Alla fine hanno vinto loro, gli outlet, contro quelli che li guardavano dall’alto in basso e contro questa infinita crisi. Anno dopo anno i consumi si stiracchiavano, con qualche breve illusione di ripresa e qualche mazzata che cambiava i connotati dei centri storici e metteva in ginocchio anche quelli che nei ruggenti Novanta sembravano invincibili: i centri commerciali e i loro ipermercati. Gli outlet no, sono andati avanti come se avessero un’armatura. Degli oltre 20 che sono presenti sul territorio italiano, uno solo è in difficoltà: quello di Soratte, a nord di Roma, dove sono aperti circa 35 negozi e i cui immobili sono all’asta. Oggi chi ne parla lo descrive come un progetto bello esteticamente ma guidato da una logica immobiliare, non sufficientemente forte sotto il profilo commerciale. Altri centri hanno rischiato di avvilupparsi nella sindrome della vetrina vuota: a Molfetta (ex insegna Fashion District) si era arrivati a 50 negozi vuoti su 150, prima che la proprietà fosse rilevata, assieme a quella di altri factory outlet center (foc, per gli appassionati), dal fondo americano Blackstone. Ma il formato dei villaggi dove si trovano i grandi marchi a prezzi scontati nel complesso ha retto. Solo, è cambiato, seguendo i trend di consumo. La spesa che in Italia destiniamo ai vestiti negli anni è scesa, quella per la ristorazione è salita. E per metterci in auto e farci un’ora e mezza di strada abbiamo bisogno di qualcosa che ci motivi. Durante i saldi gli sconti sugli sconti (una sorta di anatocismo al contrario) sono sufficienti. Durante il resto dell’anno la ricetta trovata è quella degli eventi: parliamo dei concerti – e se pensate ai rimasugli dei talent segnatevi i nomi di tali Francesco De Gregori e Antonello Venditti – , ma anche delle mostre, delle installazioni. O delle sagre, perché è pur sempre il sabato del villaggio.
È grazie a cartelloni come questi che i cinque centri di Blackstone nel secondo trimestre un +4,5% di fatturato e un +5% di spesa per metro quadrato e che il 2015 si è chiuso con il +7% di Neinver (Vicolungo e Castelguelfo)? Sì, in parte. Il resto lo fanno i turisti, che si riversano anche verso i centri degli altri operatori, come i cinque di McArthurGlen e quello di Fidenza degli anglosassoni di Value Retail. Un factory outlet come quello di Palmanova (Udine) ha in media quattro visitatori su dieci stranieri. D’estate arriva al 60 per cento. In quel caso sono austriaci, sloveni, croati, che spesso usano gli autobus a 30 euro tra andata e ritorno. Magie delle decine di tour operator che da anni offrono la specialità shopping scontato: si parte, si arriva all’outlet, si ritorna a casa in giornata. Alcuni mettono una puntata rapida a Treviso o Venezia, altri vanno dritti al sodo. Se a Palmanova si parla di acquirenti europei (russi compresi, ammaccati ma ancora nelle prime posizioni, seppur non più in cima), altrove la miniera d’oro sono i cinesi. Il loro itinerario tipico, in Italia, è brevissimo: Roma, Firenze, Venezia, spesso il tutto in un giorno e mezzo. Come quarta tappa è frequentissimo il passaggio di una mezza giornata in un outlet, dove viene ormai speso un terzo dei acquisti dei turisti stranieri in Italia (dati Global Blue). I beneficiati sono soprattutto le cittadelle che stanno nei pressi di un qualche svincolo lungo questa direttrice. Come quella di Noventa di Piave, di McArthurGlen, gruppo che conta anche i villaggi di Serravalle (dove arrivano il triplo dei visitatori degli Uffizi e che nel 2015 ha chiuso con un +21%, fonte Panorama), Barberino del Mugello, Castel Romano e Marcianise. E che ha visto arrivare i cinesi al primo posto tra gli acquirenti stranieri, come spiegato dal managing director per il sud Europa Joan Jove a retail&food. Mettete assieme la possibilità di tax refund in aeroporto (per recuperare l’Iva), la mancanza di tasse per l’importazione e gli sconti sui marchi di moda globali e otterrete una spesa media che ha superato i 3.500 euro a testa, volo escluso (fonte: Canadean, via Welcome Chinese).
