Che Beppe Grillo abbia detto di voler tornare a fare “il capo politico” del Movimento 5 Stelle, al posto di un direttorio che si era perduto nelle beghe romane, è una decisione scontata, per Mauro Calise, il professore di Scienza politica dell’università Federico II di Napoli che da almeno quindici anni scrive dell’ascesa dei partiti personali. «Anche quello di Grillo, ovviamente lo è – dice conversando con Linkiesta all’indomani della svolta di Palermo -. È un partito legato alla proprietà del proprio leader, come era stato per Forza Italia con Silvio Berlusconi, di cui rischia infatti di seguire la parabola». Nel suo ultimo libro pubblicato quest’anno da Laterza, Calise ha teorizzato l’avvento della “democrazia del leader”. Dove il leader, i collaboratori al suo servizio e i mezzi di comunicazione sono destinati a sostituire le burocrazie partitocratiche e tutto ciò che si frappone fra il capo e i suoi elettori, fino a cambiare le stesse regole del gioco. Un destino a cui Grillo, per di più senza Gianroberto Casaleggio, non può insomma sottrarsi. Quello che è meno scontato è invece l’effetto che questo ritorno all’impegno politico diretto a capo del Movimento 5 Stelle sortirà a partire da subito sugli avversari. Potrebbe per esempio essere Grillo, questa volta, a personalizzare il voto (per il ‘no’) al referendum costituzionale, forte di un consenso anti-sistema disinteressato alle polemiche che finiscono sui giornali. «Se quello sarà il risultato del referendum – ragiona Calise sulla sfida a Matteo Renzi -, un attimo dopo la vittoria del no, all’infuori di Grillo, gli altri non esisteranno più, il centrodestra, i professoroni e la minoranza del Pd».
Partiamo dalla svolta di Palermo. Per lei, il ritorno di Grillo alla guida del suo movimento era uno sbocco obbligato…
Attenzione, non è un movimento, è un partito che rappresenta un terzo degli italiani. Quello del movimento è una convenzione gergale, ma ormai i 5 Stelle eleggono consiglieri regionali, sindaci, parlamentari. Il problema che ora si pone sta qui: quale deve essere l’organizzazione di questo partito?
Bene, parliamo di questo partito: perché non c’è alternativa alla leadership di Grillo?
Perché il M5S è un partito personale, c’è una persona che l’ha creato e che ne controlla la proprietà. È da vent’anni che, in Italia, nascono solo partiti così, il primo è stato quello di Berlusconi. Dunque, l’idea che si potesse lasciare un potere così grande nelle mani di altri era balzana: chi controlla chi, nel M5S? A chi devono rispondere i sindaci eletti nel frattempo, al direttorio o ai cittadini che li hanno eletti? Non è facile inventare un ceto di governo. E senza Grillo il partito non si sarebbe tenuto insieme, non ci voleva la palla di vetro per capirlo.
Quali saranno, a suo avviso, i prossimi passaggi obbligati?
Il problema è enorme, perché il Movimento 5 Stelle rischia di finire come Forza Italia. Ma con una differenza fondamentale. Grillo è geniale a livello di comunicazione, ma il resto lo ha delegato a Casaleggio (per inciso, il figlio Davide sarà una persona simpatica e anche brava, ma chi rappresenta?). Quindi Grillo è più fragile di Berlusconi, che alle capacità comunicative ha unito il controllo dell’organizzazione del partito. Tanto più fragile che alcuni mesi fa ha addirittura salutato ed è tornato in teatro, quasi scocciato.
Quindi a Grillo toccherà costruire una vera classe dirigente…
No, i leader non formano una classe dirigente, semmai è il contrario. I leader per definizione sono egocentrici e carismatici. Le classi dirigenti si formano in maniera più spontanea, spesso cooptata, ma sempre attraverso processi lenti. Grillo potrà dare la benedizione a qualcuno, per esempio penso che continuerà a puntare su Luigi Di Maio come candidato premier, il cui aplomb può funzionare soprattutto se il bastone della comunicazione lo ha ripreso in mano lui. Ma una certa gestione dirigistica, pensiamo al contratto con tanto di penali firmato da Virginia Raggi a Roma, non funzionerà più. Da questo punto di vista, ci sono una serie di mine disseminate sul terreno che scoppieranno una dietro l’altra.
