza del Califfato in Siria e Iraq). Un obiettivo, questo, a cui la politica e l’informazione devono contribuire evitando l’allarmismo e le semplificazioni. Una risposta al terrorismo è necessaria, ma fenomeni diversi richiedono risposte diverse. E possibilmente intelligenti.