Non solo fertiliy day: le donne sono arrabbiate e hanno ragione a esserlo

Una campagna disastrosa sulla fertilità rivela i nervi scoperti delle donne italiane, che hanno sopportato più di chiunque altro il peso della crisi. E che non accettano di sentirsi fare la predica perché non fanno figli

Viene quasi da solidarizzare con la povera ministra Beatrice Lorenzin, sommersa dalle critiche e dagli insulti per questa campagna del Fertility Day alla quale, ipotizziamo, si sarà limitata a dare un’occhiata distratta dicendo: «Va benissimo, mi fido, mettete in rete», senza neanche immaginare il disastro combinato da copywriter e creativi in un associazione di testo e immagini più ridicola che scandalosa: basti pensare che il primo slogan riguardava «Le dimensioni che non contano» e metteva in guardia contro «la sindrome da spogliatoio o da Pollicino», immagino per rassicurare uomini scarsamente dotati o le loro compagne.

Lo scorso 7 maggio si era celebrata un’analoga Giornata (la prima in Italia: resta misterioso perché se ne sia indetta una seconda così vicina) e nessuno ci aveva fatto caso più di tanto: consisteva in una campagna di sensibilizzazione rivolta a medici e altri operatori riguardo alla lotta all’infertilità. Ordinaria routine insomma, che non aveva suscitato alcuna curiosità specifica né sui media né in Rete. Ma è bastato associare a quelle informazioni alcuni slogan pasticciati destinati al grande pubblico – «La bellezza è per sempre, la fertilità no»; «I giorni fertili: quando farlo?» – che davano l’idea di prescrizioni ministeriali su sesso, maternità e dintorni, per scatenare un ovvio putiferio. Risultato. Pagina bloccata. Lorenzin messa in croce. Fertility Day equiparato alle campagne del Ventennio per dare “figli alla Patria”.

La si può raccontare come si vuole, ma sono le donne che hanno sorretto la gran parte del peso della crisi con le loro pensioni, con il welfare domestico garantito a infanti e anziani, con i salti mortali per tappare i buchi di un marito o un compagno disoccupato, sottoccupato, precario, e spesso sistematicamente depresso. Andare a fargli l’elogio della fertilità come «bene comune» è una cosa da matti

È una vicenda che rivela i nervi scoperti delle donne italiane e la necessità di usare le molle ogni volta che si attraversa la sfera del loro privato, messo alla prova molto duramente in quest’epoca di disagio. La si può raccontare come si vuole, ma sono le donne che hanno sorretto la gran parte del peso della crisi con le loro pensioni (cinque anni di lavoro o di disoccupazione in più non sono uno scherzo), con il welfare domestico garantito a infanti e anziani, con i salti mortali per tappare i buchi di un marito o un compagno disoccupato, sottoccupato, precario, e spesso sistematicamente depresso. Andare a fargli l’elogio della fertilità come «bene comune» è una cosa da matti. Dirgli che «il modo migliore di essere creativi» è diventare «genitori giovani» fa arrabbiare anche i settantenni, che quei possibili «genitori giovani» li mantengono spizzicando la pensione e ci mancano solo i nipotini neonati per andare definitivamente alla deriva. Più in là e più oltre, da mezzo secolo si è socialmente stabilito che come, quando, dove e perché procreare è affare delle singole donne e non dello Stato o di chiunque altro (famiglie, mariti, datori di lavoro): dare l’idea di un’inversione di tendenza attraverso “pubbliche avvertenze” in tema di fertilità è un grave scivolone culturale, anche se l’intenzione non era questa.

Se si potesse dare un consiglio alle signore del governo, il governo “più rosa della storia”, dal quale le donne si aspettavano moltissimo, si vorrebbe dir loro: lasciate stare i temi che attraversano il terreno minato delle felicità o infelicità individuali, il grumo delle emozioni spesso sofferenti legate alla scelta della maternità, o alla sua rinuncia, alla fatica di diventare madri e poi esserlo, o di scegliere la non-maternità e sopportare lo stigma della “infertile”, che ci sono dentro sentimenti esplosivi, non controllabili, e una rabbia accumulata da molto tempo. Occupatevi piuttosto di quel che ci gira intorno – i reparti ospedalieri, gli asili, il lavoro, gli sconti Isee, i centri antiviolenza – e quindi della vostra sfera di elezione, il pubblico, che fa acqua da tutte le parti. Campagne sulla fertilità molto belle sono state fatte nel Nord Europa, in Australia e negli Usa, con grande successo. Ma in Italia non si possono fare. In Italia le donne sono troppo arrabbiate per sopportare “istruzioni per l’uso” del loro corpo e delle loro vite. Da noi non c’è pubblicitario, per quanto eccellente, che potrebbe rendere amichevoli e popolari suggerimenti di governo sul modo migliore di restare incinta, che tra l’altro, per dirla tutta, lo sappiamo da sole che a venticinque anni è meglio che a quaranta…

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