L’intento è di dare un nuovo significato al western e – insieme – al cinema di animazione. Elevare i cortometraggi disegnati al rango di pellicole d’essai e, al tempo stesso, riprendere in mano lo scenario del vecchio West, con le sue ambientazioni naturalistiche spettacolari e il sistema implicito di valori (fedeltà, determinazione, senso quasi primordiale della giustizia e della lealtà). Il risultato si chiama Borrowed Time, cioè “tempo preso in prestito”, opera di due animatori della Pixar, Andrew Coats e Lou Hamou-Lhadj.
Per realizzarlo ci hanno messo cinque anni, lavorando nei momenti liberi a disposizione. Con il desiderio di creare qualcosa che, come dicono loro, “potesse essere più adulto”. E il risultato è arrivato: premiato, premiatissimo, apprezzato da più parti. È un breve western che aspira a raccontare, senza tante parole, il nocciolo di un’esperienza: quella del borrowed time, cioè il “tempo in più”, quella porzione di vita che si considera regalata, perché si sopravvive a un evento in cui si è rischiato di morire e perché si vive oltre le aspettative.
Nella storia ci sono due sceriffi, un capo e un vice. Forse sono padre e figlio, forse sono solo molto amici. Poi, arriva il momento dell’incidente: uno dei due muore e l’altro non si dà pace. Il film è tutto qui, a evocare quel tempo, che separa i momenti della storia, è tempo “regalato”, vissuto nel senso di colpa e nel rimorso. Ma forse, un giorno, arriverà al soluzione. Un perdono, o un auto-perdono.