È il fascino (non troppo) discreto della società civile. Quell’irresistibile attrazione a cui Silvio Berlusconi non riesce quasi mai a resistere. La storia politica del Cavaliere – soprattutto la storia più recente – è scandita da fugaci infatuazioni verso manager, imprenditori e professionisti, che nella testa del fondatore di Forza Italia hanno il vantaggio di essere estranei al “teatrino” della politica. Uomini del fare a cui affidare il compito più difficile: rigenerare proprio la politica. Tutti virtualmente designati alla leadership, tutti rigorosamente destinati all’insuccesso. Stefano Parisi è solo l’ultimo della lista.
Secondo molti osservatori Parisi – ex candidato sindaco di Milano, già capo del dipartimento economico di Palazzo Chigi, direttore generale di Confindustria e amministratore delegato di Fastweb – è pronto a raccogliere la pesante eredità e guidare il centrodestra italiano. Davanti ai preoccupati dirigenti politici di Forza Italia, che avvertono il rischio di essere scavalcati dall’ultimo arrivato, Berlusconi prende tempo. Ma è evidente che la figura di Mr Chili intriga non poco il Cavaliere. Secondo l’ex premier è l’unico in grado di «portare volti nuovi, giovani, persone fin qui disinteressate o deluse» dai politici di professione. Quanto durerà l’infatuazione è difficile dirlo. Anche perché finora, tra tutti i pupilli passati da Arcore, Berlusconi ha sempre finito per preferire il solo esponente della società civile che lo convince davvero: se stesso.
È il fascino (non troppo) discreto della società civile. La storia politica del Cavaliere è scandita da fugaci infatuazioni verso manager, imprenditori e professori.Tutti virtualmente designati alla leadership, tutti rigorosamente destinati all’insuccesso. Stefano Parisi è solo l’ultimo della lista
La storia si ripete. Grillino ante litteram, Silvio Berlusconi non ha mai digerito i politici di professione. E non ne fa mistero. L’ultima illuminazione risale alla primavera scorsa. Per le difficili Comunali di Roma, l’ex premier si è affidato prima a Guido Bertolaso, già capo della Protezione civile, poi al sorridente imprenditore Alfio Marchini. Chiara la strategia: per superare la proposta dei Cinque Stelle e combattere la disillusione degli elettori, si doveva scegliere un candidato lontano dal Palazzo. Ma il risultato, in termini di voti alle urne, è stato disastroso. Senza sbocco è stato finora anche il progetto di Berlusconi di creare, dopo l’addio a Palazzo Chigi del 2011 e la condanna per frode fiscale che lo ha estromesso dal Parlamento nel 2013, un nuovo contenitore politico. Non un vero partito, piuttosto una realtà parallela a Forza Italia. Un movimento aperto ad esponenti del mondo delle professioni e della cultura. Per rispondere a questa esigenza sono nati i circoli Forza Silvio, entità territoriali affidate a Marcello Fiori. L’ennesimo, presunto, delfino del Cavaliere.
E dire che nel ventennio berlusconiano, i non politici si sono conquistati spazi che in altre stagioni politiche non avrebbero mai avuto. Gli unici due ministri del centrodestra che hanno realizzato riforme di lungo periodo, per esempio, sono stati esponenti della società civile: Pietro Lunardi e Girolamo Sirchia, padri rispettivamente della patente a punti e della legge sul divieto di fumo. Entrambi sono usciti di scena subito dopo, anche a causa di disavventure giudiziarie. Politicamente dimenticati. Un filosofo come Marcello Pera è diventato presidente del Senato, dal 2001 al 2006. Salvo allontanarsi subito dopo dall’orbita berlusconiana, come gli altri “professori” che avevano ingrossato le fila di Forza Italia alle elezioni del 1996. In quell’anno Berlusconi si infatuò di loro, di Piero Melograni, Sergio Ricossa, Lucio Colletti, Antonio Marzano, Giorgio Rebuffa, Vittorio Mathieu, Saverio Vertone. L’unico rimasto in sella si chiama Renato Brunetta, oggi capogruppo alla Camera, annoverato fra i critici dell’operazione Parisi.
Già nel 1993 la nascita di Forza Italia fu resa possibile anche grazie all’arruolamento dei manager più promettenti di Publitalia, la concessionaria pubblicitaria della Fininvest. Quando i colonnelli erano due avvocati di famiglia, Cesare Previti e Vittorio Dotti. Oppure professori come Giuliano Urbani
Nomi che ritornano, suggestioni che resistono. Come l’avvicendamento alla guida del partito con la figlia Marina. Manager in carriera evocata più volte alla successione politica del Cavaliere. L’unica in grado, peraltro, di testimoniare un’evidente continuità, quantomeno anagrafica, con il vecchio leader. In un recente passato, almeno sfogliando vecchie indiscrezioni giornalistiche, ci era andato vicino anche Luca Cordero di Montezemolo, allora presidente della Ferrari. Quasi quattro anni fa era prossimo a raccogliere il testimone persino Mario Monti, il premier tecnico a cui Berlusconi offrì la leadership del centrodestra, salvo poi cambiare velocemente idea. E non è forse un esponente della società civile il giornalista Giovanni Toti, il consigliere politico del Cav, altro presunto delfino, diventato dirigente di partito e governatore forzista della Liguria?
L’elenco potrebbe non finire mai. Si torna al 1993, l’anno della “discesa in campo”, quando la nascita di Forza Italia fu resa possibile anche grazie all’arruolamento dei manager più promettenti di Publitalia, la concessionaria pubblicitaria della Fininvest. Quando i colonnelli erano due avvocati di famiglia, Cesare Previti e Vittorio Dotti, o professori come Giuliano Urbani. Quando per nominare un presidente della Rai, il Cavaliere corteggiò e arruolò Letizia Moratti, poi ministro dell’Istruzione in un suo governo e sindaco di Milano. Sparita dalla scena non appena sconfitta alle elezioni per un secondo mandato. Insomma, Parisi è solo l’ennesimo esponente della società civile prestato alla politica, ennesimo leader in fieri che Berlusconi guarda con interesse e curiosità. Ma un Silvio 2.0, proprio per l’irripetibilità dell’originale, non può esistere. La conseguenza è a suo modo paradossale. Mentre prosegue senza successo la ricerca di un alter ego fuori dal Palazzo, dentro Forza Italia il Cavaliere resta circondato da un esercito di politici di professione.