Dimenticate il biondo ossigenato di Marine Le Pen, Geert Wilders e Boris Jonhson. Il futuro dell’Europa si delinea in questi – difficili – mesi nelle menti di altri più o meno giovani politici del Vecchio Continente. Carismatici, rispettati dai rivali e generalmente immuni all’attacco di populisti e dei movimenti ispirati al vento anti-politico. Uomini che hanno costruito una buona reputazione a livello nazionale, ma soprattutto gettato ponti in altre capitali europee. Si tratta di Emmanuel Macron, Guy Verhofstadt e Didier Reynders. Tre nomi da ricordare, tre nomi che oggi rappresentano l’unica alternativa positiva all’euroscetticismo distruttivo in circolazione nei 28 Stati membri.
Nonostante la sfiducia generale nei confronti dell’Eliseo – ai minimi storici da mesi – e del Governo guidato da Michel Valls, il Ministro dell’economia francese Emmanuel Macron vede la propria popolarità in crescita. Giovane promessa della politica francese, non ancora quarantenne, Emmanuel Macron ha lanciato poche settimane fa un nuovo movimento “En Marche!” con il quale sta andando porta a porta in giro per la Francia a raccogliere speranze e lamentele dei cittadini. Ad aiutarlo, un esercito di volontari under 35 animati da impegno politico e voglia di cambiamento.
Nato politicamente con Hollande, Macron deve aver già capito cosa non funziona nella politica francese e sta cercando di correre ai ripari, non in nome del riconoscimento nei confronti del suo padre politico (neanche un miracolo oggi riporterebbe i francesi a scegliere Hollande per l’Eliseo) ma per se stesso. L’ambizione presidenziale di Macron non è un segreto, anche se per lui forse i tempi non sono ancora maturi. Di certo guarda in alto e, soprattutto, lontano. A differenza di altri politici francesi ed europei, poi, lui ha compiuto una scelta piuttosto rischiosa: abbracciare la prospettiva comunitaria invece di criticarla. Nei mesi in cui attaccare Bruxelles rende popolari e assicura un aumento di percentuali elettorali inaspettate, Macron si è fatto promotore di un messaggio orientato a maggiore integrazione tra i Paesi dell’Eurozona. La sua passione per l’Ue, del resto, è stata una costante in questi diciotto mesi al Governo francese. A pochi mesi dalla nomina l’ex studente dell’ENA, la prestigiosa scuola nazionale perr l’amministrazione pubblica che ha sfornato negli anni gli inquilini dell’Eliseo, è stato il promotore del rilancio del motore franco-tedesco.
Nel pieno della crisi rifugiati, nei giorni in cui i confini dell’area Schengen si restringevano e gli Stati membri tornavano a proteggersi l’uno dall’altro, Macron ha fatto appello a maggiore integrazione tra i Paesi dell’Eurozona. In una lettera inviata ai principali quotidiani europei scritta insieme al Vice-Cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, Macron ha proposto di riformare – o meglio fondare – l’unione sociale ed economica europea, aprendo alla ristrutturazione dei debiti dei Paesi del Sud Europa e all’estensione del progetto Erasmus per i giovani europei a partire dai 18 anni.
A differenza di altri politici francesi ed europei, Macron ha compiuto una scelta piuttosto rischiosa: abbracciare la prospettiva comunitaria invece di criticarla. Nei mesi in cui attaccare Bruxelles rende popolari e assicura un aumento di percentuali elettorali inaspettate, Macron si è fatto promotore di un messaggio orientato a maggiore integrazione tra i Paesi dell’Eurozona
La lettera non è stata il semplice gesto isolato e simbolico di un politico in cerca di affermazione. A pochi giorni dalla presentazione del suo nuovo movimento, Macron è tornato a parlare alla stampa di una nuova idea: un referendum sull’Europa svolto contemporaneamente in tutti gli Stati membri. Dimentichiamoci, però, del caso britannico. Il referendum che ha in mente Macron ha più a che vedere con la domanda: “Che tipo di Europa vorresti?”. Può sembrare naïf, ma in tempi in cui i populisti accusano Bruxelles per qualsiasi difficoltà, è importante riavvicinarsi ai cittadini, carpire le loro reali esigenze e poi provare a spiegare cosa è possibile fare.
