After Brexit. Comunque la si guardi, la situazione post-brexit in Regno Unito appare complicata. Secondo il Guardian la congiuntura è paradossale e Theresa May si trova di fronte a un dilemma: irrobustire i controlli alle frontiere e, allo stesso tempo, preservare il libero scambio. Visto che questi due auspici spingono in direzioni opposte, occorrerà uno sforzo di compromesso e sfoggio di abilità diplomatica. Tuttavia il dibattito è aperto per quanto alle trattative UE/UK. Se Syed Kamall [The Guardian] suggerisce che la nomina di Michel Barnier quale negoziatore per la Commissione europea sia una scelta felice dal momento che si tratta di un “vero Europeo”, persona capace e grande esperto di istituzioni comunitarie, Daniel Guéguen –su Euractiv– la vede diversamente: sottolinea il fatto che Barnier, attualmente in pensione, parli solo una lingua, e abbia bucato le sue ultime due candidature.
Per quanto riguarda la strategia di negoziazione, Emma McClarkin su Conservativehome sostiene che il Regno Unito non dovrebbe soltanto cercare di ottenere un buon compromesso con l’UE, ma anche cercare di irrobustire le proprie relazioni economiche con partner del resto del mondo. Dal suo punto di vista l’esito del referendum sulla Brexit è una richiesta per un Regno Unito meno europeo e più globale. Geethanjali Nataraj su Bruegel osserva che la decisione inglese di lasciare l’UE, assieme alle elezioni in Francia e Germania, potrebbe mettere a rischio le trattative sul TTIP. Richard Bronk su EUROPP, ricorda che la mobilità giovanile dovrebbe essere salvaguardata: studenti e neolaureati in università inglesi provenienti da stati membri potrebbero essere esentati da eventuali restrizioni alla libertà di movimento, almeno fino al raggiungimento dei 30 anni di età. Non bisogna comunque dimenticare che le conseguenze della Brexit saranno significative non solo al di fuori, ma anche all’interno dei confini del Regno Unito. Keith Hart su Opendemocracy osserva che la tradizionale tendenza britannica alla decentralizzazione potrebbe portare, in queste circostanze, alla disgregazione del Regno Unito. Come sottolinea Kirsty Hughes [Opendemocracy] resta da risolvere l’incognita scozzese: la Scozia può effettivamente scegliere tra due opzioni, cercare di restare nell’UE perseguendo l’indipendenza, oppure tentare di influenzare le trattative sulla Brexit.
Problemi e sfide dell’UE. Probabilmente ci troviamo in una fase in cui sono le vere e proprie fondamenta democratiche dell’Europa a essere sotto attacco. Esempi di questa tendenza sono l’Ungheria, la Croazia, la Slovacchia e soprattutto la Polonia, in cui nazionalismo e xenofobia sono in ascesa anche per via della radicalizzazione dei giovani, come racconta Tom Junes su Opendemocracy. Per fermare questa deriva illiberale, Israel Butler sostiene che l’Unione debba convincere i propri cittadini che i suoi valori fondamentali sono degni di essere difesi e promossi, attraverso l’educazione civica, l’indipendenza dei mezzi di informazione, le organizzazioni della società civile. Questa opera di rafforzamento è cruciale se si vuole continuare sulla strada di una “Unione sempre più stretta” o di un’Europa federale. Secondo Yiannis Kitromilides [Social Europe] bisogna smettere di guardare a progetti di questo tipo come a delle utopie: nonostante la scarsa popolarità di cui gode al momento, un rafforzamento dell’integrazione europea sarebbe non solo necessario, ma un gioco a somma positiva per gli stati membri e per il funzionamento dell’economia e delle istituzioni europee. In ogni caso l’Europa ha bisogno, scrive Zygmunt Bauman su Social Europe, di “decostruire” le cause dell’insicurezza percepita, e di “costruire ponti, non muri”.
Destra e sinistra. È possibile che gli attacchi terroristici di matrice islamista che negli scorsi mesi hanno colpito l’Europa –scrive Con Coughlin sul Telegraph– inneschino un particolare tipo di crisi politica. Soprattutto in Francia e Germania il momento sembra favorevole ai partiti di destra nazionalista. I confini delle categorie politiche tradizionali si fanno sempre più sfumati e incerti: l’Economist sostiene che il conflitto Destra/Sinistra sia obsoleto, e che la vera e rilevante divisione politica dei nostri giorni sia quella tra “apertura” e “chiusura”: il conflitto riguarda le forze politiche favorevoli all’isolazionismo e al nazionalismo –sospinte dal crescente senso di paura e insicurezza– contrapposte ai fautori dell’apertura al commercio e all’immigrazione quali fattori di ricchezza per le società. La domanda ancora aperta è se la globalizzazione come la conosciamo sia ad una battuta d’arresto. Ruchir Sharma sul Guardian sostiene che ci troviamo alle soglie della “de-globalizzazione” caratterizzata da un diffuso sentimento anti-establishment. Anche la Brexit in questo senso si può interpretare come il primo forte sintomo di questo fenomeno generalizzato.
Leggi anche:
– Advice for the British and German leaders on navigating the Brexit mess – The Economist
– Far Away View of Brexit – openDemocracy
– How to fix the EU “revolving door” – EOobserver
– In Europe, Weber’s bureaucracy still rules – EurActiv
– From brain drain to brain circulation: How labour mobility can help less developed European regions – EUROPP
– No Progress On Social Cohesion In Europe – Social Europe