Lo spettro che percorre l’Europa, il populismo, ha un nutrimento particolare, il disagio, l’emarginazione, la disoccupazione.
La Brexit ha ricevuto il massimo dei voti nel Nord Est povero dell’Inghilterra, l’Afd euroscettico tedesco fa il pieno nell’Est, il nostro Movimento 5 Stelle è ormai da tempo primo partito al Sud, dove ha molto più consenso che a Milano.
E la Francia, con le elezioni presidenziali cui manca ormai meno di un anno, appare essere il prossimo palcoscenico di questa disaffezione verso l’establishment, almeno a guardare gli ultimi trend dell’occupazione, che sono decisamente peggiori non solo di Inghilterra e Germania, ma anche dell’Italia.
In effetti se osserviamo come stia andando la ripresa in Europa dopo la lunga crisi cominciata nel 2008, vediamo che nel 2014 e 2015 la Francia è stato il Paese con il peggiore incremento percentuale del tasso di occupazione, solo +0,5%, contro un +2% dell’Italia, il +4% del Portogallo, il +5% della Grecia, il +7% della Spagna, se il paragone è con i Paesi che più hanno sofferto la crisi economica.
Si dirà: ma era fisiologico e normale che i Paesi con i peggiori cali dell’occupazione avessero un rimbalzo maggiore di quello di un Paese che, in fondo, ha evitato i danni maggiori.
In realtà la Francia ha una performance decisamente peggiore anche rispetto agli altri Stati europei, cioè quelli che la crisi l’hanno sofferta poco o nulla, o che sono già vicini alla piena occupazione, come la Germania, il Regno Unito, o i Paesi Bassi.
Non solo: dal 2008 a oggi non è riuscita a seguire nell’incremento gli altri grandi Paesi europei come Germania e Regno Unito, ma è stata ormai raggiunta nel tasso di occupazione dalla Polonia, proprio quella Polonia di cui tanto i francesi avevano paura. Sembra passato un secolo dall’inizio della sindrome dell’idraulico polacco, cominciata nel 2005 in occasione del referendum sulla Costituzione Europea (bocciata), quando si temeva che frotte di lavoratori a basso costo arrivassero in Francia a fare concorrenza ai disoccupati locali.
Non solo non c’è stata nessuna invasione ma la Polonia è stato l’unico Paese a non subire recessioni, neanche nel 2009.
Quello francese è del resto un problema molto profondo, riguarda tutte le età, ed entrambi i sessi, ma in particolare è scottante per coloro che hanno una bassa istruzione.
In questo caso negli ultimi due anni vi è stato addirittura un calo del tasso di occupazione, la Francia è tra i pochi Paesi in cui è accaduto, e l’unico in cui questo decremento ha colpito sia gli uomini che le donne.
Come si vede la situazione francese è anche peggiore di quella italiana, almeno a livello di trend (nel valore assoluto il tasso d’occupazione nel nostro Paese rimane naturalmente più basso).
Il governo francese conosce e teme questa realtà, è per questo che si è visto costretto a una riforma del lavoro che per alcuni versi supera il Jobs Act, non solo perché prevede che i cambiamenti scattino per tutti e non solo per i nuovi assunti, ma anche perché include quei contratti aziendali in sostituzione di quelli nazionali su cui in Italia le resistenze sono ancora moltissime.
È un passaggio rischioso e politicamente azzardato per un governo socialista, certamente, ma il pericolo di vedere la Francia diventare il nuovo “malato d’Europa”, è reale.
Certamente migliorare la situazione occupazionale è necessario, ma non sufficiente per evitare l’avvento della protesta e del populismo che ha colpito anche in aree con economie più floride, e a maggior ragione non risparmia la Francia, dove il Front National ha superato, come è tipico di questi tempi, il confine tra destra e sinistra, sta diventando trasversale e a differenza di quello ideologico di destra di un tempo ora attrae un voto più vario, di provincia, suburbano, di aree con maggiore disoccupazione come i sobborghi di Marsiglia, il Nord, la Linguadoca, mentre è non a caso debole a Parigi.
Le elezioni presidenziali del 2017, in cui l’unico dubbio ora è su chi sfiderà Marine Le Pen al ballottaggio, saranno un altro degli appuntamenti epocali, come la Brexit, di cui a quanto pare il calendario dell’Europa si sta riempiendo.
Finché non toccherà all’Italia.