La reazione della Turchia al tentato golpe del 15 luglio sta mettendo a dura prova le relazioni tra Ankara e Bruxelles. Oggetto di scambi polemici anche la cooperazione per la gestione delle migrazioni che ha portato in pochi mesi al congelamento della rotta balcanica. Nell’intervista di lunedì all’emittente tedesca ARD, il presidente turco ha tacciato i governi europei di disonestà, sostenendo che dei tre miliardi promessi l’Europa avrebbe sborsato soltanto “una cifra simbolica”, tra uno e due milioni. E mentre la società civile europea inizia ad avanzare richieste di sospensione dell’accordo del 18 marzo come risposta alla spirale anti-democratica in cui la Turchia sembra sprofondare ogni giorno di più, la Commissione rilancia pubblicando i dati finora disponibili sulla messa in operatività degli impegni presi.
Nell’immaginario comune, l’accordo del 18 marzo è passato come un patto di pura realpolitik applicata con cui l’Unione paga la Turchia per mantenere i rifugiati siriani nei suoi campi profughi. Nella realtà l’intesa con Ankara è più complessa e comprende sia diverse forme di cooperazione in materia di gestione dei flussi, sia la riapertura di diversi capitoli negoziali di adesione all’Ue. Lo Strumento per i rifugiati da 3 miliardi di euro, che costituisce l’aspetto finanziario più mediatico dell’accordo, è stato in realtà concepito molto prima dell’accordo stesso. La misura era stata annunciata già all’interno del piano d’azione comune del 15 ottobre 2015 concordato da Consiglio europeo e Turchia, impegno poi sostenuto a fine novembre anche dalla Commissione. I due stanziamenti iniziali a Unicef e al World Food Programme, per una cifra complessiva di 77 milioni di euro, erano stati già contratti il 4 marzo 2016, due settimane prima della firma dell’accordo.
Lo Strumento per i rifugiati consiste essenzialmente nella fornitura di varie forme di assistenza, non solo umanitaria, per la gestione dei migranti siriani e anche palestinesi presenti in Turchia. L’esborso previsto è di 3 miliardi per il periodo 2016-2017 di cui 2, già versati, provenienti dagli Stati membri e 1 dal budget dell’Unione, con un contributo aggiuntivo di ulteriori 3 miliardi per il 2018 previa verifica da parte europea del corretto impiego di fondi stanziati per il periodo precedente. Va da sé che tra i destinatari di questi finanziamenti ci siano tutta una serie di ONG e organizzazioni internazionali umanitarie, ma anche le principali agenzie e fondi ONU e le banche per lo sviluppo. Solo una parte viene erogata direttamente alle autorità turche, che sono comunque vincolate agli stessi criteri di monitoraggio ed effettiva destinazione dei fondi a cui sono soggette tutte le altre organizzazioni. L’analisi dei dati fa dunque cadere il mito dell’assegno in bianco da 3 miliardi consegnato nelle mani di Erdogan.
Solo una parte viene erogata direttamente alle autorità turche, che sono comunque vincolate agli stessi criteri di monitoraggio ed effettiva destinazione dei fondi a cui sono soggette tutte le altre organizzazioni. L’analisi dei dati fa dunque cadere il mito dell’assegno in bianco da 3 miliardi consegnato nelle mani di Erdogan.
Complessa, la procedura di stanziamento delle risorse. Dalla fase formale di pledge, in cui l’Unione si è politicamente impegnata con la Turchia per una data somma, si passa al primo vero momento operativo che riguarda l’adozione e la destinazione delle misure finanziarie. Tali scelte sono operate da uno Steering Committee (SC), un comitato direttivo che decide quali tipi di azione finanziare, quanto destinare per ogni progetto e attraverso quali strumenti finanziari. L’organo si riunisce in round periodici di solito mensili, è presieduto dalla Commissione ed è composto da rappresentanti degli Stati membri, più delegati turchi con funzioni solo consultive. La selezione dei progetti avviene seguendo i needs assessment dei destinatari, quindi in pieno dialogo con i partner che si occuperanno della loro realizzazione sul campo. Ad oggi sono stati approvati progetti per 2,155 miliardi di euro: è questa la cifra a cui si riferisce l’Unione quando parla di soldi mobilitati all’interno del programma di aiuti.