«Grillo ha due punti di forza da sfruttare. Il primo è che c’è, in Italia e in tutto il mondo, un elettorato anti-sistema che non vuole più saperne dei politici che sono stati al governo fino a oggi. Il secondo è l’incapacità degli altri di contrastare i 5 Stelle»
Che cosa potrà evitare, al Movimento 5 Stelle, di fare rapidamente la fine del partito di Berlusconi?
Grillo ha due punti di forza da sfruttare. Il primo è che c’è, in Italia e in tutto il mondo, un elettorato anti-sistema che non vuole più saperne dei politici che sono stati al governo fino a oggi. Non perché inadeguati o corrotti, ma perché c’è la crisi. E la crisi non ti fa aspettare nulla in cambio. Quindi, c’è una base di protesta diffusa, che in Italia è poco sotto il 30%, in Spagna è oltre il 40%, in Francia lo vedremo il prossimo anno, in Gran Bretagna ha addirittura fatto uscire il Paese dall’Unione Europea. Non parliamo poi dell’ascesa di Donald Trump negli Stati Uniti. Insomma, Grillo ha un suo zoccolo duro a prescindere da quello che avviene al vertice del partito, una dinamica che ricorda un po’ quello che accadeva nel Pci. Nonostante gli enormi casini, si registra infatti una flessione ridotta dei consensi al M5S, anche perché i suoi elettori (non parlo degli attivisti) non leggono tutte le polemiche che finiscono sui giornali. Da questo punto di vista, l’erosione non è rapida e quindi Grillo ha tempo per tamponare le falle dell’organizzazione del partito e cercare di portare il suo elettorato integro alle prossime elezioni Politiche. Perciò, a Grillo, conviene che si torni a votare al più presto.
E il secondo punto di forza?
È l’incapacità degli altri di contrastare i 5 Stelle. In fondo, c’è già un livello di saturazione mediatica anche su questo tema, sul fatto che che si stanno scannando al loro interno. Tra un po’ i titoloni torneranno sulla minoranza Pd, su Renzi che litiga con Cuperlo per il referendum. Non appena sarà cambiata l’agenda mediatica, i 5 Stelle riprenderanno fiato.
Proprio il referendum costituzionale sarà lo snodo decisivo per l’agenda politica italiana. Possiamo immaginare che il ritorno in scena di Grillo personalizzi ancora di più questa consultazione in chiave anti-Renzi?
Probabilmente sì, anzi mi aspetto che sarà così. Perché a questo punto Grillo ha tutto l’interesse a conquistare il risultato. Se deve vincere la partita del no al referendum costituzionale, meno parla del Movimento 5 Stelle e della Raggi e meglio è. E Grillo, a gestire la comunicazione, è bravo. Non è insomma una buona notizia per Renzi.
E la svolta grillina che riflessi potrà avere sul fronte del centrodestra? Viene da pensare che in un panorama dominato da due personalità ingombranti come Renzi e Grillo, la scelta di un candidato premier alla Salvini diventi una scelta obbligata, per non finire nell’oscurità…
Nel centrodestra sono certamente in difficoltà. Perché Berlusconi sa benissimo che se si mette nelle mani di Matteo Salvini è finito. Ma sa altrettanto bene che Stefano Parisi non ha il carisma che ci vorrebbe, quindi potrebbe decidere di non fare davvero un passo indietro. Nello stesso tempo però Berlusconi non ha mai nascosto la preoccupazione che la vittoria del no al referendum diventi la vittoria di Grillo e di Grillo soltanto. Anche io penso che andrà a finire così, se quello sarà il risultato del referendum: un attimo dopo la vittoria del no, all’infuori di Grillo gli altri non esisteranno più, il centrodestra, i professoroni e la minoranza del Pd. Per questo forse Berlusconi starà pensando che, piuttosto che salire sul carro di Grillo, gli convenga aiutare sottobanco Renzi”.