Le leggi di diritto penale che nascono sull’onda emotiva generata da casi di cronaca sono sempre delle pessime leggi. Pochi anni fa (2008-2011) se ne ebbe una dimostrazione lampante: moltissime norme varate dal governo di centro-destra – che in campagna elettorale aveva creato e cavalcato l’emergenza sicurezza e in particolare l’emergenza stupri – furono dopo poco tempo dichiarate incostituzionali dalla Consulta. Dal carcere preventivo per gli accusati di stupro al reato di immigrazione clandestina, dai poteri per i “sindaci-sceriffo” alle ronde, ben poco di quella legislazione ideologica ha retto al vaglio dei giudici costituzionali. Ma in Italia la Storia spesso non insegna e tocca ora al governo di centro-sinistra di Matteo Renzi intestarsi una riforma dal sapore populista in ambito penale, cioè “l’omicidio stradale”.
L’opinione pubblica italiana è stata negli ultimi anni ingozzata dai mass media di notizie su automobilisti ubriachi e drogati che travolgono e a volte uccidono persone innocenti, e ha maturato la convinzione – non senza qualche spintarella da parte di una classe politica opportunista e di aziende editoriali che fanno del dolore umano la propria linfa vitale – che servissero delle norme più severe contro chi compie questo genere di reati. Così, dopo che già altri governi avevano in passato preso in considerazione l’ipotesi, l’esecutivo guidato da Renzi si è fatto carico di far approvare al Parlamento l’introduzione dell’omicidio stradale nel nostro ordinamento, cosa accaduta il 25 marzo dopo il voto del Senato.
Questa normativa oggi in vigore, e che già sta iniziando ad essere utilizzata dalle procure nei processi iniziati negli ultimi mesi, è discutibile sotto diversi punti di vista. In base ai primi dati disponibili – diffusi dall’Associazione sostenitori amici della polizia stradale – si può sostenere sia inefficace: non calano gli incidenti, anzi aumentano i feriti (+16,9%) rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (aprile-maggio-giugno). Ancor più drammatico il dato delle omissioni di soccorso negli incidenti con morti, che registra un’impennata del 20 per cento.
Inoltre, secondo gli esperti, rischia di essere censurata come incostituzionale dalla Consulta. In primo luogo le pene paiono sproporzionate rispetto alla gravità della condotta (che in ogni caso è colposa e non dolosa): chi si mettesse alla guida dopo aver fumato uno spinello e causasse un incidente mortale rischia il carcere da 8 a 12 anni; chi risultasse aver bevuto poco più del limite consentito (tasso alcolemico di 0,5 g/l) e superasse anche di poco il limite di velocità rischia, in caso di incidente mortale, il carcere da 5 a 10 anni. Cornici di pena, queste, che sono di un’entità tale da escludere l’applicazione della condizionale. Nel caso poi che la morte non sia esclusiva e diretta conseguenza dell’azione del colpevole, allora la pena può essere ridotta fino a metà: ad esempio se avendo bevuto poco più del consentito e andando anche poco al di sopra del limite di velocità si travolgesse una moto che non ha rispettato lo stop uccidendone il conducente, comunque si rischia il carcere dai 2 anni e mezzo ai 5, minimo. Possono sembrare cifre piccole, specie se confrontate con la vita di un essere umano che è andata perduta. Non altrettanto se le si confronta con il grado di colpa del colpevole.
In base ai primi dati disponibili si può sostenere che la legge sull’omicidio stradale sia inefficace: non calano gli incidenti, anzi aumentano i feriti. Ancor più drammatico il dato delle omissioni di soccorso negli incidenti con morti, che registra un’impennata del 20%. Inoltre, secondo gli esperti, rischia di essere censurata come incostituzionale dalla Consulta
E infatti altri casi di omicidio colposo in stato di ebbrezza non sono trattati – è questo un altro rilievo di costituzionalità che secondo gli esperti potrebbe essere mosso – allo stesso modo. Un operaio che abbia bevuto e che manovrando un montacarichi uccida un passante o un collega verrebbe giudicato secondo la normativa generale dell’omicidio colposo. Allo stesso modo un chirurgo che, dopo aver assunto oppiacei, uccida il paziente. Allora perché il guidatore di un veicolo a motore viene trattato in modo differente? Il nostro codice penale ha bilanciato le pene per le condotte colpose non senza ragione. A differenza di quelle dolose l’effetto di deterrenza di pene molto dure è assai minore (e i dati sopracitati sembrano dimostrarlo ancora una volta), con esse lo scopo rieducativo rischia di andare perduto (un diciottenne che, avendo fumato uno spinello, sbandi e uccida una persona difficilmente uscirà migliorato dall’esperienza di 10 anni di carcere, e certo il defunto non sarà per questo tornato in vita) e si rischia anche di incentivare condotte degenerative (non fermarsi a prestare soccorso – di nuovo i dati lo testimoniano – e anzi magari tentare la fuga, aumentando così il pericolo che più innocenti muoiano).
Infine c’è una questione macroscopica sulla valutazione dell’effetto delle sostanze stupefacenti in particolare. A differenza dell’alcol vengono infatti rilevate dai test anche a distanza di 24-48 ore dall’assunzione. È quindi teoricamente possibile che una persona che fumi uno spinello la sera prima di andare a dormire (in Italia si stima siano circa 4 milioni i consumatori di cannabis), riposi otto ore, faccia colazione, lavori, pranzi, lavori ancora e tornando a casa faccia un incidente mortale (magari avendo un grado di colpa decisamente inferiore a quello della vittima), rischi il carcere a causa proprio della droga assunta, anche se è scientificamente provato che a una tale distanza di tempo essa non produce più effetti rilevanti.
Come già insegnava Manzoni a proposito delle Grida, una buona legge è una legge che viene applicata, non una che prevede pene esemplari. Una miglior deterrenza contro gli ubriachi al volante si otterrebbe dunque più con controlli capillari che non con l’omicidio stradale, una norma che rischia di rovinare ingiustamente più vite di quante non ne salvi
L’omicidio stradale è la risposta a quel desiderio di vendetta e punizione che tutti gli esseri umani provano quando sentono storie di automobilisti ubriachi fradici che travolgono una carrozzella. Compito della legge – e in particolare del diritto penale – non è tuttavia soddisfare il comprensibile desiderio di vendetta delle vittime, dei loro parenti e dell’opinione pubblica, ma trovare un equilibrio tra tutti gli interessi che vengono coinvolti: quelli delle vittime sicuramente, ma anche quelli dei colpevoli e della comunità nel complesso. Se a prima vista un innalzamento delle pene per gli omicidi colposi – però tutti, perché discriminare solo gli automobilisti non avrebbe senso – può sembrare un buon modo per aumentare la deterrenza (“così ci pensano due volte prima di ubriacarsi/drogarsi”), guardando più da vicino i dettagli delle infinite situazioni che crea la realtà i dubbi aumentano. E, come già insegnava Manzoni a proposito delle Grida, una buona legge è una legge che viene applicata, non una che prevede pene esemplari. Una miglior deterrenza contro gli ubriachi al volante si otterrebbe dunque più con controlli capillari che non con l’omicidio stradale, una norma che rischia di rovinare ingiustamente più vite di quante non ne salvi.