Sorpresa, Donald Trump ha un lato luterano e calvinista

Spregiudicato e per alcuni sbruffone. Per altri un personaggio che è già macchietta e meme. Ma una biografia appena uscita svela il legame tra Trump e l'etica del capitalismo di derivazione protestante

Gli avversari lo accusano di utilizzare un linguaggio complesso quanto quello di un bimbo di otto anni, ma lui – l’affabulatore che sta infiammando la campagna presidenziale Usa – piace perché gli americani hanno sete di promesse mirabolanti. Il suo slogan conservatore – again – è l’opposto di quello di Obama – change. Lo fa notare Mattia Ferraresi nel suo studio appena uscito sul miliardario che vuole insediarsi alla Casa Bianca, La febbre di Trump. Un fenomeno americano (Marsilio). E che cosa promette Trump? “Soldi, potere, fama, vittorie, orgoglio, bistecche e champagne, stucchi d’oro, furore imprenditoriale, beato isolamento, pace perpetua, arretramento dello Stato federale, benessere diffuso, negoziati da favola, sprazzi di vita gioiosa e identitaria, tutti finalmente a ricoltivare, nel fine settimana, il sogno americano nel backyard mentre le costine si affumicano a fuoco lento…”.

Trump senza l’America non sarebbe Trump, dunque. Eppure dietro quelle arguzie, quel dar di gomito, quegli slogan compiacenti verso la working class, qualche residuo ideologico si intravede, come un ruscelletto che scavando un po’ si fa largo tra le battute e il sarcasmo. Ed ecco che affiora quell’ethos protestante messo a fuoco con insuperate pennellate dall’economista e sociologo Max Weber. Un ethos nato e prosperato in Europa prima di essere esportato oltreoceano. Il nonno di Trump è un apprendista barbiere tedesco che fa fortuna affittando camere alle prostitute (il cognome originario è Drumpf). Proviene da Kallstadt (ma dopo la guerra, per non inimicarsi i clienti ebrei, i Trump racconteranno di provenire dalla svedese Karlstad).
Papà Fred, che da semplice carpentiere diventerà un invidiato costruttore di condomini per famiglie a basso reddito nel Queens, è la persona che ha insegnato più cose al promettente Donald: la disciplina, il duro lavoro, il fiuto per gli affari, la parsimonia, la frugalità. L’esempio paterno ispira il comportamento del giovane Donald che, ragazzo, nei campus sferzati dalle ventate di ribellione, va a letto presto e “spulcia le liste degli immobili pignorati alla ricerca di un affare”. Il suo libro preferito è la Bibbia ma la sua formazione è anche profondamente influenzata dalla teoria del “pensiero positivo” del reverendo Peale, di cui i genitori sono seguaci entusiasti.

Il suo libro preferito è la Bibbia ma la sua formazione è anche profondamente influenzata dalla teoria del “pensiero positivo” del reverendo Peale, la cui regola principale è: “Formula e imprimi in maniera indelebile nella tua mente l’immagine di te che raggiungi il successo”

Ebbene, una delle regole del Postive Thinking è la seguente: “Formula e imprimi in maniera indelebile nella tua mente l’immagine di te che raggiungi il successo”. È la conseguenza ultima dell’individualismo introdotto dalla Riforma protestante, della supervalutazione della professione come unica e sola “vocazione” che l’uomo deve seguire in terra, dell’ascesi laica in cui il credente-lavoratore individua ormai il segno indiscusso della “grazia”. “Mai pensare al fallimento”, incalzava il reverendo Peale. La ricchezza, predicava incantando i coniugi Trump, è il “sigillo materiale” dell’alleanza tra l’uomo e Dio.
Massime che Donald Trump ricorderà nei momenti difficili della sua vita: “Mi ha aiutato a non perdere la fiducia in me stesso. Non ho creduto di essere finito nemmeno quando lo scrivevano i giornali”. Il riferimento è alle vicissitudini degli anni Novanta, quando il suo impero rischia il fallimento. Sull’etica del business trionfale la dinastia Trump ha costruito la propria epica familiare. Per il candidato dei repubblicani il fine non è fare soldi, ma costruire sulla ricchezza uno stile ammirato da tutti: “Gli affari sono la mia forma d’arte”.

Era stato un altro tedesco, Max Weber, a scolpire le coordinate dello “spirito capitalista” così bene interpretato da Donald Trump, e l’aveva fatto mezzo secolo prima (nel 1903) che il reverendo Peale desse alle stampe il suo manuale del felice e prospero self made man. Nella visione così ben delineata da Weber l’uomo nasce già come “soggetto economico” che ha come “dovere morale” quello di aumentare il suo capitale. Ripudiando la fuga mundi che nel Medioevo era stata la spinta fondamentale alla salvezza , sia il luteranesimo che il calvinismo ritennero che il fedele dovesse servire Dio nel mondo, dando un sensazionale impulso a tutte le attività laiche. La certitudo salutis era ricavata dai calvinisti sulla base del successo nell’attività professionale, considerato come un segno che la grazia divina operava in loro e tramite loro per la formazione di un’aristocrazia di santi laici, divisi dal resto de non eletti. E’ da questa mentalità che fuoriesce la retorica di Trump, che evoca la “salvaguardia di un’originaria identità americana, tendenzialmente bianca, protestante e anglosassone, ma imperniata sul culto americano della self-reliance, la fiducia in se stessi”.

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