Sgarbi racconta Berlusconi: «Il vero erede del Cavaliere? Beppe Grillo»

Vittorio Sgarbi svela punto per punto il suo rapporto con Berlusconi. I contrasti politici, la televisione, le donne e gli amori: «Le Olgettine? Tutta colpa mia»

Placido gattone ferrarese in tenera notte romana. Vittorio Sgarbi fa serata a modo suo: passa dalla cena per la mostra degli antiquari a Palazzo Venezia alla casa-spazio espositivo di uno di loro (whisky per qualcuno, per lui cocacola zero), fa tante telefonate, a vuoto, per cercare gli amici in giro («vanno tutti a dormire presto, e si alzano presto: non capisco a che cazzo serva svegliarsi presto»). Alle due, con la fidanzata Sabrina Colle e l’autista Guido, grattachecca sul Lungotevere.

Classici elementi della iconografia e della cinetica sgarbiana, ma almeno stasera tutto avviene senza fretta. Poca corte dei miracoli, niente velocità; piuttosto la serata è adatta a qualche rievocazione. Prima, visitando la mostra degli antiquari, Sgarbi si era fermato davanti a un bassorilievo in stile Canova: «Avevo proposto a Berlusconi di comprarlo, ma lui ha detto che costava troppo. A casa sua ha messo una riproduzione della Scuola di Atene, sfocata. Gliel’ho fatto notare. Mi ha risposto: “Tanto la gente non capisce un cazzo”. Gli ho risposto: “Ma se arriva uno che ne capisce pensa che non capisci un cazzo tu”».

Già Berlusconi. Oggi sono gli 80 anni del Cavaliere che ha cambiato la politica. E anche l’imprenditoria. E la cultura, grazie alle tv, ai giornali, alle case editrici. E lo sport, grazie al Milan. E il modo di parlare spicciolo («mi consenta»), e perfino, suo malgrado, la proiezione del nostro senso del pudore su quello dei nostri leader.

Con Berlusconi Sgarbi ha sempre coltivato amicizia e rivalità: sono due vitalisti le cui posizioni si sono assomigliate spesso, prendendosi e lasciandosi attraverso trent’anni di politica. Restano in rapporti affettuosi: lo scorso marzo il Cav è stato alla festa per i 95 di Nino, il padre di Vittorio, a Ferrara. «Berlusconi l’ho conosciuto nell’89 -racconta Sgarbi a Linkiesta –, scrivevo sull’Europeo, e fui l’unico analista italiano che eccepiva all’idea che l’editore buono fosse De Benedetti, e quello cattivo Berlusconi. Perché il Padrone dell’Espresso era buono e quello di Panorama cattivo? De Benedetti, tra metà anni ’80 e i ’90 era considerato papabile per la presidenza del Consiglio. E la mia teoria era che già i suoi fossero giornali-partito, tanto è vero che nel Governo Ciampi entrarono sei o sette dei suoi editorialisti come ministri della Repubblica. il Cavaliere mi telefonò. Lo incontrai in quel periodo lì, ma in quel periodo io ero talmente convinto di me che non mi fece una grande impressione. Se non per la simpatia umana. Che è rimasta».

Quale è la passione fondamentale di Berlusconi? Cerca il Danaro? Cerca il Potere? O cerca il Successo?

Ci sono due risposte. Una è quella che si dava lui: «Chi vorresti essere al posto di Berlusconi? Il fratello di Berlusconi»: uno che vive di rendita. L’altra è di quando nel ’94 disse ai suoi parlamentari: «Capite bene cari colleghi, io ho un complesso di superiorità». Gli risposi: «Invece io sono superiore senza complessi».

Avete avuto diversi scontri. Quando nel ’92 lui minacciò i suoi dipendenti di giornali e tv di mandarli a casa lei fece una puntata di Sgarbi quotidiani rimanendo 15 minuti in silenzio. Poi, nel ’98, la trasmissione fu chiusa per le tante, troppe querele. È stato un buon editore?

Non c’è mai stata una pressione editoriale da parte di Berlusconi. Avevo una posizione anomala per l’epoca, maturata prima di conoscerlo: attaccare Antonio Di Pietro. Corrispondeva con la sua, ma era del tutto autonoma. Era Berlusconi ad essere sgarbiano, non il contrario, anche se Giorgio Bocca mi chiamava “lo scherano di Berlusconi”. Berlusconi non mi ha mai fatto una telefonata se non per chiedermi di non attaccare Andrea Barbato. Mi disse: «Non è dei peggiori, lasciamolo perdere».

Nel 2002, al Governo Berlusconi, la fecero dimettere da sottosegretario alla cultura. Il ministro era Giuliano Urbani.

