In campagna elettorale aveva dovuto farsi vedere poco, per non non legare l’esito delle Comunali alle (s)fortune del Governo. Ora però Matteo Renzi è rimasto con l’unico fortino di Milano da difendere per riuscire a mettere radici nel Paese. Se a Roma c’è il caos della Giunta a 5 Stelle, a Milano il leader del Pd è salito ieri per scegliersi un palcoscenico opposto, dove i grillini sono marginali e tutto sembra non uscire mai dai binari. La firma del Patto per Milano con il sindaco Giuseppe Sala è stata anche un modo per appropriarsi di una città-simbolo che per vent’anni è politicamente appartenuta ad altri: a Silvio Berlusconi prima e alla sinistra arancione di Giuliano Pisapia dopo. Se Sala fallisce, dopo che il Pd ha perso Roma e persino Torino, fallisce anche la scommessa di Renzi di fronte a chi lo accusa di parlare tanto e stringere poco.
La promessa di 2,5 miliardi di euro per allungare le metropolitane, riqualificare le case popolari e assumere un maggior numero di agenti della Polizia locale suggella la lista della spesa che il Governo ha accettato per assicurare cinque anni di tranquillità. A Milano, le cose si fanno, non come a Roma, è il messaggio sottinteso. Anzi, il premier-segretario del Pd – piuttosto dimesso nei toni – ha proprio parlato di Milano come di una “capitale” che traini l’intero Paese fuori dalle secche della recessione, come se una Capitale con l’iniziale maiuscola non ci sia. Chissà che prima o poi non sia
proprio la Milano di Sala a candidarsi per ospitare un’Olimpiade italiana, che i 5 Stelle a Roma hanno detto di non volere. E’ chiaro comunque che la presenza a Milano è servita a Renzi anche per seminare in vista del referendum costituzionale, che si terrà prima di dicembre: mandare un messaggio rassicurante di concretezza può aiutarlo nella campagna per il sì. Nelle prossime settimane, Renzi sarà almeno altre tre volte in città, per inaugurare la settimana della moda, visitare la Triennale, partecipare a un’assemblea degli imprenditori. Lontano da Roma.
La presenza di Renzi a Milano è servita anche per seminare in vista del referendum costituzionale e mandare un messaggio rassicurante in contrapposizione alle beghe romane.
Non è comunque tutto così semplice. Anzitutto, le risorse devono arrivare. Renzi ha detto che ci sono, ma che non tutte sono state stanziate. Si farà un pezzo alla volta. E poi c’è da capire se finalmente il Pd riuscirà ad affondare le radici nell’area di consenso leghista. E’ chiaro che nell’orizzonte di Renzi ci sono le Regionali del 2018, che in Lombardia muoveranno diverse pedine all’interno del suo partito. Fallita la successione ai diciotto anni a guida Formigoni, nel 2013, il centrosinistra sta preparando da mesi la campagna per scalzare Roberto Maroni dal 31/o piano del grattacielo
regionale. Quello che accadrà a Milano sarà importante: se il sindaco Sala spalleggiato dal Governo riuscirà a gestire senza suscitare isterie i problemi legati alla sicurezza nei quartieri più disagiati e l’accoglienza dei nuovi migranti, la partita con il centrodestra sarà (forse) alla pari. Di nomi da spendere in Lombardia, ce ne sono. Da Maurizio Martina, se non scalerà le gerarchie di partito a livello nazionale, a Lorenzo Guerini e Alessandro Alfieri, senza dimenticare il peso del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. Prospettive che restano comunque appese all’esito del referendum costituzionale.