Articolo tratto da Lavoce.info
Nel mese di giugno si è toccato un traguardo simbolico: la produzione mensile di elettricità è stata coperta per il 50,5 per cento da fonti di energia rinnovabile. Era dagli anni Sessanta che non accadeva, ma rispetto ad allora il quadro è radicalmente cambiato. All’epoca era l’idroelettrico a farla da padrone e la produzione annua totale di energia elettrica era circa un terzo di quella attuale. Nei primi sei mesi del 2016, l’idroelettrico ha rappresentato il 39 per cento della produzione rinnovabile, seguito da fotovoltaico (21 per cento), eolico (19 per cento), biomasse (16 per cento) e il 5 per cento da geotermia.
Questa rivoluzione certifica il successo della politica d’incentivi che ha fatto aumentare del 137 per cento la produzione elettrica da fonti di energia rinnovabile rispetto al 2000 e che ha consentito all’Italia di raggiungere l’obiettivo europeo al 2020 in anticipo di sei anni.
È, tuttavia, inevitabile chiedersi se lo storico sorpasso sia il frutto della congiuntura oppure di cambiamenti strutturali. Sicuramente hanno contribuito la buona performance dell’idroelettrico, grazie a un mese di giugno relativamente piovoso (+22 per cento rispetto alla media 1971-2000), e la domanda elettrica ai minimi storici dopo il sesto calo consecutivo dall’inizio dell’anno.
Congiuntura o cambio di struttura?
In ottica strutturale, occorre distinguere le dinamiche lato offerta da quelle lato domanda. Sulle prime, dopo anni di copiosi investimenti (in tecnologie sia tradizionali sia rinnovabili), il sistema Paese ha raggiunto una sovraccapacità di generazione. Nei prossimi anni gli investimenti si limiteranno a sostituire impianti obsoleti. Grazie anche alle politiche di sostegno messe in atto nel recente passato, le rinnovabili sono ormai tecnologie relativamente mature, in grado di competere liberamente sul mercato con le fonti tradizionali. Questo porta a pensare che la sostituzione di quelli obsoleti, tenuto conto degli impegni in materia di cambiamento climatico, dovrebbe favorire nuovi impianti di generazione da fonti di energia rinnovabile, anche in assenza di incentivi.
Dal lato domanda, invece, c’è da chiedersi se sia ragionevole pensare che i consumi elettrici si manterranno in futuro sui livelli attuali e cioè se le politiche di promozione dell’efficienza energetica saranno effettivamente in grado di stabilizzare la richiesta. Oggi, le cifre messe in campo sono meno della metà di quelle destinate alle rinnovabili: 1,3 miliardi annui circa per le detrazioni per la riqualificazione energetica e 900 milioni di certificati bianchi. Risorse comunque in grado di stimolare notevoli investimenti. Secondo i dati dell’Enea, dal 2007 sono stati effettuati interventi di riqualificazione energetica negli immobili di privati per 21,9 miliardi di euro.
Grazie anche alle politiche di sostegno messe in atto nel recente passato, le rinnovabili sono ormai tecnologie relativamente mature, in grado di competere liberamente sul mercato con le fonti tradizionali
E la politica energetica?
Le politiche di efficienza tendenzialmente dovrebbero avere ricadute positive sull’occupazione, in virtù di un moltiplicatore più elevato in termini di valore aggiunto e posti di lavoro del settore edilizio. Qualche dubbio sorge invece sulla loro efficacia rispetto al risparmio energetico. Le politiche si sono concentrate per lo più sulla riqualificazione di edifici privati, nonostante il settore domestico abbia contribuito in modo limitato rispetto al terziario alla crescita dei consumi. Concentrarsi sul settore edilizio significa agire sui consumi termici, oggi coperti prevalentemente dal gas naturale. Tuttavia, le cose potrebbero presto cambiare.