Libia, sconfitto l’Isis cominciano i guai veri

Un paese spaccato in tre: Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. Il ruolo ambiguo della Francia, dell’Egitto e degli Emirati. La produzione del petrolio che per ora è ferma, e il rischio dei nuovi gruppi islamisti. E quello legato ai profughi. Ecco perché la situazione è tutt’altro che tranquilla

Bruciano le bandiere nere dello Stato Islamico sui palazzi e sulle scuole di Sirte, rimpiazzate ora dal tricolore libico. La città è stata praticamente ripulita dalla presenza degli uomini del Califfo. Il centro congressi Ouagadougou – ultima roccaforte dei terroristi – è stato conquistato dai miliziani di Misurata, fedeli all’esecutivo di unità nazionale del presidente Serraj, avanzati negli ultimi giorni anche grazie alla campagna (sollecitata dal governo di Tripoli) di raid aerei mirati dell’aviazione americana.

Quel poco che resta delle forze dello Stato Islamico è asserragliato in pochi edifici lungo la costa mediterranea e, secondo il generale libico Mohammed al Ghasry, portavoce del comando delle operazioni militari, manca pochissimo all’annuncio ufficiale della liberazione. La soddisfazione nelle cancellerie occidentali (e non solo) è alta ma non è ancora il momento di festeggiare. «Siamo vicini alla sconfitta dell’Emirato dell’Isis, cioè la sua presenza territoriale, ma continua ad esistere come organizzazione terroristica ed insurrezionale», avverte Mattia Toaldo, ricercatore dell’European Council on Foreign Relations. «Nel Paese ci sono poi altre organizzazioni terroristiche, a partire da Ansar al Sharia. Difficilmente questa sarà la fine del jihadismo libico, che ha una storia di diversi decenni».

Nel Paese ci sono poi altre organizzazioni terroristiche, a partire da Ansar al Sharia. Difficilmente questa sarà la fine del jihadismo libico, che ha una storia di diversi decenni


Mattia Toaldo, ricercatore dell’European council on foreign relations

La scomparsa dell’Emirato dello Stato Islamico in Libia non esaurisce dunque i problemi, anzi. Venuto mento il nemico comune rischiano anche di accentuarsi le fratture tra le fazioni che finora, unendosi o combattendosi, hanno determinato le sorti della Libia. Un Paese che, semplificando, al momento è spaccato tra Tripolitania a ovest (controllata dal governo unitario), Cirenaica a est (dove comanda il generale Haftar), e il Fezzan a sud dove imperversano le bande armate e regna l’anarchia.

L’Italia – che è presente in Tripolitania con nuclei delle forze speciali, in particolare sminatori ma non solo – sostiene convintamente il governo unitario di Serraj ed è stata fin da subito uno degli Stati che più hanno spinto per una soluzione negoziale in ambito Onu al caos libico, frenando l’interventismo militare di altri Paesi europei. Ad appoggiare la linea italiana ci sono gli Stati Uniti (anche loro presenti sul terreno con forze speciali), rimasti scottati dall’incapacità franco-inglese di sconfiggere autonomamente Gheddafi nel 2011 e soprattutto dalla loro inettitudine nel gestire il “dopo”, l’Inghilterra (meno attiva che in passato ma ancora presente in Libia con forze scelte, pare utilizzate anche nei combattimenti a Sirte) e – anche se ora pare in modo meno attivo – la Turchia (grande sponsor del parlamento islamista di Tripoli durante lo scontro con quello di Tobruk, prima che l’arrivo di Serraj nella capitale portasse la maggior parte delle fazioni tripoline ad abbandonarlo in favore del governo unitario).

Finché non riprende la produzione petrolifera e finché il governo unitario non risolve la questione dei servizi pubblici (a partire dall’elettricità) il governo unitario di Serraj non sarà saldo


Mattia Toaldo

Dal lato opposto della barricata a sostenere Haftar in Cirenaica ci sono l’Egitto, gli Emirati Arabi e – in modo ambiguo, considerato l’appoggio diplomatico ufficiale a Serraj – la Francia. «Escludo che Italia e Francia arrivino ai ferri corti in Libia», dice ancora Toaldo. «Addirittura ci sono notizie (non confermate) che i francesi starebbero ritirando le loro unità militari da Bengasi (città sotto il controllo di Haftar ndr.). Dopo aver disgiunto la strategia diplomatica di appoggio a Serraj da quella militare di appoggio Haftar, Parigi sarà probabilmente anzi costretta a riallinearle».

I problemi potrebbero quindi sorgere da frizioni tra Paesi non europei che – come l’Egitto di al Sisi e la Turchia di Erdogan – sono ai ferri corti su una lunga serie di questioni internazionali e che potrebbero armare questa o quella milizia contro le altre. Oppure, ancora più probabilmente, dall’eventuale implosione del governo unitario.

«La vittoria contro l’Isis è più ascrivibile alle milizie di Misurata che non ad altri, stabilizza Serraj solo in piccola parte», prosegue Toaldo. «Finché non riprende la produzione petrolifera – di recente pare qualcosa nel Paese si stia muovendo in quella direzione – e finché il governo unitario non risolve la questione dei servizi pubblici (a partire dall’elettricità) Serraj non sarà saldo. Ora, se sarà saggio, Serraj saprà riunire sotto di sé una vasta area che va da Ajdabiya (città subito a sud di Bengasi, a est ndr.) fino al confine nord-occidentale con la Tunisia e che potrebbe includere, con diverse forme e gradi di controllo, anche il sud del Paese. A quel punto rimarrebbe un’area di conflitto incancrenito solamente a Bengasi e Derna, con alcune aree attorno a queste città controllate da Haftar».

Se tuttavia il governo unitario dovesse fallire questa missione si aprirebbero scenari di grave instabilità per il Paese. «Il problema – conclude Toaldo – non è tanto una eventuale divisione della Libia in due o tre, quanto il collasso del governo centrale e lo spezzettamento del Paese in decine di città-stato, senza economia del petrolio e con solo l’economia informale e illegale a sostenerlo». In un quadro caotico del genere il controllo dell’immigrazione diverrebbe impossibile – già ora pare che nella stessa Tripolitania varie fazioni fedeli al governo Serraj, teoricamente alleato dell’Occidente, sopravvivano grazie al traffico di esseri umani – la pacificazione nazionale un lontano miraggio e lo Stato Islamico, appena sradicato, potrebbe tornare nuovamente a prosperare nell’anarchia.

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