Il rapporto con Urbani si logorò perché lui in un anno non riuscì ad aiutare la sua fidanzata, Ida Di Benedetto, mentre io avevo mandato mia sorella alla Biennale di Venezia. Si scopriva che il sottosegretario era più importante del Ministro, quindi decisero di farmi fuori. Berlusconi fece un po’ il pesce in barile, ritenendo che un ministro dovesse prevalere su un sottosegretario. Mi chiamò e mi disse: «Non l’avrei fatto, me l’ha imposto Ciampi», inventando una balla clamorosa.

Ma siete ancora amici…

Al compleanno di mio padre mi ha chiesto di candidarmi a Bologna. Io volevo Milano. Avevo detto: facciamo un sondaggio tra me e Parisi, e nel caso mi candido. A Milano sono mancati i voti dei grillini. Non potevano votare un pesce lesso come Parisi, ma avrebbero votato me. Avrei vinto a Milano. Vincendo lì sarei diventato il leader in pectore del centrodestra, il successore naturale di Berlusconi, che invece pare stia facendo diventare il suo successore il perdente, cioè Parisi.

Berlusconi non è mai riuscito a creare una classe dirigente. Nè a trovare un successore: dalla Brambilla ad Alfano a Toti è stata un’ecatombe di bruciati…

Li ha sopravvalutati tutti e ci ha messo poi un po’ per accorgersi che erano inadeguati. Tutti quelli che ha scelto come suoi eredi avevano un profondissimo limite di popolarità, e di capacità di intercettare l’aspetto “erotico” del contatto con la massa. Non ho mai capito perché lui non ha pensato a me, se non per episodi sporadici. Nel 2009 l’avevo convinto a nominare come ministro della Giustizia Marco Pannella, ma Pannella rifiutò perché non c’erano i numeri per ottenere l’amnistia. Lì ero arrivato molto vicino a fargli capire che occorre avere delle persone, alleate o eredi, di qualità. Non Toti, non Alfano. Non certo Verdini.

A parte lei?

Non dico che io ero l’unica scelta. Ma Cossiga? Pannella? Potevano essere buoni per lui. Ma chiunque poteva espandere il suo elettorato lui non l’ha visto bene, non l’ha valutato davvero. Non ha avuto l’umiltà di valutare quello che potevamo portargli.

«Tutti quelli che ha scelto come suoi eredi avevano un profondissimo limite di popolarità, e di capacità di intercettare l’aspetto “erotico” del contatto con la massa. Non ho mai capito perché lui non ha pensato a me, se non per episodi sporadici»

Berlusconi, nella recentissima intervista a Chi, ha detto di non avere nemmeno un amico tra i politici. Decenni di politica, eppure è rimasto un corpo estraneo alla politica

Ha fatto la politica come Grillo. C’è una certa affinità tra le due figure.

Come scusi?

L’idea che ci sia un’emergenza storica che ti costringe a salvare la patria. Quando Berlusconi inventò la formula “berrò io l’amaro calice” e decise di candidarsi, aveva cercato un politico che lo potesse rappresentare. Mario Segni, Mino Martinazzoli, o Giuliano Amato. I primi due, snob com’erano, dissero di no, Amato non so. Se ne persero le tracce. E Berlusconi decise: “lo faccio io”. L’altra sera Grillo ha detto: «Avevo la gastrite e ho fatto un partito». Sono motivazioni diverse, ma sono entrambe motivazioni di chi dice: “A chi tocca adesso? Non c’è nessuno? E allora lo faccio io”.

Meriti storici: il Cav. ha portato il bipolarismo in Italia…

Ma era un bipolarismo malato, legato alla sua persona. E infatti adesso è finito, e siamo in pieno tripolarismo. Il maggioritario ha distrutto le identità culturali dei partiti. Col proporzionale invece la rappresentanza corrisponde ai voti reali. Chi ha mantenuto la logica proporzionalista c’è ancora. Vedi la Lega che non ha fatto l’errore di An di fondersi con Forza Italia, o della Margherita che è finita in una generica Sinistra.

Il Cavaliere è stato paralizzato dal conflitto con la magistratura?

L’aveva vinto, in fondo. Ma alla fine, per eterogenesi dei fini, l’ha azzoppato la Boccassini. L’idea di usare un reato del tutto inconsistente ma molto sputtanante (non in Italia dove siamo dei cattolici tolleranti, ma in tutto il mondo sì) ha messo fuori combattimento Berlusconi. La Boccassini ha fatto emergere un’inadeguatezza etica. Lui sarà stato fregato anche dai servizi segreti: come era possibile che non sapesse che era controllato in casa sua? Il telefono di Emilio Fede era sotto controllo e lui non sapeva niente. Tutto questo ha reso la sua figura politica improbabile.

