Venerdì a Bratislava si apre il vertice informale tra i leader di stato e di governo dell’Unione europea. Nulla di nuovo, se non fosse che sarà il primo senza il Regno Unito. Una scelta, questa, fondamentale per il blocco comunitario che in vista dell’avvio dei negoziati con Londra deve cercare una strategia comune su come definire il proprio futuro.
È in quest’ottica che il Presidente del Consiglio Ue, il polacco Donald Tusk, ha avviato una serie di incontri bilaterali con la maggioranza dei leader europei. Lo stesso ha fatto dieci giorni fa la cancelliera tedesca Angela Merkel, ma anche il primo ministro inglese Theresa May. Londra non vuole restare a guardare che gli altri decidano per lei il suo futuro e si è mossa da settimane a sondare l’aria che tira tra le 27 capitali.
Una scelta sicuramente intelligente, considerato lo stato attuale in cui versa l’Unione. Dal 24 giugno scorso, da quando la Brexit è diventata una possibilità reale, tra le cancellerie del Vecchio Continente è in atto un meccanismo di revisione delle necessità e dei progetti che riguardano non solo singoli Stati, ma intere regioni. O anche quello che dall’esterno potrebbe essere letto come un meccanismo “concentrico” di fare gruppo e pressione su Bruxelles.
Non è una novità, il Gruppo Visegrad, che riunisce tra loro Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca esiste sin dal 2004 nella sua forma attuale. E cioè dall’anno dell’allargamento a Est dell’Ue. In principio il suo obiettivo era proprio quello di rappresentare le istanze dell’Europa orientale e difenderle davanti agli Stati fondatori dell’Unione. Con lo scoppio della crisi dei migranti e il dilagare del populismo in tutta Europa, i Paesi del Gruppo Visegrad hanno costituito in questi mesi un asse solido e in grado di dare molto fastidio a Bruxelles. Uno dei suoi quattro leader, Robert Fico, Primo Ministro della Slovacchia è oggi anche alla guida della Presidenza semestrale dell’Ue. Un ruolo che sta usando per difendere a spada tratta la linea del Gruppo sulla politica migratoria. Il Gruppo Visegrad ha dichiarato guerra al sistema delle quote e al piano per i ricollocamenti presentato dalla Commissione Juncker.
Non soltanto contro. Dal Visegrad arrivano anche proposte. In occasione del forum economico di Krynica, nel Sud della Polonia e in vista del summit di Bratislava di venerdì il Premier ungherese Viktor Orban e l’eminenza grigia della politica polacca Jeroslaw Kaczynski hanno lanciato il loro piano per quella che hanno definito “la contro-rivoluzione culturale europea”. Non più euroscetticismo duro e puro, alla Farage o alla Le Pen, ma un piano che nelle intenzioni vuole salvare il futuro dell’Unione, destinato allo stato attuale a fallire miseramente, chiaramente a base nazional-popolare. Nella mente di Kaczynski e Orban l’Ue deve tornare a esaltare la diversità delle proprie nazioni senza però disperdere energie e risorse. In sostanza «ognuno per sé, ma con un bilancio in comune, i fondi Ue e il mercato interno». Ogni altro tentativo ha chiarito Kaczynski «appiattirà il progetto europeo allo standard di omologazione statunitense».
Dal gruppo Visegrad arrivano anche messaggi a supporto della dimenticata Ucraina. I leader dei quattro Paesi dell’Est europeo hanno incontrato il Premier ucraino Volodymyr Groysman, consolandolo dell’abbandono di Bruxelles. Così mentre Amsterdam è ancora alle prese con la bocciatura da parte dei propri cittadini dell’accordo per un’area di libero scambio con Kiev, il Gruppo Visegrad ha rassicurato l’Ucraina sulla volontà di voler procedere a un rafforzamento e consolidamento delle proprie relazioni. Promessa che in realtà non potrebbe fare, considerato che almeno a livello commerciale la politica Ue è di fatto di competenza unica della Commissione europea.
A Bratislava, il Premier ungherese Viktor Orban e l’eminenza grigia della politica polacca Jeroslaw Kaczynski presenteranno il loro piano per quella che hanno definito “la contro-rivoluzione culturale europea”. Non soltanto Est. E non mancheranno, sul tavolo, anche le proposte, i progetti e la visione per il futuro dei Paesi del Mediterraneo, il cosiddetto asse anti-austerità
Non soltanto Est. A Bratislava venerdì arriveranno sul tavolo anche le proposte, i progetti e la visione per il futuro dei Paesi del Mediterraneo. Ha suscitato polemiche il mini-vertice organizzato da Alexis Tsipras ad Atene il 9 settembre con i leader dei Paesi del Sud Europa. È stato definito dai detrattori l’asse anti austerità, ed è in effetti soprattutto su questo che si è concentrata gran parte delle dichiarazioni arrivate da Atene. Portogallo, Malta, Cipro, Spagna, Grecia, Francia e Italia hanno ribadito la necessità di cambiare il Patto per la Stabilità e la Crescita. “La crisi greca, le ricette applicate dalla Troika” hanno ribadito da Atene i leader del Sud Europa “hanno dato prova di non funzionare e non devono essere riproposte in futuro ad altri Paesi”.
Se l’Est punta al rafforzamento della diversità nazionale, per il Sud la maggiore integrazione è ancora alta in agenda, ma deve essere compiuta nel nome della solidarietà sociale, nuovi e maggiori investimenti e rimessa al centro delle politiche sul lavoro. Lo ha chiarito sempre venerdì scorso anche Padoan al termine della riunione tra i Ministri Ue delle finanze. Un’affermazione che non è piaciuta troppo a Berlino, alle prese con un clima elettorale a dir poco testo e inusuale per lo scenario politico tedesco.
Tra Est e Sud permane poi un centro che al momento rimane piuttosto ancorato all’ideale di Ue tradizionale, seppur minacciato dalla crescita dei partiti populisti. Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, restano al momento gli unici bastioni di difesa dell’Unione nella sua fase attuale. Favorevoli a maggiore integrazione politica e finanziaria, ma anche di quella per la cooperazione nella sicurezza e difesa.
A rendere il quadro, se possibile, ancora più complesso, l’avvicinarsi di elezioni strategiche. La prima, dal valore altamente simbolico, sarà in Austria. Ci saranno poi i referendum in Ungheria e Italia, da cui potrebbero arrivare nuovi segnali di instabilità e attacchi a Bruxelles, e infine le due elezioni che tutti oggi guardano con una certa apprensione: Francia e Germania.
Il summit di venerdì si apre in un clima quanto meno complesso, ai 27 il compito di provare a mettere sul tavolo le diverse proposte e cercare, come il metodo comunitario vuole, un compromesso. Theresa May, del resto, non perdona e attende di approfittare dell’indecisione e divisione tra le capitali per ottenere il massimo, provando a cedere il minimo possibile.