C’è la discussione nel merito, che aspira a far ragionare gli elettori sul testo della legge di riforma. C’è poi la discussione sul metodo, che porta a leggere il voto del 4 dicembre in una scelta netta fra chi è a favore e chi è contro il premier Matteo Renzi, in un’apoteosi della personalizzazione politica coltivata da entrambi gli schieramenti. Ci potrebbe essere però anche una terza via, per leggere gli interessi in ballo nel referendum sulle modifiche alla Costituzione repubblicana. Una via ‘cinica’, che prescinda dal destino del Governo e della Costituzione “più bella del mondo”: che cosa hanno da guadagnare o da perdere personalmente gli alfieri del sì e quelli del no? Saranno in palio posizioni di potere, ri-candidature e anche stipendi.
Il Partito Democratico. Per il segretario-premier Matteo Renzi una vittoria al referendum significherebbe ovviamente confermare la sua leadership nel centrosinistra. Una vittoria del no, al contrario, gli aprirebbe una difficile rincorsa verso il congresso del partito (nel 2017) e le elezioni Politiche (nel 2018 o anche prima), che rimanga o meno a Palazzo Chigi. Ma se tutto questo è ovvio, bisogna tener presente che cosa vorrebbe dire una bocciatura popolare della riforma della Costituzione anche per i destini personali dei tanti esponenti del centrosinistra che siedono in Parlamento o al Governo: dovrebbero scegliere se continuare a sostenere il loro leader o invece ricollocarsi. Tutti quelli (la maggior parte) che nel 2013 erano entrati in Parlamento da bersaniani e sono diventati a un certo punto renziani che faranno? Ecco perché la partita della minoranza Pd al referendum è da leggersi in maniera speculare a quella del segretario-premier: una vittoria del no al referendum, ridarebbe alla vecchia guardia del Pd la possibilità di contendere la leadership del partito. Che significherebbe una ritrovata possibilità di dettare l’agenda politica. E, soprattutto, di decidere le candidature. Allo stesso modo se invece Renzi vincerà su tutta la linea, sarà lui a scegliere che cosa fare e chi verrà candidato (o ricandidato) alle Politiche che si terranno entro un anno e mezzo. Chi gli è stato ostile rischia insomma grosso. Su tutto lo scenario pesano comunque due incognite. La prima è chi possa rappresentare una leadership alternativa di peso a Renzi, perché è difficile pensare che pur dopo una vittoria del no Massimo D’Alema decida di candidarsi in prima persona alla segreteria del Pd. La seconda incognita resterà sospesa per alcune settimane ancora: dopo il 4 dicembre, con qualunque risultato, il principale partito di centrosinistra si romperà?
La partita della minoranza Pd al referendum è da leggersi in maniera speculare a quella del segretario-premier: una vittoria del no al referendum, ridarebbe alla vecchia guardia del Pd la possibilità di contendere la leadership del partito. Che significherebbe una ritrovata possibilità di dettare l’agenda politica. E, soprattutto, di decidere le candidature
Il Movimento 5 Stelle. Sarà sicuramente Beppe Grillo con i suoi a intestarsi una vittoria del no alla riforma costituzionale, gli altri spariranno un secondo dopo. Il successo oscurerebbe peraltro gli strascichi della vicenda romana, perdonando le ingenuità e gli errori di questi primi mesi da forza governativa. Quel no indicherebbe soprattutto che il M5S è pronto a contendere al Pd la guida del Governo nazionale, quando saranno appunto convocate le elezioni. Uno scenario che paradossalmente si verificherebbe anche con una sconfitta di misura delle ragioni del no, perché vorrebbe dire che quasi metà del Paese non si ritrova dalla parte di Renzi. I Cinque stelle sono insomma quelli che meno hanno da perdere dal 4 dicembre. Sennonché c’è appunto un aspetto rischioso del gioco: entrambi i risultati – il sì e il no – metteranno i grillini di fronte a un’assunzione rapida di responsabilità. Se vince il no, non ci saranno più alibi, in pochi mesi una proposta di Governo dovrà essere pronta, superando le liti interne e le resistenze a lasciare gli atteggiamenti movimentisti più estremi. La vittoria del sì, ovviamente, ridarebbe forza a Renzi. Di sicuro, su questa partita del referendum, nessuno vuole perderci la faccia, da Grillo, Di Maio e Di Battista in giù, che potrebbero scegliere anche una campagna referendaria morbida per evitare di farsi intestare una sconfitta.
Una vittoria del sì indebolirebbe la leadership di Matteo Salvini dentro la Lega Nord, dove non tutti condividono le sue scelte estremiste, e soprattutto nei confronti di un centrodestra ancora diviso. Costringerebbe Silvio Berlusconi a tornare a dialogare con Renzi, di fatto rompendo gli argini a destra
Centrodestra. Al referendum del 4 dicembre, da questa parte della barricata avrebbero invece tutto (o quasi) da perdere. Una vittoria del sì indebolirebbe la leadership di Matteo Salvini dentro la Lega Nord, dove non tutti condividono le sue scelte estremiste, e soprattutto nei confronti di un centrodestra ancora diviso. Costringerebbe Silvio Berlusconi a tornare a dialogare con Renzi, di fatto rompendo gli argini a destra. Risospingerebbe sempre verso Renzi gli ex berlusconiani che proprio contro la riforma costituzionale erano tornati sulla strada di Arcore, sperando di avere un nuovo futuro. E poi c’è un aspetto pratico da non sottovalutare. Il testo della riforma costituzionale dimezza di fatto i poteri delle Regioni, che sono rimaste l’unico baluardo di governo del centrodestra in questa stagione. Togliere competenze e risorse alle Regioni significa, in prospettiva, togliere potere e capacità di intervento ai partiti di quest’area politica sempre meno rappresentata nelle istituzioni nazionali e peraltro ormai assente anche dalla guida delle grandi città. Lombardia, Liguria e Veneto sono governate da quella che è in sostanza la classe dirigente del nuovo centrodestra, difendere le prerogative (e gli stipendi) di questi assessori, consiglieri e funzionari è sicuramente un imperativo, anche in prospettiva di una sfida nazionale che sarà appunto fra Renzi e Grillo e con una Camera in meno dove candidare i propri uomini. Ecco perché il centrodestra deve puntare tutto sulla vittoria del no, sapendo però che anche in questo caso non avrebbe da gioire. Perché a quel punto sarà il Movimento 5 Stelle a rappresentare la vera alternativa al Pd. E perché le rivalità interne su chi dovrà essere il leader post-berlusconiano non faranno che riacutizzarsi.
Questa guida ‘cinica’ al voto referendario non rappresenta una risposta completa sugli effetti che avranno una vittoria del sì o una vittoria del no il 4 dicembre. Certo è che anche queste ragioni – oltre a quelle più nobili sul merito della riforma – spingono in maniera più o meno profonda la politica a schierarsi, a unire o dividere le forze e a chiedere un voto. Che non sarà fatalmente solo sulla Costituzione. Per questo sono ragioni che vanno lette insieme alle altre.