Usa-Arabia: il “buono” Occidente sta con l’Islam peggiore

Gli wahabiti, nemici della Russia, fomentatori del terrorismo, ma preziosi alleati nello scacchiere del Medio Oriente. L’Occidente non sa che fare. E Putin ci guadagna

La strategia dell’Occidente in Medio Oriente ha una crepa che, negli ultimi quindici anni, si è allargata fino a somigliare a una voragine: il principale alleato nella regione degli Stati Uniti – e di riflesso dell’Europa, Francia e Inghilterra in primo luogo – è l’Arabia Saudita, la cui pretesa di egemonia sul mondo islamico (da noi indirettamente supportata) si fonda su un’interpretazione fondamentalista e fanatica della religione musulmana, cioè il sunnismo salafita nella sua versione wahabita. Per un crudele contrappasso della Storia questa visione, che l’Occidente ha contribuito a diffondere in contrapposizione allo sciismo (in ottica anti-Iraniana dopo la rivoluzione khomeinista che scacciò lo Scià, nostro alleato) e all’ideologia della Fratellanza Musulmana (nemico dichiarato del “Occidente imperialista” e che propugna il pan-arabismo e il ruolo politico dell’islam), è la radice stessa dei movimenti terroristici islamici che hanno insanguinato il mondo negli ultimi due decenni, in particolare Al Qaeda prima e lo Stato Islamico poi.

La Russia sta provando a sfruttare questa voragine a proprio vantaggio. Dopo venti anni sulla difensiva, in seguito al crollo dell’Urss, Mosca sta ora tentando di riguadagnare spazio e peso geopolitico e, in particolare in Medio Oriente – complice il disorientamento occidentale seguito ai disastri di Bush e all’immobilismo di Obama successivo alle Primavere Arabe -, non senza successo. Dopo aver sfruttato la crisi in Siria per installare nuove basi e portare armamenti avanzati nella regione (in particolare gli S-400, sistemi di contraerea che gli garantiscono il controllo dei cieli dell’area) – oltre che per propaganda, come nel recente caso in cui l’aviazione Usa ha massacrato “per sbaglio” decine di soldati regolari siriani durante il periodo di tregua, con il Cremlino che ha accusato Washington di “difendere l’Isis” -, dopo aver approfittato dell’allontanamento tra Egitto e Stati Uniti seguito al golpe di al-Sisi per avvicinarsi al Cairo (con ricadute anche in Libia), aver giocato come il gatto col topo con Erdogan (prima minacciato e tenuto sotto pressione per le divergenze in Siria poi, dopo il golpe, quasi “strappato” all’Occidente, giudicato dal presidente turco poco solidale) e aver incassato l’accordo sul nucleare con l’Iran suo alleato – il tutto mantenendo, e anzi rafforzando, i rapporti con Israele -, il Cremlino pare stia ora provando a esasperare le contraddizioni della strategia occidentale attaccando in particolar modo il pilastro saudita.

A fine agosto a Grozny, capitale della Cecenia (repubblica satellite di Mosca, abitata in maggioranza da musulmani sunniti), è stato ospitato un convegno dal titolo “Chi sono i sunniti?”. Molti importanti imam presenti, tra cui il Grande Imam Ahmed al-Tayeb della prestigiosa università egiziana Al Azhar. Nelle conclusioni del convegno è stato sancito che sono sunniti “gli ashariti (la maggioranza dei musulmani sunniti appartengono a questa corrente), i maturidi, i seguaci delle quattro scuole giurisprudenziali della Sunna (Hanafi, Maliki, Shafi’i e Hanbali) e i sufisti (il sufismo è, semplificando, la ricerca mistica tipica dell’islam)”. Esclusi i salafiti. Questo ha immediatamente scatenato le proteste saudite, che hanno accusato gli organizzatori dell’incontro di voler fomentare le divisioni religiose, a cui è seguito un parziale tentativo di retromarcia in particolare degli egiziani (i Saud sostengono politicamente ed economicamente il regime di al-Sisi, sono alleati nella guerra in Yemen e un eventuale deterioramento dei rapporti sarebbe deleterio per entrambi, soprattutto per il Cairo). I religiosi dell’università di Al Azhar hanno sottolineato che nel loro contributo al convegno i salafiti erano inseriti all’interno dei sunniti e pertanto le conclusioni non rispecchiano il loro punto di vista.

Per rispondere all’emergenza del terrorismo, l’Occidente dovrebbe incoraggiare un isolamento delle posizioni estremiste, comprese quelle saudite, ma questo avvantaggerebbe i Russi

L’incidente è stato quindi contenuto, anche se in seguito altri imam di Al Azhar hanno comunque ribadito una certa insofferenza verso l’oltranzismo salafita, che oltretutto ritiene gli altri sunniti poco meno che degli eretici e si accaparra il diritto di rappresentare l’unico vero islam. Più che le questioni religiose ha pesato la geopolitica, e l’Egitto non ha voluto rischiare un pericoloso incidente diplomatico con i Saud. Ma è probabile secondo gli esperti che dietro un episodio del genere si veda in controluce la lunga mano di Mosca, che nel futuro probabilmente continuerà a battere su questo tasto, per allontanare il Cairo (suo partner) da Riad (alleato di Washington), ma non solo. Come si legge ancora nelle conclusioni, “questa conferenza è stata un importante e necessario punto di svolta per correggere la pericolosa deviazione che ha colpito il concetto di ‘comunità della Sunna’ in seguito ai tentativi degli estremisti di appropriarsi e di monopolizzare tale titolo”. La leva che vuole usare la Russia è dunque quella di chiedere alla comunità sunnita di isolare gli estremisti salafiti, che oltretutto rappresentano una sparuta minoranza (5% circa), isolando di fatto così l’Arabia Saudita.

Questa mossa – ideata probabilmente proprio a questo scopo – crea un grave problema per l’Occidente: per rispondere all’emergenza del terrorismo dovrebbe ovviamente incoraggiare un isolamento delle posizioni estremiste, misura chiesta tanto da esperti quanto dalle opinioni pubbliche. Ma se isolare i salafiti comporta isolare Riad, e avvantaggiare quindi Mosca, questo diventa molto più difficile (alcuni Stati europei stanno discutendo della possibilità di vietare i finanziamenti stranieri per la costruzione di moschee, ma fintanto che gli Stati Uniti faranno affari a undici zeri vendendo armi ai Saud servirà a ben poco). Anzi, per impedire che il nostro principale alleato nella regione – specie in un periodo di rapporti tesi con Ankara – perda posizioni rispetto ai suoi concorrenti (alleati dei nostri avversari, come l’Iran sciita con la Russia), ci troviamo paradossalmente costretti a tifare per il mantenimento dello status di Riad di “custode dei luoghi sacri dell’islam” e di guida del mondo musulmano. Nel Grande Gioco, divenuto incredibilmente ingarbugliato negli ultimi sei anni, ci troviamo insomma clamorosamente dalla parte sbagliata.

X