Quando Berlusconi inventò la formula “berrò io l’amaro calice” e decise di candidarsi, aveva cercato un politico che lo potesse rappresentare. Mario Segni, Mino Martinazzoli, o Giuliano Amato. I primi due, snob com’erano, dissero di no, Amato non so. E Berlusconi decise: “lo faccio io”. L’altra sera Grillo ha detto: «Avevo la gastrite e ho fatto un partito».

Ha detto diverse volte che Berlusconi si è circondato di incapaci.

Comprese quelle che hanno fatto la legge del Caso Ruby, la Carfagna e la Prestigiacomo. La Boccassini l’ha saputa interpretare, queste due che si mettono a fare una legge per difendere le prostitute minorenni non hanno senso. Se una ragazza comincia a fare la prostituta da minrenne andrà punito chi la obbliga. Non certo il cliente. I clienti di prostitute non si mettono a chiedere la carta d’identità. Una legge aberrante. Io sono l’unico che ha detto che si tratta di un reato inconsistente.

Lei ha anche detto che Berlusconi ha iniziato a frequentare parecchie ragazze avendo sott’occhio il suo esempio

Il responsabile della questione olgettine sono io [ride]. Ha sempre visto la mia totale libertà a fronte della sua limitata libertà. Lo andavo a trovare nei primi anni ’90 a villa Certosa, aveva paura che Veronica Lario sentisse qualcosa.

Un marito in trappola…

Era come se la nostra affinità potesse far pensare alla moglie che lui era come me, aveva le donne ecc ecc. Ha vissuto in cattività per tutta la durata del rapporto con la Lario. Tranne qualche piccola evasione.

E poi si è dato all’estrema gioia…

Arrivato al limitare del Ruby-Ter, mi disse che si trovava ad affrontare un processo per aver avuto nella sua vita meno di cento donne. Cosa plausibile. È un numero che per me è stato una quotazione annuale.

Più Casanova o Dongiovanni Berlusconi? Usa le donne o si innamora?

Lui appartiene alla categoria dei Casanova. Seduzione. Pazienza. Gentilezza. In lui c’è quest’atteggiamento di galanteria un po’ vecchia scuola.

Arrivato al limitare del Ruby-Ter, mi disse che si trovava ad affrontare un processo per aver avuto nella sua vita meno di cento donne. Cosa plausibile. È un numero che per me è stato una quotazione annuale.

Ha mai partecipato alle feste/cene eleganti?

Tantissime volte. Arrivavo, portavo dieci ragazze. Era finita l’epoca di Fede, di Lele Mora. Le ragazze arrivavano alla spicciolata. Quando finalmente si cominciava a mangiare, io e lui parlavamo, le ragazze ascoltavano. Finiva con lui che raccontava barzellette, e verso l’una cominciava a cantare, canzoni francesi.

E poi?

Poi si scendeva in cantinetta, a prendere il caffè.

E poi?

Alle due e mezza le ospiti si diradavano io andavo via, magari con due ragazze. Io non so se lui rimanesse con altre due ragazze. È la dinamica tipica di qualunque festa. Niente pornografia. Niente sconcezze. Qualunque regista o produttore alla fine va a cena con le attrici. Non ho mai capito cosa ci fosse di diverso.

L’antiberlusconismo, le “dieci domande”, l’ansia moralista, il giustizialismo in chiave politica non ha ha finito per fare danni alla sinistra?

È stato un errore che sul momento è tornato utile. Una situazione inevitabile che alla fine gli ha giocato contro.

Quello che non è riuscito a Berlusconi sul piano politico gli è invece riuscito sul piano culturale o dell’immaginario. Ha cambiato la cultura italiana, ha introdotto la tv commerciale, il pop postmoderno ecc. È vero che odia gli intellettuali?

C’è una indisponibilità psicologica a frequentare un mondo di persone che lui considera sopravvalutate. Più che disistima è considerazione dell’inutilità dell’intellettuale. Carmelo Bene voleva conoscerlo, e io provai a farglielo incontrare, ma non ci sono riuscito. Non credo abbia mai avuto amici registi o attori, se non il solo Massimo Boldi. Ha sottovalutato quel mondo e gli effetti benefici che poteva produrgli. Anche intellettuali come Saverio Vertone, Lucio Coletti, Vittorio Mathieu, li vedeva lì, ma non li hai mai chiamati a fare il ministro. Anche in questo c’è un’affinità con Grillo. Non c’è un solo intellettuale che abbia accostato Grillo. Ci faccia caso.