Cuore nero e conti in rosso: chi comanda e cosa succede allo Ior, la cassaforte del Vaticano

Turbofinanzieri alla guida, idee in aperto contrasto con quelle del papa sul global warming, bilanci in perdita, trasparenza zero, futuro incerto: tutti i fronti aperti dell’istituzione finanziaria della Santa Sede

Lo Ior, la cosiddetta banca vaticana, non riesce a trovare pace: sebbene il percorso di riforma in nome della trasparenza finanziaria avviato dal papa abbia dato i suoi frutti, la governance e le stesse finalità dell’istituto sono ancora incerte. Una delle caratteristiche del pontificato di Francesco è stata quella di ridurre l’eccessivo potere degli italiani troppo legati a potentati e lobbisti d’Oltretevere, ma ora è accaduto qualcosa di diverso: il board laico dello Ior marcia a ranghi ridotti da oltre tre mesi mesi, da quando cioè il 25 maggio scorso, hanno dato a sorpresa le loro dimissioni due membri del Consiglio di Sovrintendenza, Carlo Salvatori e Clemens Boersig.

Sulla plancia di comando dell’istituto è rimasto invece un finanziere d’assalto anglo-australiano, Michael Hintze, miliardario, hedge fund tycoon, secondo la definizione del Financial Times, che ha sponsorizzato lautamente la campagna per la Brexit insieme ad altri suoi colleghi. Hintze è anche un finanziatore del partito conservatore inglese. Inoltre milita in prima fila nel partito degli euroscettici, il suo profilo è quello di un iperliberista che crede nelle virtù benefiche dell’alta finanza. Non esattamente il Bergoglio-pensiero. Allo stesso tempo, da buon miliardario cattolico, è anche un grande donatore in beneficenza, un “filantropo” secondo la definizione tratta dal sito web dello Ior.

Il global warming? non esiste o quasi
C’è però dell’altro: Michael Hintze è infatti pure un sostenitore di punta del Global warming policy foundation (Gwpf, potente lobby internazionale che critica le teorie ambientaliste sul riscaldamento del Pianeta e sostiene l’uso dei carburanti fossili. Siamo insomma piuttosto lontani dalle tesi sostenute nella “Laudato sì” di papa Francesco (non a caso l’enciclica di Bergoglio venne attaccata esplicitamente dalla fondazione). E, guarda caso, fra gli amici della Gwpf troviamo anche il cardinale australiano George Pell, ministro delle finanze del pontefice, anch’egli di origine australiana, ospite e oratore appassionato ai convegni promossi dall’organizzazione, super scettico rispetto ai rischi ambientali a livello globale derivati dal “global warming”.

Secondo notizie piuttosto dettagliaste raccolte e diffuse di recente da Greenpeace, sia Hintze – titolare di fondi nel paradiso fiscale delle Cayman – sia il presidente dello Ior, Jean Baptiste de Franssu, avrebbero partecipazioni azionarie in società impegnate nell’estrazione di petrolio e gas responsabili di gravi danni ambientali.

Hintze è in ogni caso uno dei tre superstiti del board dell’istituto – ai quali bisogna aggiungere il presidente – dopo le dimissioni dell’italiano Carlo Salvatori e del tedesco Clemens Borsig (anche lui figura nell’indagine di Grennepeace fra l’altro), il primo a capo della banca d’investimento Lazard Italia e poi di Allianz Italia (gruppo assicurativo e finanziario a livello mondiale con sede a Monaco di Baviera, in Germania), il secondo presidente della Deutsche Bank Foundation dopo aver guidato il Consiglio di Vigilanza della Deutsche Bank AG dal 2006 al 2012. Salvatori ha anche incarichi nel cda del Bambin Gesù, il celebre ospedale pediatrico del Vaticano, e nell’Università cattolica di Milano.

Gli altri membri del board dell’istituto vaticano sono Mary Ann Glendon, a lungo con incarichi in Vaticano, anche come ambasciatore degli Usa presso la Santa Sede, sostenitrice di alto rango, in passato, dei candidati repubblicani alla Casa Bianca, fiera avversaria del partito democratico Usa. C’è poi Mauricio Larrain, del Banco Santander del Cile, area Opus Dei (vicina, quest’ultima, anche al cardinal Pell). Presidente dello Ior – lo abbiamo già incontrato – è Jean Baptiste de Franssu, che è anche “presidente della Incipit, società di advisory e consulenza in acquisizioni”.

Sulla plancia di comando dell’istituto è rimasto invece un finanziere d’assalto anglo-australiano, Michael Hintze, miliardario, hedge fund tycoon, secondo la definizione del Financial Times, che ha sponsorizzato lautamente la campagna per la Brexit insieme ad altri suoi colleghi

Dimissioni eccellenti
Di certo, tuttavia, le dimissioni eccellenti non sono passate inosservate, poiché le nomine di Salvatori e Boersig risalgono solo all’estate del 2014, e nell’occasione – quando il nuovo board dello Ior prese forma – una nota ufficiale del Vaticano chiosava che “come sancito dallo Statuto dell’Istituto, modificato nel 1990, il consiglio di sovrintendenza dello Ior definisce la strategia e assicura la supervisione delle operazioni. I suoi membri ricoprono la loro carica in conformità al nuovo contesto giuridico e per cinque anni”. Già, ma è andata diversamente. Fra l’altro in precedenza il consiglio era composto da cinque membri, con l’arrivo di Salvatori nel settembre 2014, passò a sei (e da 5 a 6 passarono pure i cardinali della commissione di vigilanza dello Ior). La modifica doveva poi essere certificata dal nuovo statuto, che però è ancora in gestazione.

