Sorpresa: l’antifemminismo dilaga. È presente ovunque. È trasversale. Si è infiltrato anche a sinistra. Da fatto ideologico, è divenuto un dato di costume. Persino tra gli indignados di Podemos, cioè dove meno te lo aspetti. Il caso è stato denunciato sul Corriere: quattro iscritti cacciati da un circolo di Madrid dopo che un gruppo di ragazze ha deciso di abbandonare il partito a causa delle aggressioni sessuali subìte. “Se toccate una di noi, ci toccate tutte. Siete peggiori dei maschilisti della Falange”. Un piccolo terremoto interno al partito di Pablo Iglesias, che ha costretto una deputata, Clara Serra, a precisare che “il machismo non fa parte della nostra cultura”.
Nel panorama italiano, per pregiudiziale definizione, certi atteggiamenti dovrebbero albergare a destra, vuoi per il celodurismo leghista, vuoi per il gallismo ostentato dal Cavaliere e – andando ancora più indietro nel tempo – vuoi per le eccezionali performance erotiche di Mussolini. Il distillato di queste tradizioni si condensa nella bambola gonfiabile agitata da Matteo Salvini per schernire Laura Boldrini. Mentalità che non suscita alcuna indignazione tra le donne del Carroccio, anzi. Una di loro rincara la dose inneggiando all’eliminazione fisica della presidente della Camera.
Ma al di là del sessismo caricaturale di cui Salvini si compiace (e che è parte integrante del successo del personaggio) nel campo del centrodestra la mentalità antifemminista non esita a tramutarsi in fuoco amico. Così in tantissimi, chi uscendo allo scoperto chi limitandosi a qualche bisbiglio, hanno censurato la scelta di Giorgia Meloni di candidarsi a sindaco di Roma durante una gravidanza. La leader di FdI è stata anche oggetto di lazzi e ironie sulla pagina Fb “I luoghi comuni del camerati” dove è stata riportata la sua foto in spiaggia, pancione bene in evidenza, sotto la scritta corrosiva: “Il mostro del Circeo”. Eppure proprio l’area postmissina, subito dopo lo “sdoganamento”, aveva saputo valorizzare meglio di altri partiti le risorse femminili: una delle prime donne ministro della seconda Repubblica fu Adriana Poli Bortone e Renata Polverini divenne anni dopo la prima presidente donna della Regione Lazio.
Ma il machismo è come una mala pianta che spunta negli orti più impensati e riesce a fare capolino anche nel dibattito interno al Pd tra l’ala sinistra e quella renziana. Così un bel giorno un uomo distinto e alieno dalle risse come Corradino Mineo se ne esce con una frase allusiva: “Renzi è succube di una donna bella e decisa. Lui sa che io so”
Ma il machismo è come una mala pianta che spunta negli orti più impensati e riesce a fare capolino anche nel dibattito interno al Pd tra l’ala sinistra e quella renziana. Così un bel giorno un uomo distinto e alieno dalle risse come Corradino Mineo se ne esce con una frase allusiva: “Renzi è succube di una donna bella e decisa. Lui sa che io so”. Ma prima ancora l’antirenzismo aveva partorito il mostro dell’antifemminismo: prima Rosy Bindi e poi gli editoriali di fuoco del Fatto avevano liquidato il mito delle “quote rosa” accusando le reginette di Renzi – Boschi, Serracchiani, Picierno, Moretti – di essere scelte dall’alto e di avere gli stessi difetti degli uomini.
E in territorio grillino? Bè qui se il machismo non è una costante (eppure proprio sul blog di Grillo erano partiti insulti alla Boldrini non tanto differenti da quelli in voga tra i leghisti) il linguaggio populista – aggressivo, politicamente scorretto e cattivista – non fa distinzione tra uomini e donne e affonda queste ultime senza tanti complimenti. È il caso di Patrizia Bedori che a Milano, dopo aver vinto le comunarie, si è vista costretta a ritirare la candidatura sotto la pressione dei militanti che non avevano gradito la scelta. “Mi hanno detto obesa e disoccupata, faccio un passo indietro”. In quel caso anche un illustre come Dario Fo aveva disapprovato: “La candidata di Milano? Non mi convince, forse non è all’altezza”.
Che è successo al femminismo? Seppellito dalla crisi delle ideologie, defunto, archiviato, pare. E nel campo libero lasciato dalla sua scomparsa ogni “maschio” si sente libero, anche in politica, di dare il peggio di sé, al di là delle appartenenze e delle tessere di partito. Un vero guaio, soprattutto perché a fronteggiare tutto ciò non rimane che la fragile barriera delle “quote rosa”, che non hanno mai convinto fino in fondo soprattutto le donne. Davvero troppo poco.