Successivamente si passa alla negoziazione vera e propria con i partner a cui le risorse sono state destinate. Si tratta della fase che richiede più tempo nell’intero processo, riferiscono fonti dell’esecutivo europeo. Le contrattazioni procedono più spedite quando si è già avuto a che fare in passato con il partner, come nel caso delle agenzie ONU. Al momento sono stati contrattati impieghi del budget approvato solo fino a 228 milioni, di cui 105 effettivamente versati. Con tutta probabilità era a quest’ultima fase, quella dell’erogazione finale, a cui guardava Erdogan nell’affermare che l’Europa sta facendo poco (con voluta esagerazione sulla cifra). La procedura richiede comunque tempo per un totale dispiegamento delle risorse sul campo, ma superato lo scoglio delle negoziazioni con i partner non trascorre molto dal versamento.
Cercando di ricostruire e sintetizzare le numerosissime voci di spesa, emerge la diversità degli impieghi delle risorse. Salta subito all’occhio che meno di un terzo della cifra finora approvata in sede di SC è stata destinata alle autorità turche.
Cercando di ricostruire e sintetizzare le numerosissime voci di spesa, emerge la diversità degli impieghi delle risorse. Salta subito all’occhio che meno di un terzo della cifra finora approvata in sede di SC è stata destinata alle autorità turche. Nel dettaglio, si tratta di misure speciali non umanitarie approvate a luglio dalla Commissione e dirette al Ministero dell’Istruzione e della Salute turco per 300 milioni ciascuno, più 60 milioni alla Direzione generale turca per la gestione delle migrazioni. Queste misure speciali sono state approvate come rimborsi su costi reali che le autorità turche hanno dovuto sostenere e saranno quindi verificate attraverso un controllo sulle spese effettuate finora. Il governo turco non può dunque disporre liberamente neanche della parte di risorse indirizzate direttamente alle proprie autorità.
L’aspetto del controllo è interessante, dal momento che l’operato della Commissione non si esaurisce nella mera erogazione, ma investe anche la fase di monitoraggio successiva allo stanziamento, seguendo la procedura tipica dei fondi europei per la cooperazione allo sviluppo. Gli audit europei non solo controllano l’effettiva destinazione delle risorse, ma compiono anche una valutazione di efficacia sull’impatto dei progetti. Dall’esito del controllo dipenderà il raddoppio dei fondi dello Strumento previsto per il 2018, che porterebbe l’esborso complessivo dell’Unione a 6 miliardi di euro.
L’assistenza umanitaria viene affidata principalmente alle organizzazioni nell’orbita ONU (UNICEF, UNHCR, UNFPA, WFP, OMS), ma anche ad importanti organizzazioni internazionali come la Croce rossa internazionale e l’OIM e a diverse ONG umanitarie. Una parte cospicua è stata destinata, ma non ancora contrattata, a misure “miste” umanitarie, soprattutto all’interno dell’Humanitarian Implementation Plan (HIP) che con i suoi 500 mln costituisce il più grande sforzo singolo in materia di assistenza umanitaria mai intrapreso dall’Unione. Vi sono poi misure non umanitarie di medio-lungo periodo che guardano ad aspetti sociali ed economici come l’istruzione e il supporto alla creazione di infrastrutture. Tra queste misure speciali alcuni fondi sono destinati a noti istituti finanziari come la BEI, la BERS, la Banca mondiale e la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa. Ma c’è spazio anche per progetti educativi come quelli per circa due milioni e mezzo, già erogato all’agenzia nazionale tedesca di cooperazione accademica internazionale DAAD.