Quando a maggio Salvatori e Boersig si sono dimessi, è stata accreditata una versione in ragione della quale i due avrebbero preferito uno Ior che – una volta chiuso il capitolo adeguamento alle norme sulla trasparenza e alla pulizia interna – si fosse mostrato attivo sui mercati, avesse insomma utilizzato le risorse finanziarie per far crescere il patrimonio della Santa Sede producendo utili. Al contrario, nei sacri palazzi, avrebbe prevalso una impostazione più conservativa, di mantenimento del patrimonio e di gestione oculata ma non speculativa dei beni di una clientela essenzialmente religiosa (secondo una prospettiva vicina a ciò che desidera il papa). Su questa differenza, si sarebbe creata una frattura.Da qui le dimissioni, in sintonia con il papa è il direttore generale dello Ior, Gian Franco Mammì.

In tal senso va ricordato che solo un anno prima, lo stesso presidente de Franssu con l’appoggio del cardinal Pell, aveva provato a creare un fondo d’investimento in Lussemburgo dove collocare una parte delle risorse dello Ior per generare profitti, ma l’ipotesi era stata respinta: la Chiesa non si deve arricchire, era il mantra. Quando poi i due consiglieri hanno dato le dimissioni nel maggio scorso, una nota della Sala stampa della Santa Sede commentava: “Tale passo va compreso nel quadro delle legittime riflessioni e opinioni circa la gestione di un Istituto di natura e finalità così particolari come lo Ior”. Dunque – si lascia intendere – i due la pensavano diversamente, anche se non è stato chiarito fino in fondo quale fosse il nodo del contendere e che tipo di discussione sia avvenuta fra i membri del consiglio. Molte ombre avvolgono ancora quanto è avvenuto.

Di certo ci sono alcuni fatti. Il patrimonio dello Ior, dal 2012 ad oggi, è sceso di circa 500 milioni di euro passando da 6,3 a 5,8 miliardi; in calo è pure l’utile netto, ma nessuno sa a quanto ammontassero i beni gestiti dall’istituto prima di quell’anno. Si consideri infatti che i clienti sono diminuiti nell’ordine di diverse migliaia e moltissimi conti sono stati chiusi. Indubbiamente il ridimensionamento dell’istituto ha il suo peso ed è destinato a influire sulla stessa struttura curiale e vaticana. Quel che sappiamo, ancora, è che Angelo Caloia, ex presidente fino al 2008, è sotto indagine in Vaticano per presunte malversazioni ai danni dell’istituto; di Paul Marcinkus, il vescovo che pensava (a torto) di essere un businessman, sono piene le cronache dei decenni passati; Ettore Gotti Tedeschi fu costretto a lasciare la guida dello Ior su pressioni del suo stesso consiglio di sovrintendenza (ovviamente diverso dall’attuale) nel 2012, e sostiene da tempo di essersi battuto – senza ottenere risultati sostanziali però va rilevato – in favore della trasparenza.

Il patrimonio dello Ior, dal 2012 ad oggi, è sceso di circa 500 milioni di euro passando da 6,3 a 5,8 miliardi; in calo è pure l’utile netto, ma nessuno sa a quanto ammontassero i beni gestiti dall’istituto prima di quell’anno

Abusi e bilanci vaticani
Ma i guai per le finanze vaticane non finiscono qua. Nel corso dell’estate, infatti, nuove tegole sono piovute sulla testa del cardinale Pell, capo della Segreteria per l’economia. Il porporato è da tempo alle prese con una complessa vicenda legata agli abusi sessuali commessi da alcuni sacerdoti nel su Paese. Fece scalpore, nella Primavera scorsa, la sua deposizione in un albergo romano di fronte a una commissione governativa che indagava sullo scandalo, in collegamento video. Pell era accusato di aver coperto alcuni episodi di pedofilia in anni lontani, a Roma arrivò pure un gruppo di vittime e loro parenti che pure si confrontò con il cardinale. Quest’estate però la situazione è peggiorata: è venuta fuori infatti la notizia che la polizia dello stato di Vittoria, in Australia, sta indagando stavolta su presunti abusi commessi dallo stesso cardinale, vari decenni fa. In questo caso tuttavia ci sono alcune testimonianze dirette ad aggravare il quadro. Il cardinale da parte sua ha respinto ogni addebito e ha parlato di “campagna diffamatoria” nei suoi confronti.

Infine, va sottolineato come quest’anno i bilanci della Santa Sede di regola pubblicati fra giugno e luglio, non sono stati resi noti. Il motivo c’è: È in atto, proprio da parte della stessa Segreteria per l’economia del cardinale Pell, una revisione totale delle metodologie e degli standard finanziari adottati dai vari dicasteri vaticani. Un lavoro delicato che incontra non pochi ostacoli all’interno della vecchia macchina burocratica d’Oltretevere, gelosa della sua riservatezza, soprattutto di quella economica. Nei prossimi mesi i “veri” bilanci vaticani, dovrebbero dunque venire infine alla luce, questa almeno l’aspettativa in un intreccio di tensioni e questioni irrisolte.

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