L’itinerario tipico dei turisti cinesi, in Italia, è brevissimo: Roma, Firenze, Venezia, spesso il tutto in un giorno e mezzo. Come quarta tappa è frequentissimo il passaggio di una mezza giornata in un outlet, dove viene ormai speso un terzo dei acquisti dei turisti stranieri in Italia
È proprio sui turisti cinesi che sta scommettendo gran parte del proprio futuro un outlet la cui apertura è prevista nella primavera del 2017, il DeltaPo Family Destination Outlet, prima conosciuto come Occhiobello Outlet Village e situato a poca distanza da un’uscita autostradale sulla direttrice Firenze-Venezia, all’incrocio tra le province di Ferrara e Rovigo. I gestori del centro hanno ottenuto una certificazione, chiamata Welcome Chinese, che attesta la presenza di una serie di servizi graditi ai viaggiatori del Paese asiatico: cartelli ed etichette in mandarino, commessi che conoscono il cinese, fino alle bacchette nei ristoranti. Avere ottenuto questa certificazione, l’unica a livello mondiale rilasciata dall’agenzia pubblica Cta (China Tourism Agency) permetterà una corsia preferenziale con i tour operator cinesi. E sarà una sorta di garanzia, per i viaggiatori, di non finire nel modello gita-con-vendita-di-pentole. Perché il turismo cinese è anche questo: voli a prezzi stracciati e giro nei negozi convenzionati con i tour operator, che si prendono una bella fetta dei ricavi. La pratica è stata fin troppo spinta negli anni passati, spiega Jacopo Sertoli, 33enne mente italiana che ha creato la certificazione Welcome Chinese, diffusa ormai nel mondo, e che coordina 80 collaboratori in cinque uffici in tre continenti. Il ministero del turismo di Pechino, dopo le sempre più numerose proteste dei viaggiatori, ha diramato poco più di due anni fa una circolare di fuoco a tutte le agenzie di viaggi: si invitava caldamente a rendere più trasparenti le tariffe dei viaggi. Spesso si trattava di piccoli negozietti di paccottiglia, spesso gestiti a loro volta da cinesi, ma -aggiunge Sertoli – non si può escludere che anche qualche negozio negli outlet si sia prestato. Con i cinesi, come non si stancano mai di ripetere negli incontri della Fondazione Italia-Cina con gli imprenditori, la presunzione si paga sempre. Chi gestisce questi centri dovrebbe quindi tenere presente che anche i consumatori del Dragone si stanno evolvendo. I giovani tendono a muoversi sempre più slegati dalle agenzie, mentre, tra chi si muove nei gruppi, solo chi viene dalla campagna profonda accetta di finire in retail tour con l’anello al naso.
Il caso di DeltaPo insegna molto su quanto il turismo possa essere l’architrave di un progetto di outlet. L’idea alla base del rilancio è stata quella di creare un brand territoriale e di pubblicizzarlo all’estero a spese proprie
Il caso di DeltaPo insegna molto su quanto il turismo possa essere l’architrave di un progetto di outlet. Il villaggio commerciale sta uscendo da anni travagliati e in particolare da un lungo stop imposto dal Tar, dopo la denuncia di un concorrente. La vicenda ha visto alcuni investitori uscirne male e le banche intervenire, fino alla possibilità e decisione di ripartire. L’idea alla base del rilancio è stata quella di creare un brand territoriale, chiamato DeltaPo, e di pubblicizzarlo all’estero. Così, spiega il direttore marketing e sviluppo della società, Gianluca Gerosa, sono state messe in piedi delle “ambasciate” in diversi Paesi: sorta di agenti che tra Francia, Ungheria, Repubblica Ceca, Serbia, Slovenia, Russia e Cina stanno facendo il giro dei tour operator per far conoscere loro il territorio. Il delta del Po viene descritto come la Camargue italiana – ma più intatta dal punto di vista naturale -, il tutto a spese dei soci privati, che descrivono il territorio come gravitante intorno a un hub, l’outlet, appunto. Ci sono i progetti per attrarre gli appassionati di birdwatching dal Regno Unito, i cicloturisti che frequentano i margini del Po, i camperisti dei raduni, fino a chi arriverà al factory outlet center direttamente da un attracco sul fiume. «A volte facciamo fatica a spiegare ai vari assessori che non vogliamo contributi, chiediamo piuttosto che non ci mettano i bastoni tra le ruote», spiega Gerosa. La prossima tappa sarà la partecipazione, a metà novembre a Shanghai, a una importante fiera del turismo.
Il turismo è uno dei tre pilastri della tenuta del settore e passa anche, per gli tutti gli outlet, dalle pubblicità sulle riviste distribuite sugli aerei, accordi con i tour operator e con gli alberghi vicini. Questo impegno per alcuni villaggi vale un terzo abbondante delle spese di marketing totali. Ma poi c’è il pilastro dell’intrattenimento. Nel solo outlet di Serravalle Scrivia (Alessandria) di McArthurGlen, tra la fine di giugno e quella di luglio al Summer night festival all’Outlet hanno suonato Fiorella Mannoia, Antonello Venditti, Mario Biondi, Elio e le Storie Tese, Fedez, Norma Jean Martine. Guardando per i cartelloni nei vari centri si trovano nomi usciti da talent e Sanremo, ma anche glorie come Francesco De Gregori, Patty Pravo, Edoardo Bennato e così via. Spesso i concerti finiscono alle 22.30, lasciando un’ultima mezz’ora di shopping ai visitatori. Gli incrementi di visite sono nell’ordine delle decine di migliaia (l’edizione 2016 di #modamusica si è chiusa con 420mila spettatori) e cercano di rendere i clienti frequentatori fedeli. «In un outlet i visitatori finiscono per tornare in media 6-7 volte all’anno», dice Luigi Maurizio Villa, esperto di retail che per anni ha gestito le operation in un grande outlet del Nord. Agli eventi, e più in particolare all’intrattenimento nei luoghi di commercio (è stato coniato il neologismo retailtainment) vengono dedicate risorse sempre più ingenti. «Contiamo di destinare all’entertainment tra i 500mila euro e il milione all’anno – dice Gianluca Gerosa, riferendosi al progetto DeltaPo -. Solo per l’inaugurazione contiamo di prevedere una spesa di 500-600mila euro», su un investimento per la prima fase di circa 48 milioni di euro. Al marketing verrà destinato il 70% delle spese di gestione a cui contribuiscono i negozianti. Gerosa aggiunge che per eventi non bisogna intendere solo i concerti. Il DeltaPo pensa ad esempio di declinarne una serie attorno a una serie di parole chiave: famiglia, natura, arte e cultura, donna. Ci potranno essere mostre botaniche, mostre virtuali con visualizzazione in 3D e il passaggio del Giro d’Italia femminile.
