Verso Bratislava con la grana Brexit: “L’Europa cambi, ma non punisca chi è fuori”

Il think tank Bruegel propone un nuovo organismo intergovernativo per risolvere la questione degli Stati che collaborano con l'Unione pur essendone fuori: Svizzera, Liechtenstein e, presto, Regno Unito

A poco più di due settimane dal vertice europeo di Bratislava, il primo a cui non è stato invitato il Regno Unito, si comincia a riflettere al tipo di futuro di un’Ue senza più Londra. Se l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona resta fondamentale per avviare ufficialmente il divorzio, c’è anche bisogno che l’una e l’altra parte inizino a mettersi d’accordo su come regolare il loro rapporto in futuro. “Usciamo dall’Ue, ma restiamo in Europa” ha dichiarato David Cameron nel giorno in cui Brexit è diventata realtà. Ora gli slogan, però, vanno tradotti in realtà. Una delle prime proposte di regolamentazione di civile convivenza tra Londra e l’Ue a 27 arriva dal think tank Bruegel.

Il Centro Studi con base a Bruxelles ha presentato la proposta di dar vita a una cosidetta Partnership Continentale. Un termine semplice, che indica già nel nome i tratti principali del progetto. “Più di una semplice area di libero scambio, ma molto meno della membership a organizzazioni sovranazionali” afferma il Direttore del Bruegel Guntram Wolff, tra gli autori del testo. “Il 23 giugno scorso il 52% dei britannici che si è recato alle urne per il referendum sull’appartenenza del Paese all’Ue ha votato per l’uscita dall’Ue partendo da questioni specifiche”spiega l’economista e senior fellow del Bruegel, André Sapir ” Tra queste: la fine della libera circolazione dei lavoratori e il dissenso contro la partecipazione a un’organizzazione sovranazionale. Si tratta di elementi che non potranno essere tralasciati dai negoziatori nei mesi a venire”.

“Usciamo dall’Ue, ma restiamo in Europa”, aveva detto Cameron. Ma adesso gli slogan vanno tradotti in realtà

Il Bruegel li ha tenuti subito in considerazione. Per il think tank il futuro divorzio di Londra dall’Ue non significa l’automatico smantellamento dell’organizzazione comunitaria, quanto una sua necessaria evoluzione. “E’ evidente che l’Ue e l’Eurozona necessitino di maggiore integrazione, ma questa può essere realizzata soltanto se gli Stati che ne fanno parte lo comprendono e accettano di procedere verso una progressiva messa in comune di poteri, risorse, diritti e doveri” spiega ancora Wolff “Allo stesso tempo si deve pensare a come collegare il nocciolo duro dei Paesi Ue con quelli che li circondano e che a oggi non hanno voluto entrare a far parte della casa comunitaria. Tra questi ovviamente domani ci sarà anche il Regno Unito”. Ecco perché nel modello ipotizzato dal think tank si prevede un doppio insieme di Paesi, il cosiddetto inner circle- circolo interno e cioé i Paesi Ue e l’Eurozona- e un outer circle-potenzialmente Svizzera, Liechtenstein, Regno Unito, ma anche in futuro Turchia e Ucraina- con i quali creare sinergie importanti e continue.

A legare tra loro i Paesi di entrambi gli insiemi sono interessi puramente commerciali ed economici, per gestire i quali il Bruegel pensa alla costruzione di un organismo intergovernativo, dove l’ultima parola spetta comunque all’Ue. Il modello pensato dal think tank differisce da quelli oggi esistenti e che regolano, ad esempio, le relazioni tra Ue e Norvegia, o tra Ue e Svizzera o ancora la tipologia classica di un accordo per l’îstituzione di un’area di libero scambio. Questo perché tutti e tre si sono mostrati in qualche modo inadeguati a gestire le evoluzioni delle relazioni tra gli Stati e le organizzazioni coinvolte, lasciando di volta in volta qualcuno scontento. Nella Partnership Continentale, ad esempio, a fronte di una forte integrazione e interdipendenza degli scambi commerciali, dei beni e dei servizi, la libertà di circolazione dei lavoratori sarebbe sottoposta a regole e limitata nel tempo, mentre rimarrebbero gli obblighi di partecipazione al bilancio comunitario. Il prendere parte a un organismo intergovernativo, poi, permetterebbe a tutti di prendere la parola e dire la propria su alcune decisioni. I modelli esistenti, infatti, relegano i Paesi legati all’Ue in fase subalterna (prendere o lasciare, senza possibilità di commento) come nel caso della Svizzera o danno eccessivamente importanza al parere del Paese (come nel caso della Norvegia).

Le attuali istituzioni europee si sono dimostrate inadatte, specie nella gestione del rapporto con i paesi esterni all’Unione, ma che con l’Europa hanno rpaporti privilegiati, come la Svizzera.

Ma perché procedere con un modello che di fatto, asseconda, una delle richieste avanzate da Londra e sulla quale lo stesso Jean Claude Juncker sembra essere convinto a non cedere, ovvero la limitazione alla libertà di circolazione dei lavoratori? “Perché non si può far finta di non ascoltare il voto dei cittadini britannici” dichiara Sapir “E perché comunque la Partnership Continentale prevede un certo grado di mobilità. Il punto non è tanto se accontentando i britannici deludiamo altri Paesi, come la Polonia. E’ importante che un partner così strategico per l’Ue a livello di sicurezza e di difesa resti vicino”.

“L’Europa di domani conterà molto meno di oggi” conclude un altro degli autori della proposta, l’economista britannico Paul Tucker “Tra 25 anni nessuno dei Paesi europei sarà in grado di sedere ai grandi tavoli internazionali da solo. L’unico modo che abbiamo per mantenere intatta la nostra prosperità è agire insieme. Ecco, perché, dal voto britannico dobbiamo guardarci bene dal rispondere in modo punitivo. Dobbiamo lasciare da parte orgoglio e visioni di corto raggio, guardare oltre i nostri confini. Solo così ci renderemo conto che l’unica opzione che abbiamo è cooperare tra noi”.

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