Smantellati i canoni estetici, a ghermire la bellezza è arrivata l’ideologia. Così, il concorso di Miss Italia ha una vincitrice morale, Paola Torrente, rotonda, florida e scarmigliata in seconda posizione e, in prima, una reginetta anonima, Rachele Risaliti, longilinea e regolare. L’eroica principessa protagonista di “Moana”, il nuovo film della Disney che debutterà a novembre nelle sale statunitensi (in Italia, poiché un’eroica Moana è già esistita, si chiamerà “Oceania”), sarà mulatta, massiccia e selvaggia. I profumi e la biancheria intima non sono più strumenti di seduzione, bensì di emancipazione: gli uni disseppelliscono il genio dionisiaco delle ragazze (vedere l’ultimo spot di Kenzo in cui una ragazza, anziché ammaliatrice, è un disarticolato, letale caterpillar in abito da sera) e l’altra è “una lettera d’amore che le donne scrivono a loro stesse” (così recita lo strillo di Lonely, linea di intimo femminile neozelandese in piena espansione).
«È difficile che la celebrazione della bellezza possa risultare convincente se della bellezza ci si vergogna», ha scritto Annalisa Chirico su Il Giornale, all’indomani della proclamazione della più bella del Belpaese, ricordandoci che Miss Italia aveva senso quando a sfilare erano le gambe e non le buone intenzioni, i curriculum vitae, i quozienti intellettivi delle aspiranti al titolo. Quando le miss erano figurine e non corpi di un reato, la reificazione femminile, che dovessero offrirsi di espiare e far espiare a chiunque le guardasse. Quando le miss non erano ambasciatrici della lotta alla violenza sulle donne e sul palco non salivano i loro titoli di studio, le loro idee di mondo, le provocazioni culturali.
Adesso sembra che ci si debba vergognare della bellezza, eppure una votla le miss non erano ambasciatrici della lotta alla violenza sulle donne e sul palco non dovevano esibire titoli di studi o la loro idee sul mondo.
È diventato così d’accatto e insopportabile il politicamente corretto sotteso al cerchiobottismo sulle miss, che ha finito con il rendere ideologica persino la difesa dell’indipendenza della bellezza da qualsiasi ideologia, al punto che fare la miss è una ostensione di capacità critica (“non c’è nulla di più anticonformista per una femminista che partecipare a Miss Italia”, ha detto Anselma Dell’Olio, quest’anno in giuria) e che il clamore sulla seconda classificata è, per Annalisa Chirico, “sindacalismo pro curvy” e non semplice tributo a una sfolgorante bellezza. Torrente è assai più bona, bella e conturbante di Risaliti, ma poiché l’hanno etichettata come curvy, cioè l’hanno utilizzata per dimostrare che Miss Italia “deve celebrare la bellezza a 360 gradi, perché non esistono canoni da rispettare” (così ha detto Francesco Facchinetti), Chirico, coerentemente al sacrosanto principio che difende, ovvero l’indipendenza della bellezza dalla pedagogia, non può che andarle contro e, quindi, la descrive “sgradevole agli occhi” e “compressa in un improbabile body inguinale”. Diventa, allora, pressoché impossibile guardare miss Torrente a occhio nudo e goderci il suo spettacolo procace e voluttuoso.
Canone e anticanone hanno finito col coincidere sulle medesime strettoie, all’interno di un paradigma che permane moralistico e, pertanto, costringe le donne all’ipocrisia. Al non saper più capire e poi ammettere come vogliono essere guardate, arrivando a inferire che chi non le desidera è responsabile di un abuso al pari di chi, desiderandole, le molesta. Un esempio.
https://www.youtube.com/embed/2zglMy4VBKw/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-ITIl paradigma attuale costringe le donne all’ipocrisia, a non sapere più come vogliono essere guardate e se l’indifferenza è un abuso tanto quanto un apprezzamento
All’inizio di settembre, Lena Dunham, pluripremiata regista di Girls, il Sex and The City delle ragazze brutte, povere e disoccupate, in un’intervista all’attrice Amy Schumer, ha raccontato che all’ultimo Met Gala, evento mondano tra i più attesi dell’anno newyorchese (supervisionato da Anna Wintour, direttrice di Vogue America), era seduta accanto a Odell Beckham Jr, statuario campione di football, il quale non l’ha degnata neanche di uno sguardo ed ha preferito scorrere foto di Instagram per tutta la durata della cerimonia. «Forse si chiedeva se fossi un cane o un marshmellow, tanto ero lontana dai suoi standard», ha dichiarato Dunham, procacciandosi l’indignazione unanime dei suoi follower (quasi cinque milioni), che l’hanno accusata di razzismo, poiché Odell è afroamericano e «un nero seduto accanto a una bianca dovrebbe per forza violentarla?» (è il commento più quotato alla faccenda – per contrappasso, l’America discute da ventiquattro ore del caso speculare: la sorella di Beyoncè ha raccontato di essere stata molestata, da un gruppo di maschi bianchi, al concerto dei Kraftwerk, dove si era recata con tutta la sua famiglia). «Se si è circondate da modelle e attrici perfette, è difficile non sentirsi un sacco di immondizia»: così Lena si è scusata non appena ha visto addensarsi su di lei i nuvoloni del dissenso, ammettendo che a farla parlare sono state le insicurezze che le procura il suo corpo (quel corpo sgraziato del quale, per farci credere di essere fiera, ha fatto il protagonista di una serie tv di successo) e, soprattutto, confessando di averle arbitrariamente proiettate su Odell, attribuendogliele. Confessando di essersi vergognata di essere brutta e restando, tuttavia, convinta che la sua bruttezza sia effrazione di un dettame nel quale la società vuole imporle di riconoscersi.
Qualunque cosa pur di non dire la più semplice di tutte e cioè che in quel momento era solo una donna che voleva sentirsi desiderata da un uomo e trarre piacere dal piacergli e che questo non significa aderire a un’imposizione culturale, ma assecondare un istinto, voler giocare a un gioco assai antico che diverte e diletta, da millenni, tutto il regno animale.
Poche settimane prima di questo putiferio, Lena aveva posato nuda, piena di quella cellulite che ci ha costrette a mappare più della nostra finendo quasi con il trovarla sexy (la sua, la nostra mai), per la linea di intimo Lonely, quella che si propone di insegnarci un’altra vecchia menzogna e cioè che le donne indossano la giarrettiera per auto-dichiararsi amore. Vista la sua propensione alla bugia ideologica, Lena è la testimonial perfetta. La prossima principessa Disney le spetta di diritto.