La ricetta trovata per far arrivare le persone negli outlet è quella degli eventi: parliamo dei concerti – e se pensate ai rimasugli dei talent segnatevi i nomi di tali Francesco De Gregori e Antonello Venditti – , ma anche delle mostre, delle installazioni. O delle sagre, perché è pur sempre il sabato del villaggio
Anche per i centri oggi posseduti da Blackstone gli eventi vanno oltre i concerti. Lo spiega Benedetta Conticelli, retail asset management director di Kryalos, la società che svolge una attività di supervisione della gestione del centro per conto del fondo americano. La gestione è invece affidata a Multi Outlet Management Italy, a sua volta posseduta da Blackstone. «Quello a cui noi puntiamo è che il centro abbia una sua unicità – spiega la manager italo-americana, nata in Alabama -. Gli eventi sono utili ma è necessario utilizzare al meglio le risorse, sulla base di analisi di mercato molto raffinate. Non sempre servono grandi concerti. In determinati outlet, in certe parti dell’anno e della settimana possono essere più utili altre iniziative, come mostre, installazioni o iniziative enogastronomiche, basta che siano differenzianti».
Il terzo pilastro si chiama ristorazione. «È forse l’elemento più evidente della svolta degli outlet – spiega Villa -. Un tempo la ristorazione era poca e poco caratterizzata». Oggi, sulla scorta di quanto è già successo nei centri commerciali, «si stanno creando delle verie food court», le piazze della ristorazione. I nuovi progetti arrivano ad avere il 20% della superficie affittabile dedicata al cibo, con insegne varie, dall’etnico agli hamburger di fascia alta.
Per Benedetta Conticelli, però, oltre a tutto questo serve anche badare al nocciolo duro, al core, ossia ai negozi e all’ambiente di acquisto. «La nostra più grande discontinuità, quando siamo subentrati ai precedenti proprietari (per lo più si trattava dei centri di Fashion District Group, ndr) è stata quella di comportarci più da proprietari e meno da gestori. Questo significa che abbiamo curato ogni centimetro degli asset. Abbiamo agito sulle strutture rispetto al paesaggio, al verde, alla visibilità delle vetrine, al funzionamento delle fontane. Abbiamo elevato i marchi, cercandone di più “differenzianti”. E abbiamo messo a disposizione un team di visual merchandiser per formare i negozianti ad allestire le vetrine». L’altra priorità, aggiunge, è stata quella di far sentire i consumatori quanto più possibile vicini all’esperienza di acquisto nei negozi delle grandi vie della moda: «Abbiamo lavorato molto sulla pulizia, sul qualità del servizio e sulle tecniche di vendita. Prima si pensava che queste attenzioni non fossero necessarie».
«Abbiamo lavorato molto sulla pulizia, sul qualità del servizio e sulle tecniche di vendita. Prima si pensava che queste attenzioni non fossero necessarie»
Anche per il futuro, sarà questa la strada da seguire. «Tutto il mondo cambia velocemente, non è possibile pensare che non lo faranno anche gli outlet – dice Conticelli -. Noi pensiamo che il cambiamento seguirà tre strade: bisognerà adattarsi alla rivoluzione tecnologica, sia come linguaggio che come strumentazione», che oggi significa ritiro in negozio di beni prenotati su internet, coupon e totem da cui ordinare quello che non si trova. «Bisognerà poi adeguarsi a un cliente sempre più sofisticato, che arriva in negozio già informato ed è abituato a fare tutto velocemente. E infine per sopravvivere bisognerà trovare una unicità. Mentre i centri commerciali sono andati livellandosi, gli outlet devono rimanere luoghi immediatamente identificabili».
Già, riusciranno queste strutture a evitare il declino che ha interessato molti centri commerciali poco attrezzati come servizi e massa critica? «Penso proprio di sì – conclude Luigi Maurizio Villa -. È l’attività ancora migliore nel mondo del retail e il loro modello è ancora valido».
(articolo modificato il 3 ottobre, ore 15.13. In precedenza l’outlet di Soratte era stato indicato come chiuso)