Dalla Francia, dove il Front National ha ormai il 30% dei voti, Macron vuole “esportare” l’idea di una consultazione pubblica sull’Ue in tutti i Paesi al termine della quale ci sarà il referendum. E poco male se l’Est chiuderà a maggiore integrazione, se Londra esce dall’Ue e se Orban vincerà il referendum contro le quote dei rifugiati. Per «ripartire è necessario perdere i pesi morti e lasciare chi non crede nell’integrazione». Macron lo ha detto chiaro e tondo e il suo messaggio, per ora, piace più di quanto non ci si aspettasse.
Ministro degli esteri belga Didier Reynders crede che per superare lo scetticismo, la disaffezione dei cittadini e l’alto astensionismo alle elezioni europee l’unica soluzione sia renderle nazionali e comunitarie al tempo stesso
L’Europa non è soltanto materia francese e tedesca, anche il Belgio ospita, in questi anni, i pochi europeisti rimasti in circolazione. A due giorni dal trionfo degli euroscettici al referendum britannico, il Ministro degli esteri Didier Reynders ha di fatto abbracciato l’idea di Macron sostenendo la necessità di rilanciare un dibattito transnazionale sui valori europei. «È tempo di capire cosa va e cosa no nell’Ue per provare a migliorarla», ha detto ai microfoni dei giornalisti mentre era in corso una riunione straordinaria a Bruxelles. Alle parole lanciate a caldo alla stampa è seguita, negli ultimi giorni di luglio, una proposta specifica: creare delle liste e delle circoscrizioni elettorali transnazionali. L’idea non è nuova, ma negli ultimi anni nessuno aveva più avuto il coraggio né la voglia di rilanciarla. È toccato a Reynders, membro di uno degli ultimi esecutivi quasi totalmente a favore dell’Ue.
Il Ministro belga crede che per superare lo scetticismo, la disaffezione dei cittadini e l’alto astensionismo alle elezioni europee l’unica soluzione sia renderle nazionali e comunitarie al tempo stesso. Il risultato sarebbe permettere a un cittadino italiano, ad esempio, di votare per un gruppo politico che esprima gli interessi di tutta l’Unione invece che per un insieme di candidati espressione di uno specifico Paese.
Il Belgio è anche patria di un altro “veterano” europeista, Guy Verhofstadt, ex Premier, oggi a capo dei Liberaldemocratici dell’Europarlamento. Da sempre una delle figure chiave della lotta per maggiore integrazione e maggiore solidarietà tra i Paesi europei. Tra i cinque “spitzenkanditaten”, ovvero i candidati alla Presidenza della Commissione europea, alle elezioni Ue del 2014, Verhofstadt non ha mai smesso di credere “che maggiore Europa” sia meglio del ritorno alle frontiere nazionali.
Durante la campagna elettorale, il liberale belga ha presentato il suo “Piano per l’Europa”. Un documento di appena due pagine, nelle quali rende chiaro il suo punto di vista: integrare la politica monetaria e fiscale per creare occupazione, investimenti e ammortizzare le crisi. Nel programma anche l’idea di un sussidio temporaneo ai lavoratori europei in cerca di occupazione in un altro Paese membro, in modo da ridurre il numero dei “turisti del welfare” e incentivare la mobilità transazionale, ma anche la necessità di avviare una reale politica migratoria per i cittadini extra-comunitari, invece di agire in base a una logica emergenziale.
Accanto a questi tre nomi che negli ultimi mesi hanno messo la loro credibilità e l’impegno a favore della causa comunitaria, lavorano anche una parte importante delle cancellerie europee. Tra queste, sicuramente, Roma e Berlino. Per quanto spesso anche Matteo Renzi cada nella tentazione di criticare Bruxelles per coprire attacchi interni, il Premier italiano, è tra quelli oggi in prima linea nel rilancio dell’immagine comunitaria. Insieme a lui ci sono Angela Merkel e il suo Vice, il socialdemocratico Gabriel e poi una minoranza silenziosa di esecutivi, da Lisbona ai Paesi Baltici. L’asse europeista non è morto, ma ha bisogno di capitani coraggiosi in grado di risvegliarne l’anima e la progettualità.